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La pistola di Voghera è il riflesso della politica sull'Aventino

Salvatore Merlo

La fatuità del nazionalpopulismo, l’arma della paura, la chance persa dal Pd

Una sinistra che va scampagnando sull’Aventino della realtà e una destra populista che invece vendemmia voti con la paura e dunque non ha certo intenzione di segare proprio quel  ramo sul quale è appollaiata. Gli uni non vedono al di là del proprio naso e gli altri vedono sin troppo bene. Dunque Enrico Letta nella storia di Voghera si concentra sulla pistola. “Un uomo è morto per colpa di una pistola”, ha twittato il segretario del Pd. “Saranno gli inquirenti a decidere, ma una cosa dobbiamo e possiamo farla: #StopArmiPrivate. In giro con le armi ci devono andare solo poliziotti e carabinieri”. Ed è come se Letta  ignorasse che Massimo Adriatici, l’assessore-sparatore, aveva tre volte diritto alla pistola: perché assessore, perché avvocato e infine perché ex poliziotto. L’Italia non è gli Stati Uniti d’America. Il porto d’armi è regolato. E questa non è una storia di armi libere, ma una specie di apologo sulla tragica fatuità del nazionalpopulismo.

 

Come infatti Matteo Salvini si travestiva da poliziotto ai tempi in cui era  ministro dell’Interno, così Adriatici esibiva la fondina da assessore alla Sicurezza. E come quello gestiva il Viminale citofonando agli spacciatori, vero fanigottone da social media, così quell’altro andava in giro per le strade affrontando gli ubriachi quando invece avrebbe dovuto chiamare i vigili urbani, sensibilizzare il prefetto, aumentare l’illuminazione pubblica, restaurare le panchine, esercitare il suo ruolo di amministratore. Non governo, ma rappresentazione. Non responsabilità ma effetto di scena,  presenzialismo esibito.

 

Eppure il Pd questo non lo vede. La pistola diventa per la sinistra un dettaglio che consente di sorvolare su tutti i guasti sui quali i populisti speculano: sui problemi di Voghera che sono i problemi di mezza Italia, sulla paura,  su quella piazza degradata in cui le donne la sera non si sentono libere di passeggiare, quel luogo centrale che nel pomeriggio è interdetto ai bimbi perché ci sono ubriachi che urinano e defecano. Eccolo, appunto, l’Aventino della realtà. Letta ieri non ha pensato di inviare a Voghera il suo delegato alle politiche di sicurezza, Enrico Borghi. Quantomeno per capire. Per ascoltare. E rivelare così l’impostura leghista. C’è un problema di integrazione? Mancano risorse per i controlli?  Le persone sono spaventate? Di cosa hanno bisogno? No. Niente. Il Pd vuole solo proporre, a quanto pare, una nuova legge sul porto d’armi: #StopArmiPrivate. Tenta di afferrare all’improvviso un’altra bandierina. A caso. Come capita. Come col ddl Zan.

 

Così aderisce all’idea integralmente salviniana – nel senso che l’unico ad avvantaggiarsene è proprio Salvini – di un’Italia composta da tanti piccoli Charles Bronson muniti di calibro 38. In un paese, il nostro, in cui in verità la legislazione in materia è già molto severa. Il dito e la luna.

 

Intanto però chi al contrario la luna la vede benissimo è la destra populista, quella dell’assessore Adriatici, il Salvini in sedicesimo. “I populisti fanno finta di ascoltare, quando invece il loro unico obiettivo è di tenere incatenata la gente alle proprie paure”, diceva Marco Minniti, uno che è stato spicciato fuori dalla sinistra mentre la invitava a non chiudere gli occhi. A scendere dall’Aventino. In pratica ad ascoltare anche il barista di Voghera che mercoledì descriveva la piazza dov’è avvenuto l’omicidio come l’orrida intersezione tra la fogna di Calcutta e Tombstone. Un posto in cui l’assessore Adriatici faceva il verso a Clint Eastwood senza risolvere niente. Il circo. Finito male.

 

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.