Il sottosegretario Claudio Durigon (foto Ansa)

Il passo indietro

Il caso Durigon. "Dimissioni ma non va umiliato". Il lavorio di Draghi e il fastidio per i toni eccessivi di Pd e M5s

Dimissioni ma con stile per permettere il passo indietro del sottosegretario

Carmelo Caruso

Draghi lavora con Salvini e lo stesso Salvini apre alle dimissioni, ma i toni di Enrico Letta possono compromettere il passo indietro che va gestito con molta prudenza e con rispetto per il ruolo di Durigon

Ha detto, e lo ha detto al Foglio, che non si dimette. Cosa stanno ottenendo Pd e M5s con questo attacco quotidiano a Claudio Durigon? Stanno favorendo la sua resistenza. Stanno offrendo un valido motivo a Matteo Salvini per non fare quello si accingeva e che dovrà fare: sacrificare un uomo che gli è caro, un fedelissimo che ha dimostrato lealtà e goffaggine. Martedì sera, a questo giornale, il sottosegretario assediato aveva promesso: “Non lascerò mai”. Era invece pronto a fare il passo indietro perché rimane un uomo di partito e perché da Palazzo Chigi era stato garantito: “Non verrà umiliato”. In questi casi, e Durigon lo sa, si lascia un incarico di governo per ingraziarsi il proprio leader. La frase di Salvini, a margine del Meeting di Cl: “Ci parlerò e farà il bene del movimento” significava che Durigon si sarebbe congedato perché diventato un problema e noi della Lega, ha garantito Salvini, “non aggiungiamo problemi al governo”.

 

E’ infatti un problema della Lega. Durigon è un uomo snodo, ha le chiavi della macchina organizzativa, è determinante, forte del suo passato ruolo da sindacalista nell’Ugl. Il risultato, alle prossime amministrative, in particolar modo quelle di Roma, dipende dalla sua capacità di muovere la sua base, quella base che ha dovuto accarezzare con quella frase maldestra che gli sta costando l’incarico. Quante sciocchezze si dicono per prendere voti? La sua idea di rititolare il parco di Latina, al fratello tonto e corrotto del Duce, quell’Arnaldo Mussolini, che forse neppure Durigon conosceva fino in fondo, la proposta di rimuovere il nome dei giudici Falcone e Borsellino, è una proposta di cui si è pentito. La mozione di sfiducia annunciata da Giuseppe Conte, l’aggressività di Letta, che fino a ieri, ha ricordato che Durigon deve andarsene, hanno offuscato un lavoro di governo. Si è raccontato che Mario Draghi preferisse non occuparsi del problema, che Draghi lo lasciava al suo posto. C’è invece un modo di gestire questi episodi dolorosi. Da giorni, mentre si susseguivano gli attacchi al sottosegretario, Palazzo Chigi, che “sa cosa deve essere fatto”, portava avanti con il leader della Lega una trattativa che è sbagliato chiamare trattativa. E’ più un parlare di responsabilità e di opportunità. Due appuntamenti.

 

Lunedì mattina, Draghi ha incontrato Salvini, di pomeriggio Giancarlo Giorgetti che a Rimini, proprio oggi, ha detto: "Un membro del governo si dimette se lo chiede il presidente del Consiglio o il suo segretario di partito. O per una decisione di coscienza. Quando si è investiti di responsabilità di governo bisogna essere molto attenti a quello che si fa". E’ chiaro che negli inconti Draghi-Salvini-Giorgetti si è parlato di Durigon e si è concordato che in questo governo “chi lascia merita rispetto per il lavoro svolto e che nessun deve permettersi di umiliare chi ha lavorato per questo esecutivo”. Anche un uomo come Bruno Tabacci, che è davvero un amico lontano e vicino di Draghi, ha lasciato una importante delega. La verità, anche se nessuno ci crede, è che la Lega, Salvini, hanno dimostrato di essere pronti a fare “tutto quello che serve per non indebolire l’esecutivo”. Il Salvini di scena va sempre distinto dal Salvini di governo. Gli attacchi alla ministra degli Interni, Luciana Lamorgese fanno parte del repertorio del Salvini di scena. Ma si fermano appunto a sceneggiate. Il caso Durigon è diverso. La verità è che Palazzo Chigi non può mai apprezzare le uscite tese a umiliare, a vanificare un lavoro lungo e difficile che è stato portato avanti in questo difficile agosto. La frase di Enrico Letta, ad esempio, quella frase spicciola, sempre al Meeting di Rimini, per fare contenti i giornali e il M5s che ha investito in questa battaglia, quella frase, “la vicenda Durigon deve essere risolta”, non è una frase di chi davvero vuole accompagnare Durigon all’uscita. Chi vuole farlo dimettere con questo stile è chi non ha lo stile di (questo) governo.

 

 

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  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio