Talebani a Kabul (LaPresse)

L'intervento

Andare a Kabul è stato giusto, adesso non lasciamo gli afghani soli

Piero Fassino

L'infausta conclusione della missione internazionale in Afghanistan apre alcuni interrogativi: dall'emergenza umanitaria alle relazioni con i talebani. Ci scrive il presidente della Commissione Esteri della Camera

La infausta conclusione della missione internazionale in Afghanistan solleva interrogativi a cui vorrei offrire qualche risposta. 

1. È stato giusto andare in Afghanistan? Era certamente necessario: per contrastare e sconfiggere l’aggressione terroristica di al Qaida e del jihad, avviata con la distruzione delle Torri gemelle di New York e proseguita per anni con attentati a Parigi e in tante altre città occidentali; e per eradicare le complicità e omertà talebane che consentivano l’attività omicida di Bin Laden. Il che significava anche sostenere un processo di costruzione di un Afghanistan diverso da quello governato dai talebani. D’altra parte se in queste ore tutto il mondo vive con angoscia il destino delle donne afghane, è perché in questi vent’anni a quelle donne sono stati assicurati diritti civili, spazi di libertà e una dignità prima negati. Basterebbe già solo questo – oltre alla sconfitta di al Qaida – per dimostrare che essere andati in Afghanistan non è stato un errore.

 

2. Ma allora perché la sua conclusione è stata così catastrofica? Perché una buona causa può essere gestita con errori che ne compromettono la finalità. E, a mio avviso, l’errore strategico è stato il modo con cui sono state condotte le trattative con i talebani. Negoziato tardivo perché il momento per una trattativa per una soluzione politica era all’indomani della uccisione di Bin Laden e dello smantellamento di al Qaida, quando la missione internazionale era forte del suo successo e la forza militare dei talebani era ancora modesta e non radicata. E negoziato condotto in modo errato, senza alcun coinvolgimento degli altri paesi della missione internazionale e – errore ancor più grave – trattando con i soli talebani, escludendo il governo di Kabul e quindi delegittimandolo. Diverso sarebbe stato promuovere un negoziato con tutte le parti afghane, spingerle ad un accordo per un governo di unità nazionale e mantenere la presenza militare a garanzia di quell’accordo, riducendola gradualmente in relazione al consolidarsi del nuovo governo e al rispetto degli accordi.

 

3. Isolare o trattare con Kabul? La risposta non può che venire da quel che faranno i talebani. Perseguiteranno coloro che si battono per i diritti umani? Vieteranno alle ragazze di andare a scuola e alle donne di lavorare ? Imporranno alle nubili matrimoni forzati contro la loro volontà? Applicheranno la sharia nel modo più brutale, tagliando le mani ai ladri e lapidando presunte adultere e omosessuali? Daranno ospitalità alle organizzazioni terroristiche? È chiaro che in questo caso l’atteggiamento della comunità internazionale non potrà che essere molto severo. Onoreranno, invece, i talebani le espressioni di moderazione di questi giorni, non dando corso a rappresaglie, rispettando i diritti delle donne, formando un governo di coalizione, non offrendo copertura alle organizzazioni terroriste? Allora si valuterà se e come stabilire relazioni, anche per evitare che l’Afghanistan sia assorbito nella sfera di influenza di Cina e Russia, paesi non particolarmente sensibili ai diritti umani. 

 

4. Come gestire l’emergenza umanitaria? In una situazione caotica procedono i ponti aerei per evacuare il personale delle missioni e i collaboratori afghani, nonché cooperanti, volontari delle associazioni umanitarie e persone esposte al rischio di rappresaglia talebana. Migliaia di persone che abbiamo il dovere di accogliere con una grande mobilitazione civica e sociale, così come accogliemmo con generosità gli esuli del Cile e i profughi della Bosnia. All’emergenza di queste ore, dovranno seguire corridoi umanitari che, dovendo essere negoziati con le autorità di Kabul, è opportuno siano promossi e organizzati dall’Unhcr il cui profilo umanitario e onusiano, offre maggiori garanzie di efficacia e sicurezza. Ma dovremo guardare con altrettanta attenzione a chi non intende lasciare l’Afghanistan per continuare a battersi per diritti e libertà. Non lasciarli soli è importante quanto accogliere chi oggi è costretto a lasciare il proprio paese.

Piero Fassino, presidente della Commissione Esteri della Camera dei deputati

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