Un Draghi al Quirinale. Seconda puntata del girotondo fogliante
L’opzione dei sette anni al Colle, per l’attuale premier, è oppure no un’assicurazione sulla vita del nostro paese? Il futuro dei partiti, l’Europa, il vincolo esterno e le due strade
Martedì sul Foglio, il direttore Claudio Cerasa ha spiegato perché le forze politiche avrebbero il dovere, nei prossimi mesi, di costruire un whatever it takes per spedire Draghi al Quirinale: “Un’assicurazione sulla vita, per l’Italia, è meglio averla per i prossimi sette anni piuttosto che solo per i prossimi due”. Si può fare? E’ giusto farlo? Qui la seconda puntata del nostro girotondo.
Il Quirinale a Draghi per governare gli scossoni del futuro
Ciò di cui ha bisogno il sistema politico italiano è il superamento di una forma spuria di bipolarismo basata sulla demonizzazione dell’avversario a vantaggio di un bipolarismo maturo in cui le formazioni competono nell’ambito di un comune riconoscimento del valore del pluralismo e di alcuni valori “costituzionali” che rappresentano la condizione per una convivenza pacifica e proficua. E’ questo percorso, ancora difficile, che è iniziato con il governo che Sergio Mattarella ha affidato a Mario Draghi. Anche se nelle esternazioni dei partiti continuano a primeggiare le recriminazioni reciproche, nell’azione di governo e poi nelle sue ricadute parlamentari si respira tutta un’altra aria. I ministri collaborano non solo con il premier ma tra loro, e lo stesso fanno i gruppi parlamentari. Poi si ritagliano gli spazi, dallo jus soli alla lotta contro l’immigrazione clandestina, su cui imbastire il solito teatrino. Quando anche su questi temi si arriverà a dover decidere si scoprirà che esiste uno spazio consistente per un compromesso, una volta ammainate le bandiere identitarie. Naturalmente alla base di questa situazione felicemente eccezionale c’è la tragedia della pandemia e l’emergenza che ne consegue. Che cosa capiterà quando non ci sarà più questo fattore a dominare la vita degli italiani e anche quella dei loro rappresentanti politici e istituzionali? Bisogna evitare che tutto torni come prima, il che peraltro è pressoché impossibile, e rendere permanente il clima di sostanziale rispetto reciproco che è stato imposto prima e poi costruito pazientemente da Mario Draghi. Perché questa graduale trasformazione del clima politico possa diventare un fenomeno permanente serve che Draghi possa promuoverlo autorevolmente per il tempo necessario, che è sicuramente più lungo della legislatura attuale. Dal Quirinale l’autorevolezza, anche internazionale, sarebbe confermata e persino aumentata, e un’investitura ampia sarebbe un altro passo nella direzione giusta. Ci si preoccupa della vacanza che si creerebbe a palazzo Chigi, ma questo è un problema che Draghi dal Quirinale avrebbe gli strumenti e la forza di risolvere al meglio, mantenendo la maggioranza attuale, se possibile, o se qualcuno volesse chiamarsi fuori, confermando comunque gli obiettivi programmatici già delineati e in gran parte incardinati nei provvedimenti per il piano di rinascita. Il pericolo di una regressione del sistema politico diventerà maggiore nel momento in cui si voterà per un nuovo parlamento e per creare una maggioranza autonoma del centrodestra o del centrosinistra, ed è in quel momento che sarà decisivo il peso di un Quirinale in grado di controllare gli effetti di quello scossone, peraltro inevitabile e fisiologico in ogni democrazia.
