il caso

Così il M5s innesca una zuffa istituzionale intorno a Mps

Valerio Valentini

La grillina Ruocco pretende di usare la sua commissione d'inchiesta sulle Banche per convocare ministri e ad di banche. Pd e Iv scrivono a Fico e Casellati, ricordando i moniti di Mattarella. Intanto Franco rassicura: "Nessuna svendita e nessuno smembramento. Ma niente rinvii con l'Ue"

Una lettera di due presidenti, con in allegato la lettera di un terzo presidente, il più importante di tutti, che si lamenta con altri due presidenti dell’operato di un ultimo presidente. Ci mancava insomma il contenzioso istituzionale – con un richiamo del Quirinale rispolverato dal renziano Luigi Marattin e dal dem Luciano D’Alfonso e inviato a Roberto Fico ed Elisabetta Casellati – per  ingarbugliare ancor più la crisi del Monte dei Paschi di Siena. Ma siccome quando la situazione è grave non è quasi mai seria, in Italia, ecco che sul proscenio di una delle più delicate acquisizioni bancarie di sempre s’avanza Carla Ruocco. Lei, la grillina tutta d’un pezzo, che seppe guadagnarsi una certa notorietà quando, nel dicembre del 2014, incalzò Ignazio Visco pretendendo di sapere “dov’è, proprio fisicamente, l’oro di Banca d’Italia”. E forse è per questi meriti che l’anno scorso, quando i capi del M5s si ritrovarono a dover scegliere un presidente per la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle Banche, pensarono bene: “Perché non Carla?” (d’altronde Elio Lannutti era appena scivolato sui Savi di Sion, pareva brutto).

 

Ma lei, la Ruocco, quel suo incarico l’ha preso fin troppo sul serio, se è vero che ora proprio il suo protagonismo diventa un motivo di scontro politico tra le Camere e il Mef. Perché è indubbio, come spiega il senatore dem D’Alfonso, che “il dossier Mps ha bisogno di sovrintendenza del Parlamento, per le note ragioni  di tradizione, di valenza sociale e territoriale della banca”, ma è altrettanto evidente che l’organo competente per approfondire il tema non può essere, come la Ruocco vorrebbe, una commissione d’inchiesta. “Che, in quanto d’inchiesta, dovrebbe indagare su quel che è avvenuto in passato, non certo su una complessa acquisizione ancora in corso”, ha convenuto Marattin, durante una riunione alla Camera di due giorni fa.

 

E invece la Ruocco ha tentato in ogni modo di ottenere lei, nella sua commissione, l’audizione di Daniele Franco, che di fronte a quella richiesta ha comprensibilmente sgranato gli occhi, tre giorni fa, optando poi, più ragionevolmente, per la convocazione nelle commissioni Finanze di Camera e Senato, ovvero quelle competenti per materia. E però la Ruocco, già membro del fallimentare direttorio del M5s, grande capofila della battaglia per l’uscita dall’euro negli anni d’oro del grillismo d’opposizione (“La moneta unica è un fallimento, questo posso gridarlo ai quattro venti”) – non è certo tipa che demorda: e dunque, dopo una mezza zuffa coi suoi colleghi di commissione che l’ha spinta a desistere dal chiamare in causa il ministro dell’Economia, ha provato poi a ripiegare sui vertici di UniCredit, lasciando intendere di voler audire l’ad Andrea Orcel.

 

Ed è stato a quel punto che i presidenti delle commissioni Finanze di Montecitorio e Palazzo Madama hanno deciso, dopo aver riunito i rispettivi uffici di presidenza, di scrivere a Fico e Casellati. Per chiedere che siano loro, forti della loro autorità, a chiarire quale sia il perimetro d’azione entro cui una commissione d’inchiesta può muoversi. Ricordando, peraltro, il monito che a suo tempo venne dal Quirinale. Perché Sergio Mattarella, non esattamente entusiasta del fatto che l’organo bicamerale inquirente si fosse attribuito, su volere dell’allora maggioranza gialloverde, il compito di “analizzare la gestione degli enti creditizi e delle imprese di investimento”, nel marzo del 2019 acconsentì alla sua istituzione solo a seguito di un dispaccio fatto recapitare ai presidenti di Camera e  Senato in cui precisava, tra l’altro, che “queste indicazioni, così ampie e generali, non devono poter sfociare in un controllo dell’attività creditizia, sino a coinvolgere le stesse operazioni bancarie”.

 

Un confine che, in verità, la commissione guidata dalla Ruocco è parsa sfiorare più volte: come quando, nel luglio scorso, decise di convocare i vertici di varie banche con l’obiettivo dichiarato di promuovere, per interposta Cassa depositi e prestiti, un fondo sui crediti deteriorati. E così, dopo l’ennesimo scantonamento della Ruocco, e per di più su un tema così controverso come la vicenda Mps, i presidenti delle commissioni Finanze hanno avanzato una formale richiesta di chiarimento a Fico e Casellati, allegando proprio la lettera di allerta di Mattarella.

 

Proprio nel giorno in cui Franco, parlando alle commissioni preposte ad audirlo, ha spiegato che no, su Mps “non si tratterà di una svendita di stato”, né sono giustificati gli allarmismi sui rischi di smembramento, e che del resto UniCredit è stato l’unico operatore bancario che ha manifestato interesse all’acquisizione. Ha confutato le tesi che vagheggiano di uno stand alone del Monte (del resto il nuovo piano della banca prevede obiettivi ben al di sotto di quelli auspicati da Bruxelles) così come quella, propugnata da Salvini e dalla stessa Ruocco, di un rinvio della dismissione della partecipazione statale già concordata entro fine anno con l’Ue. “Ci sarà la massima attenzione – ha poi garantito il ministro – ai 21 mila dipendenti di Mps, attraverso una pluralità di strumenti, e alla salvaguardia del marchio, soprattutto in alcune regioni”.    

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.