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Dai produttori ai festival

Ciak, si vaccina! L'obbligo vaccinale e il buon esempio del cinema americano (e italiano)

Claudio Cerasa

Da Netflix a Disney fino a Warnermedia e Amazon, i colossi dell'intrattenimento mondiale hanno deciso di imporre l’obbligo vaccinale a lavoratori e pubblico. Succederà anche a  al Festival di Venezia e alla Lux Vide di Luca Bernabei. In attesa della politica, i privati possono fare tanto

Lo stato farà certamente la sua parte, la pubblica amministrazione darà probabilmente il buon esempio, gli insegnanti è verosimile che diano lezioni di responsabilità, Ma nell’attesa di riuscire a trovare una qualche strategia ulteriore diversa dall’obbligo imposto per legge per vaccinare il numero più ampio di persone possibili (“vaccinarsi è un dovere, è l’unico strumento efficace”, ha ricordato ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, intervenendo al Meeting di Rimini) si può dire che uno dei settori che in giro per il mondo, e anche in Italia, hanno offerto negli ultimi mesi uno spettacolo magnifico, fatto di responsabilità, di saggezza e di amore per il prossimo, è un mondo importante come quello del cinema, dove con un approccio alla realtà superiore a quello di molti politici è risultata chiara un’equazione che solo agli stolti risulta estranea: per tornare alla normalità il più presto possibile occorre vaccinarsi e chi nel suo piccolo non si impegna al massimo per incentivare le vaccinazioni non è un amico della libertà ma è un inconsapevole amico della pandemia.

 

Succede che anche in Italia, così come in America, il mondo del cinema si sia trovato in prima linea per promuovere atteggiamenti virtuosi, esemplari, finalizzati non soltanto ad accettare senza colpo ferire iniziative come il green pass ma finalizzati anche a trasformare il mondo del cinema in un modello per il resto del paese, offrendo un messaggio che grosso modo potrebbe suonare così: vaccinatevi tutti, e basta cazzate. In America, prima ancora che in Italia, Netflix, da inizio agosto, sta richiedendo che siano vaccinati tutti coloro che prendono parte a una produzione e tutti coloro che anche per un tempo limitato entrano a contatto con chi si trova a lavorare all’interno di una produzione. La Disney, pochi giorni fa, ha comunicato che avrebbe dato tempo fino a metà ottobre per far vaccinare i suoi dipendenti, pena il licenziamento, e ha affermato di non essere disposta ad assumere personale non vaccinato. Amazon Studios, la casa di produzione cinematografica di Amazon, dopo qualche settimana di tentennamento dovuto alla presenza non esigua di dipendenti no vax all’interno dei magazzini, ha deciso di imporre un obbligo di vaccinazione per tutti coloro che lavorano nelle produzioni americane e lo stesso dovrebbe fare presto per tutte le produzioni europee.

 

L’identica cosa ha deciso di fare un colosso mondiale come WarnerMedia, attualmente impegnata in una mega fusione con Discovery, che comprende Warner Bros. Entertainment, Hbo e Turner Networks, e che a partire dal sei settembre accetterà solo personale vaccinato (a New York non c’è il green pass, ma tutti i teatri di Broadway hanno comunicato che richiederanno che i membri del pubblico, gli artisti, i lavoratori della troupe e il personale del backstage vengano vaccinati una volta che i locali riapriranno questo autunno). Le case di produzione americane hanno deciso di seguire in massa questa linea di condotta non solo per questioni legate al buon senso ma anche per questioni legate ad alcuni accordi sindacali conclusi a metà del mese in base ai quali i rappresentanti delle case di produzione e i rappresentanti dei sindacati (Landini, scansate) hanno trovato un accordo quadro per rendere possibile le politiche di obbligo vaccinale all’interno delle produzioni.

 

I sindacati in Italia, purtroppo, non sono all’altezza di quelli americani, ma i produttori invece sì. E da giorni le caselle di posta elettronica di molti dipendenti e di molti collaboratori del mondo del cinema si sono riempite di messaggi come quelli inviati nelle ultime settimane da Luca Bernabei, numero uno della Lux Vide, che, seguendo una strada tracciata pochi giorni prima dal numero uno di Palomar Carlo Degli Esposti, ha comunicato ai suoi dipendenti, l’obbligo, alla riapertura della sede dopo l’estate, se non di vaccinazione quantomeno di un appuntamento certo per andarsi a vaccinare, dimostrando, tra l’altro, che, come sostiene il giuslavorista Pietro Ichino, “la legge già oggi non solo autorizza ma anche richiede al datore di lavoro di attivarsi, anche unilateralmente, per la vaccinazione dei propri dipendenti, in tutti i casi in cui le modalità di svolgimento del lavoro in azienda presentino un rischio di contagio”.

 

“Ho invitato – dice al Foglio Bernabei – i dipendenti della Lux a rimanere a casa al ritorno dalla pausa estiva qualora non siano vaccinati e ho anche detto, come da recente sentenza del tribunale del Lavoro di Modena, che non percepiranno emolumenti fino a quando non provvederanno a immunizzarsi, vaccinandosi”. L’equazione è semplice: più aumentano i vaccinati, più la situazione migliorerà, più chi ama il cinema e le produzioni televisive potrà dare il suo contribuito per vivere nella stagione della post emergenza. Lo hanno capitato i produttori, lo hanno capito i registi, lo hanno capito gli attori e lo hanno capito bene anche tutti coloro che nelle prossime settimane andranno a organizzare festival del cinema. A Venezia, a inizio settembre, come è naturale che sia, l’ingresso nelle sale del Festival sarà ovviamente vietato a chiunque non abbia un green pass. E pochi mesi più tardi, quando sarà la volta del Sundance Film Festival di Park City, nello Utah, gennaio 2022, gli organizzatori del festival curato da Robert Redford avranno già inviato una lettera a tutti gli interessati specificando che l’ingresso nelle sale sarà concesso solo a chi esibirà un certificato vaccinale.

 

“Bisogna dirlo senza se e senza ma – aggiunge in conclusione Luca Bernabei – e bisogna ripeterlo in ogni circostanza: dobbiamo vaccinarci tutti, come ha detto a chiare lettere anche il presidente del Consiglio, per garantire l’interesse superiore della salute e il diritto al lavoro, che sono sanciti dalla Costituzione. Chi non è vaccinato però, a mio parere, non può reclamare tale diritto, perché la sua libertà confligge con la nostra libertà di lavorare in ambienti di lavoro protetti. Il vaccino è come il caschetto giallo per chi lavora in cantiere o la tuta con le maschere dei nostri cari medici e personale sanitario a cui tanto dobbiamo”. Lo stato farà certamente la sua parte, la pubblica amministrazione darà probabilmente il buon esempio, gli insegnanti è verosimile che diano lezioni di responsabilità, ma nell’attesa di trovare una nuova strada politica per far accelerare le vaccinazioni i privati, nel loro piccolo, possono fare molto e possono dare il buon esempio, come stanno facendo il mondo del cinema e quello della televisione, anche a costo di rischiare qualche reclamo e di far imbronciare qualche sovranista senza cervello e qualche sindacalista irresponsabile. Ciak, si vaccina.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.