Sergio Soave
L’approccio utopico dei sette anni in sicurezza
Un governo che governa, un’Italia stabile e perciò in grado di rassicurare partner e mercati internazionali, un ampio spettro di riforme già avviate, previsioni di crescita da miracolo economico, un presidente del Consiglio così autorevole in Europa e nel mondo da sfatare il secolare luogo comune di un Belpaese vocato alla furbizia delle cicale, in effetti ingovernato perché effettivamente ingovernabile… Che Dio ci conservi Mario Draghi, dunque. Non c’è dubbio. Tuttavia non credo né mi auguro che la profezia di un Draghi quirinalizio si avvererà. Non lo credo per due ragioni. La prima. Una personalità come Mario Draghi può approdare al Quirinale solo se eletta con la maggioranza dei due terzi al primo scrutinio, o comunque entro i primi tre. Nella storia repubblicana è accaduto solo due volte: con Francesco Cossiga e con Carlo Azeglio Ciampi. E’ accaduto grazie ad un contesto politico propizio, ma soprattutto grazie all’abilità di due registi d’eccezione, Ciriaco De Mita e Romano Prodi. Non si intravede, oggi, in Parlamento un possibile regista che spiani a Draghi la strada del Colle. La seconda ragione ha a che fare le miserie umane. Nel caso Draghi fosse eletto presidente della Repubblica è probabile che la legislatura si interromperebbe, e se la legislatura si interrompesse prima di 4 anni 6 mesi e un giorno dal suo inizio i parlamentari non maturerebbero il diritto alla pensione. Spauracchio che inviterebbe i più terragni tra noi a impallinare Draghi col voto segreto. La ragione per cui non auspico il passaggio di Draghi al Quirinale è che non condivido l’ottimismo di chi ritiene che così avremmo garantiti sette anni di continuità europeista e potremmo concludere nel 2026 le riforme del Pnrr. Approccio utopico. Ai Consigli europei va il capo del governo, non il capo dello Stato. Il quale, notoriamente, svolge un ruolo politico attivo solo quando le maggioranze parlamentari franano e i premier traballano. Non è detto che accada. Dio ci conservi, dunque, Mario Draghi nel ruolo attuale. Ruolo rinnovabile qualora dalle elezioni del 2023 non emerga un quadro politico stabile. Ruolo propedeutico alla possibile elezione di Draghi a presidente nella Commissione europea ad inizio ‘24. Un modo diverso per perseguire gli obiettivi odierni: massimizzare l’interesse nazionale italiano in un’Europa sempre più “politica”.
Andrea Cangini, senatore di Forza Italia
La strada migliore per Draghi: candidarlo
Caro direttore. Non temessi di sembrare ridicola potrei arrivare a definirmi “una bimba di Draghi”. Tuttavia fortuna vuole che non sia né bimba né adoratrice acritica del nostro presidente del Consiglio che alle innumerevoli doti mostrate in questi anni ha raramente opposto qualche difettuccio seppur minimo. Primo fra tutti e forse nemmeno per colpa sua l’essere considerato Unico ed Insostituibile timoniere di questo nostro sgangheratissimo paese. Certo sono ben consapevole di quanto il mio ragionamento sia più teorico che pratico; del resto a cinque mesi dalla scadenza del mandato presidenziale e in assenza di un king maker più o meno dichiarato che guidi le danze e manovri i giochi per la scalata al Quirinale ci possiamo ancora permettere qualche ipotesi di scuola ed un pensiero che non sia solo utilitaristico. E dunque credo che sia per il cosi detto “bene delle istituzioni” o meglio ancora dell’idea di “democrazia che abbiamo” sia per non impigrirci in un pensiero salvifico che ruoti intorno ad un’unica persona si debba rigettare l’idea di un continuum fra Draghi-Presidente del Consiglio e Draghi-Presidente della Repubblica. Ripeto non voglio assolutamente misconoscere i tratti eccezionali e le capacità di Draghi. Ma che ne sarà, che ne sarebbe di un paese che non pensasse di avere fra i suoi quasi sessanta milioni di abitanti nessun altro in grado di assolvere il medesimo compito? E non parlo certo di megalomani capitati per caso autoconvintisi di essere capaci a tutto ma di persone vere, che esistono, lavorano, spessissimo nell’ombra ancor più frequentemente all’estero, in grado se necessario di seguire un analogo percorso di rigore, fermezza, capacità di mediazione politica. Altrettanto dicasi per l’attuale classe politica che soffre e non potrebbe essere diversamente il confronto con Draghi. Costretta a quotidiane scaramucce sul nulla, adagiata su un copione – ciascuno il suo – sempre più stantio e logoro. Quale possibilità non dico di rinnovamento che forse sarebbe sperare troppo ma almeno di dignitosa resipiscenza potrebbe mai avere sapendo che tanto lì in alto c’è colui che tutto veglia e tutto controlla aggiungendovi persino l’allure internazionale e il plauso mondiale? Lo dico a malincuore – mi sia consentito un po’ di sarcasmo – ma alle elezioni non possiamo rinunciare. Né tanto meno alla volontà popolare che sottendono. E dunque senza ripercorrere strade già intraprese e purtroppo poco agevoli non si suggerisca a Draghi di fondare un partito ma lo si faccia portabandiera di una coalizione. E lo si candidi. L’effetto sarebbe quello di costringere ripensamenti a destra e a sinistra visto che in entrambi gli schieramenti questa soluzione per taluni potrebbe essere assai indigesta. Ma avrebbe il merito di costringere l’altra sponda a trovare un degno rivale, salvaguarderebbe la democrazia , assicurerebbe comunque una valida guida. Sempre che lo si voglia.
