Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Letta teme la “crisi di rigetto” sui migranti, e marca Salvini

Valerio Valentini

“Occhio, la gente potrebbe non apprezzare l’accoglienza”, dice il segretario. Ma la Lega s’incarta sull’Afghanistan, e la tensione tra Pd e destra stavolta si riflette sull'agenda di governo

Il fantasma del dubbio, dice lui, lo ha visitato tra le viuzze di Serre di Rapolano. Duemila anime a ridosso della Valle dell’Ombrone, in quella Toscana di campagna dove le critiche si fanno con schiettezza, senza tanti convenevoli. E’ stato lì, mentre stringeva mani e firmava copie del suo libro al termine del comizio per la corsa alle suppletive senesi, che Enrico Letta s’è visto puntare degli indici addosso: “Oh segretario, non è che adesso però questi afghani ce li prendiamo tutti noi?”. Ansie, come si dice, da paese reale. E siccome le stesse obiezioni, le stesse raccomandazioni, l’ex premier se le era sentite rivolgere poche ore prima in quel di Trequanda, al termine di un aperitivo in piazza Garibaldi con vista sulla rocca medievale e di sfondo la Val d’Orcia, a quel punto l’ansia è diventata concreta. E così l’ordine, ai suoi fedelissimi, l’ha fatto arrivare forte e chiaro. “Questa grande ondata emotiva di solidarietà verso il popolo afghano rischia di sfumare, di qui a qualche settimana, in paura. Anche perché la destra di Matteo Salvini e Giorgia Meloni già stanno battendo su quel tasto”, ha detto ieri mattina Letta ai membri della sua segreteria, collegati in videoconferenza dai loro ritiri ferragostani. “E dunque dobbiamo stare attenti a prevenire una possibile crisi di rigetto, un rifiuto all’accoglienza”.

 

E’ di lì che è nata l’idea di una mobilitazione per certi versi atipica. Prevede anzitutto la promozione di una raccolta fondi a favore di quattro ong (Pangea, Emergency, Croce rossa e Women for women International) che operano tuttora in Afghanistan, impegnandosi in particolare per il sostegno alle donne. Altre donazioni, sempre nell’ambito di questa campagna, andranno poi all’Anci, per contribuire alle operazioni di accoglienza dei profughi afghani che arriveranno nei prossimi mesi. E, sempre in quest’ottica, ci sarà anche un impegno del Nazareno per coordinare le iniziative dei sindaci del Pd impegnati nel ricevere i migranti. “Siamo a un passaggio storico, il Pd è l’unico e l’ultimo partito radicato ovunque, e ha organizzazione e forza per mettersi a disposizione”, è il ragionamento che Letta ha condiviso col suo staff. “C’è un tema di percezione della gravità della situazione da parte della pubblica opinione? Certo, c’è ovunque. Ma si tratta di uno snodo storico e in ballo ci sono valori di libertà e solidarietà insiti nel dna dem, oltreché nella Costituzione”.

Ora, al netto dell’enfasi, al netto perfino di un certo velleitarismo elettorale, la prospettiva potrebbe invece essere quanto mai politica. Perché, in questa affannosa ricerca di un’identità perduta, in questo sforzo di riaffermare i “valori della sinistra” traditi dal renzismo, finora Letta aveva sempre battuto sentieri laterali, rispetto all’agenda del governo. Questioni buone per alimentare la polemica del Parlamento e dei social, come il ddl Zan o lo ius soli, ma che a Palazzo Chigi arrivavano come l’eco irrilevante di un rumore di fondo. E invece stavolta no. L’Afghanistan è un problema che, per la sua delicatezza sul piano internazionale, s’è posto di prepotenza in cima al dossier che Mario Draghi tiene sulla sua scrivania: come e più delle riforme prevista dal Pnrr, come e più della gestione della campagna vaccinale. E la fermezza con cui il premier s’è coordinato con Angela Merkel, sfruttando anche l’infaticabile lavoro del suo consigliere diplomatico Luigi Mattiolo, ambasciatore che conosce bene gli umori prevalente a Berlino, dimostra che di scantonamenti, su questo campo, l’ex capo della Bce ne consentirà ben pochi. E quindi le fughe in avanti, da un lato e dall’altro, se andranno al di là delle solite dichiarazioni d’intenti per soddisfare le rispettive tifoserie, saranno destinate a produrre tensioni vere, nel governo.

 

E qui c’è anche la scommessa politica di Letta. Il quale sa che quello sul coordinamento dei flussi migratori sarà inevitabilmente un settore su cui ci si dovrà muovere a livello europeo: e dunque le intemperanze di Salvini potranno diventare insostenibili, alla lunga. “Già questi attacchi sguaiati a Joe Biden, che è un nostro alleato, sono discutibili per chi si dice leale sostenitore di un premier che col presidente americano deve mantenere un buon rapporto”, ci dice il deputato dem Carmelo Miceli. “Tanto più, poi, se si pensa che quando fu Trump a porre le basi per questo disimpegno, Salvini non disse nulla”, prosegue. “Tanto più – insiste – se la soluzione che lui torna a proporre è quella di riallacciare i rapporti con la Russia”.

Figurarsi poi se davvero Draghi potrebbe andare a Bruxelles a sostenere la tesi rilanciata dal leader della Lega in queste ore. Quella, cioè, secondo cui “donne e bambine afghane sì, le accogliamo, ma no a migliaia di profughi uomini. Ed è qui, appunto, al di là dell’assurdità della tesi, che Letta punta a guadagnare agibilità politica nell’agenda di governo. “Perché in Europa, quando si arriverà a porre il problema, la questione migratoria verrà affrontata nella sua integrità”, spiega Enrico Borghi, responsabile Sicurezza del Nazareno. “Un’intesa sulla crisi afghana agevolerà anche un accordo serio sulla ridistribuzione dei migranti che arrivano da Libia e Tunisia, oltreché il ripensamento in chiave comunitaria della missione Irini. E dunque boicottare questo negoziato ponendo pretese insostenibili sulla chiusura dei porti o sulla selezione dei rifugiati in base al sesso, non è una proposta che Salvini potrà sostenere, di fronte a Draghi”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.