C'è un ambasciatore iperattivo a Kabul

Micol Flammini

David Martinon ha aperto una sede diplomatica all'aeroporto della capitale, che diventa una meta sempre più pericolosa da raggiungere per chi vuole fuggire dall'Afghanistan. I talebani bloccano le strade e le forze speciali francesi cercano di organizzare le evacuazioni

Ieri anche a Kabul sono andate avanti le manifestazioni contro il regime talebano e il simbolo è il più semplice che possa esserci: la bandiera tricolore dell’Afghanistan. I cittadini sfilano con una bandiera lunga duecento metri da opporre a quelle del regime. Oltre alla capitale, hanno continuato a protestare a Jalalabad, Khost, Asadabad, dove ci sono stati anche dei morti. A Kabul è la zona attorno all’aeroporto la più violenta. La strada per raggiungerlo si è fatta molto pericolosa. L’aeroporto rimane sotto il controllo degli Stati Uniti, è sorvegliato da cinquemila truppe americane, mentre i talebani pattugliano la via principale da percorrere per arrivarci, sparano e chiudono gli ingressi: vogliono trattenere a Kabul gli afghani che cercano di scappare disperatamente. In tanti si ammassano fuori, mostrano i documenti, cercano di entrare e si scontrano con la violenza dei talebani. L’aeroporto è l’ultimo appiglio, il passo prima della fuga, accedervi equivale a salvarsi. Dentro si affaccenda anche la diplomazia. I francesi hanno aperto una sede dell’ambasciata in uno degli uffici, lo ha comunicato l’ambasciatore David Martinon: “Ai nostri amici afghani: l’ambasciata francese è stata trasferita all’aeroporto”. Tutti i diplomatici hanno lasciato le loro sedi nella Zona verde e adesso continuano a lavorare e a fare visti da una sede improvvisata. Martinon era stato criticato per aver girato un video mentre si allontanava in sicurezza dalla Zona verde.

Ma la sua non era una fuga disordinata da Kabul, era un trasferimento, e adesso l’ambasciata francese funziona ancora e ha messo a punto uno dei piani più capillari per permettere a quante più persone di lasciare l’Afghanistan. Raggiungere l’aeroporto si fa sempre più complicato: per il momento i talebani lasciano ancora passare i soldati stranieri, anche se sempre con più difficoltà. Ci sono state delle trattative fra i francesi e i talebani per portare fuori dalla capitale cittadini afghani e francesi: per esfiltrare il maggior numero di persone possibile non c’era altra scelta che negoziare. Le operazioni vengono svolte dagli uomini del Raid, il corpo d’élite di intervento rapido della polizia nazionale, affiancati dalle forze speciali. Insieme partono dall’aeroporto, si dirigono verso la capitale, caricano le persone nei convogli e le portano fino in aeroporto. Uno dei ragazzi del Raid ha raccontato a Rtl che il tragitto, mentre si procede all’evacuazione, sembra lunghissimo, cinque chilometri che sembrano infiniti e che vengono attraversati a dita incrociate.

Gli accordi ci sono, ma i talebani, che si stringono sempre di più all’aeroporto, potrebbero venirvi meno in ogni momento. Nell’ufficio improvvisato dell’ambasciata francese si fanno visti, si organizza il trasporto di chi è ancora rimasto a Kabul. E Martinon, ex portavoce di Nicolas Sarkozy, più abituato alla tranquillità della sua ex sede diplomatica di Los Angeles che alle scene di guerra di Kabul, criticato per gli occhiali da sole, il giubbotto antiproiettile e il gusto della “messa in scena”, come ha scritto Libération, sta cercando di mettere ordine nel caos della fuga dall’Afghanistan. Assieme agli inglesi, il lavoro delle forze speciali francesi sta cercando di garantire l’evacuazione di chi, per il momento, ne ha diritto. Gli americani permettono di mettere in sicurezza più di 30 mila persone, chiedono ai talebani di lasciare ancora passare chi ha i documenti. Ma all’aeroporto si continua a sparare. Il tempo, per gli occidentali e gli afghani che vogliono scappare, si restringe sempre di più.
                                                                                                                                                                     

(ha collaborato Mauro Zanon)

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  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.