Flavia Fratello, giornalista di La7
Draghi fino al 2028 o nuovo inizio da subito
Fino ad un anno fa pensavamo di avere due direzioni obbligate, l’Ungheria o il Venezuela. Il cammino del Governo Draghi rappresenta oggi l’unica speranza di recuperare terreno per un paese eternamente in ritardo, poco equo e nemico dell’innovazione. La forza di Draghi nel costruire il Pnrr e che dovrà realizzare le riforme che sono la premessa non ha alternative. Tutto ciò avviene con un impianto costituzionale che ne ostacola il compimento. Il taglio dei parlamentari e l’equiparazione della base elettorale delle due camere rendono necessario e utile l’evoluzione verso una sola Camera di 600 parlamentari. Il superamento del Titolo V e del devastante eterno conflitto di poteri concorrenti Stato-Regioni. Insomma la modernizzazione è solo agli inizi. E’ chiaro che il percorso è solo agli inizi ed è proprio nel superamento del bi-populismo che il paese dimostrerà l’approdo ad una democrazia compiuta e matura. Da questo punto di vista le forze che zavorrano questo cambiamento sono al contempo all’opposizione ma anche nella compagine governativa. Per questo bisognerebbe fare una valutazione onesta del ciclo di vita di tutte le forze politiche e avere il coraggio di dare vita ad una riconfigurazione complessiva dell’offerta politica. Pensando alle scadenze del paese, Draghi a Palazzo Chigi dovrebbe rimanere il più a lungo possibile, il 2028. Ma dall’agitazione di alcune forze politiche da tigri sdentate nella foresta del semestre bianco si vede che è la politica italiana e la sua credibilità, è la vera emergenza. Alcuni partiti fingono responsabilità e maturità nel percorso di avvicinamento alla guida delle istituzioni, altri non fingono neanche, altri, quelli da cui ti aspetti di più, non esitano a farti vedere che senza incarichi di Governo, non saprebbero fare opposizione e per cui improvvisano. Bisogna aprire lo spazio ad una forza politica (esiste?) che sostenga veramente “l’agenda draghi”, indicata il 17 febbraio dal Premier al Senato. Per questo Draghi al Quirinale sarebbe un azzardo e una bella scommessa, come tale, foriera di molti rischi, ma in fondo un acceleratore dei conti con noi stessi, che abbiamo rinviato per troppo tempo.
Marco Bentivogli
Meglio scommettere sul tandem
Manca ancora molto tempo alla scadenza del mandato e nessuno vuole tirare per la giacchetta il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Tuttavia, la sua rielezione rispecchia un sentimento popolare molto ampio. Qualche giorno fa, in occasione del Gala conclusivo del Rossini Opera Festival, il capo dello stato è stato ospite a Pesaro e tanti cittadini che lo hanno incrociato gli hanno chiesto di rimanere. Del resto, la coppia Mattarella-Draghi sta dando grande forza, autorevolezza e credibilità al nostro paese. L’Italia si è impegnata con l’Europa per realizzare riforme profonde, in grado di rendere più semplice e veloce il nostro paese. Riforme che, a mio parere, hanno bisogno di un biennio per essere approvate. L’azione riformatrice sarà fondamentale per sostenere la crescita e l’occupazione, non perdendo le grandi opportunità che arrivano dall’Europa con il Pnrr: per questo motivo il presidente del Consiglio Draghi ha ancora bisogno di tempo. In questo anno e mezzo di pandemia il presidente della Repubblica Mattarella ha dimostrato ulteriormente di avere una capacità straordinaria di guida saggia e unitaria del paese. C’è ancora tempo, è vero. Ma la rielezione di Mattarella è uno scenario che si può avverare solo se tutte le forze politiche, in particolar modo quelle che sostengono il governo Draghi, si troveranno nella stessa posizione. Diffido da chi sta facendo la corte a Draghi per farlo salire al Quirinale, con l’unico obiettivo di andare alle elezioni anticipate. In questo momento l’Italia non ha bisogno di questo e Draghi necessita di tempo per portare a casa i frutti delle riforme. Quindi, lo schema migliore è quello del mantenimento della coppia Mattarella-Draghi e come me la pensano in tanti. Non solo all’interno del Partito democratico, ma è un sentimento trasversale tra le forze politiche e nel paese. Ora ci sono le amministrative, subito dopo si aprirà davvero il dibattito; sono convinto che questa opzione potrà essere largamente maggioritaria, anche se l’ultima parola spetterà naturalmente al presidente Mattarella.
Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, presidente Ali e coordinatore sindaci Pd
Un modello Einaudi per Draghi
L’attuale assetto, con Sergio Mattarella presidente della Repubblica e Mario Draghi a capo del governo, è per molti da tenere fermo, per assicurare la continuità dell’azione governativa e rassicurare i nostri principali partner. Ma la condizione – in assenza della quale l’intero disegno si incrina – è la disponibilità di Mattarella a ricevere un secondo mandato ed egli ha fornito un’indicazione di segno contrario in occasione dei 130 anni dalla nascita di Antonio Segni, quando ne ha sottolineato la convinzione che sia “opportuno introdurre in Costituzione il principio della non immediata rieleggibilità” del Presidente della Repubblica, così da sgombrare il campo dal sospetto che qualche atto sia compiuto in vista della rielezione. Nella medesima occasione, Mattarella ha notato due tratti del suo predecessore: “con il suo governo l’Italia entrò a far parte delle Nazioni Unite e fu tra i sei Paesi fondatori della Comunità economica europea, il cui Trattato reca la firma di Segni: due pietre miliari destinate a caratterizzare tutta la politica estera della Repubblica”. È uno spunto prezioso. Al di fuori dell’UE, perfino la Germania avrebbe un peso economico modesto. L’Europa dell’euro può, invece, avere un reale peso economico. Può avere anche un’influenza politica maggiore, se supererà gli ostacoli che si frappongono a un incremento del bilancio comune e al rafforzamento della sua azione esterna. Draghi è, sotto entrambi gli aspetti, il successore ideale di Mattarella. Lo è anche per quanto concerne la vigilanza sul rispetto degli impegni presi con il Recovery Fund. Per di più, in ragione della sua concezione degli investimenti pubblici e del debito “buono” ad essi correlato, potrebbe svolgere un’opera simile a quella di un altro statista, Luigi Einaudi, per evitare lo sperpero del pubblico denaro, nell’interesse dei cittadini. Se la classe dirigente italiana ne abbia consapevolezza è, ovviamente, un altro discorso.
Giacinto della Cananea, professore di Diritto amministrativo all’Università Bocconi
Meglio due anni al top che sette da padre nobile
E’ giusto quello che martedì scriveva il direttore Cerasa in chiosa al suo editoriale, parlando delle prospettive quirinalizie dell’attuale premier: “Sette anni sicuri nelle mani di Mario Draghi sono preferibili a due anni e poi chissà”. Ricordate quando Grillo un po’ malignamente diceva: “E’ Conte ad avere bisogno del M5s, non il contrario”. Parafrasando la malignità, e alla luce di questi pochi mesi di governo, possiamo affermare che di sicuro l’Italia abbia bisogno di Draghi molto più di quanto Draghi abbia bisogno dell’Italia. Il che è già un’ottima garanzia per un uomo delle istituzioni. Tutto vero. C’è però una domanda a cui occorre rispondere: in quale veste Draghi può davvero fare la differenza per l’Italia? E non solo per l’Italia. In un’Europa così indebolita nelle sue tradizionali leadership – la Merkel in uscita e Macron in calo di credibilità e consensi – Draghi è diventato un naturale punto di riferimento anche per gli equilibri internazionali. L’ultima riprova arriva dalla cronaca di questi giorni, con il premier che di fatto si è dimostrato il più credibile fra i pesi massimi dell’Unione nella delicatissima gestione delle ripercussioni della crisi afghana. Dunque, è indubbio che blindare subito Draghi al Quirinale garantirebbe la sua permanenza in scena per i prossimi sette anni, ma siamo sicuri di poter fare a meno di lui fra soli duecento giorni come presidente del Consiglio, che è l’unico ruolo politico a consentirgli un margine di manovra operativo? Nel paese dei governicchi, dovremmo avere imparato che un anno di governo è troppo poco per consentire a chicchessia – perfino a Draghi – di imprimere una svolta autentica al paese. Specie se per svolta autentica si intende una stagione di riforme, in tempi di Covid, di crisi economica e soprattutto di Pnrr. Col rischio quindi di sprecare quanto di buono è stato seminato in questi pochi mesi. E’ vero: il prezzo da pagare, per l’Italia, sarebbe quello di mantenere un sistema partitico di fatto sotto tutela. Ma proprio la debolezza dei partiti – insieme alle ripercussioni pratiche dell’attuale legge elettorale – ha portato all’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi. E quindi, per citare il direttore, ma ribaltandone la prospettiva, alla fine dico: meglio due anni di Draghi al massimo della sua operatività, piuttosto che sette in un ruolo di padre nobile.
Agnese Pini, direttrice della Nazione
Nell’incertezza meglio un po’ di sicurezza
L’argomento di Cerasa è incontrovertibile e resistente ad ogni obiezione: “Se puoi avere un’assicurazione sulla vita per i prossimi sette anni, sarebbe incomprensibile ridurla a due”. Davvero è il caso di un “whatever it takes” per cogliere l’opportunità di tale assicurazione, prolungando l’opera di Draghi al Quirinale. La congiuntura favorevole, che sta facendo dell’Italia di Draghi un “piccolo modello”, non riguarda solo l’Europa o l’accoglienza del Recovery Plan italiano. Non sfugga la funzione che Draghi assolve sul teatro internazionale più largo, del G7 e del G20: un ruolo che sembra supplire al passaggio di consegne di Angela Merkel ed è, francamente, oggettivamente (e fortunatamente) più largo delle dimensioni e del peso del nostro paese. Non solo nel concerto europeo. Oggi Draghi, anche nel precipitoso crollo di credibilità dell’amministrazione Usa e dinanzi al precipizio afgano è uno dei pochi leader occidentali che può sollevare il tema del dialogo con Cina e Russia senza ingenerare diffidenze e sospetti. Questa fiducia globale sulla figura di Draghi è un capitale enorme, da non lasciarsi sfuggire. E non si deve, non diciamo sciocchezze, alla funzione di premier. Ma alla storia: Draghi, agli occhi del mondo, è colui che ha salvato l’Europa economica dall’abisso. Questa credibilità verrebbe solo messa in protezione, blindata e prolungata dal ruolo di Capo dello Stato. Al contrario, Cerasa ha ragione, sarebbe seriamente compromessa se affidassimo il futuro di Draghi alle contorsioni imprevedibili della politica italiana. La soluzione di emergenza e di compromesso dell’attuale maggioranza ha una “finitudine” naturale, improrogabile, inaggirabile: il 2023. Si spera che il voto chiuda gli annus horiibilis del Parlamento del 2018. Immaginare di prolungare l’emergenza politica, la straordinarietà, gli spasmi dei partiti tra identità e responsabilità è da avventurieri. Meglio, nell’incertezza irriducibile della politica italiana, mettere in sicurezza questo fortunato e insperato minimo comun denominatore: Mario Draghi.
Umberto Minopoli
Sette capodanni bellissimi
Ho letto che questo giornale candida Mario Draghi al Quirinale. Nulla in contrario: l’idea di vederlo in tv per sette capodanni di fila non mi dispiace affatto. Oltretutto così evitiamo anche che si candidi a elezioni (non mi sembra il tipo, ma meglio esserne certi) o che chi si candidi prometta di riconfermarlo a Palazzo Chigi: vedere Mario Draghi trasformato in materia da campagna elettorale e sottoposto al giudizio scellerato e incompetente delle urne sarebbe davvero triste e ingeneroso. Leggo anche che quest’ipotesi significherebbe la fine del tandem Mattarella-Draghi; e perché? Non si può ripetere a ruoli invertiti? Mattarella presidente del Consiglio sarebbe un bel colpaccio. Unica mia vera perplessità, comunque, è se il Quirinale sia abbastanza per Mario Draghi. Non tanto per lui, che mi sembra non abbia grandi grilli per la testa, quanto per noi: un asso come lui non va sprecato. Ecco, io mi chiedo se Draghi non sia meglio farlo Papa: solo uno come lui potrebbe sistemare la situazione dei conti in Vaticano. E, con chissà chi a Palazzo Chigi, uno come Draghi a cui appellarsi perché interceda per noi presso Dio potrebbe farci comodo.
Saverio Raimondo
i conti dell'italia