le regole dello statuto grillino

Chi è sovrano nel M5s? La dura legge del Garante

Luciano Capone

Sbagliano gli improvvisati consulenti legali di Conte, Vito Crimi e Marco Travaglio, secondo lo statuto in vigore si vota su Rousseau e chi comanda è Grillo (d'altronde è proprio per questo motivo che Beppe ha rotto con Giuseppi)

Beppe Grillo torna sui suoi passi: scarica Giuseppe Conte e il suo statuto e indice la votazione su Rousseau per eleggere il Comitato direttivo previsto dallo statuto in vigore. Ma per Vito Crimi, presunto capo politico, non si può fare: votare su Rousseau “violerebbe quanto disposto dal Garante della Privacy”. La storia del M5s è una storia di statuti, regolamenti, ricorsi e carte bollate. E molta della confusione politica dipende dal fatto che neppure i vertici del M5s conoscono le norme che regolano la vita del partito e, quindi, come risolvere le controversie. Pertanto è importante definire la situazione e chi ha i poteri per decidere le prossime mosse.

 

Sorprende che un professore di Diritto privato come Conte si affidi all’interpretazione legale di Crimi, che risulta tanto debole quanto sconclusionata: “Il voto non potrà avvenire sulla piattaforma Rousseau – dice l’assistente giudiziario Crimi – poiché questa è inibita al trattamento dei dati degli iscritti al MoVimento. Inoltre, consentire ciò violerebbe quanto disposto dal Garante della Privacy”. La tesi del capo politico reggente in prorogatio è la stessa espressa  da Marco Travaglio, quindi si presume sia condivisa dalla fazione che segue Conte: “E’ improbabile che l’elezione su Rousseau possa mai avvenire – scrive il direttore del Fatto quotidiano –. Carente di neurologi, Grillo lo è anche di avvocati. Altrimenti qualcuno gli avrebbe spiegato che quella non è più la piattaforma del M5S (che ne ha un’altra) e soprattutto che Casaleggio, salvo commettere reati, non può violare l’ordine del Garante per la Privacy di non trattare i dati degl’iscritti, dopo averli consegnati al legittimo titolare: il reggente Vito Crimi”.

 

Le cose non stanno affatto così. Lo statuto del M5s prevede all’art. 1, non toccato neppure dalle recenti modifiche approvate dopo gli Stati Generali, che “gli strumenti informatici attraverso i quali l’associazione si propone di organizzare le modalità telematiche di consultazione dei propri iscritti” sono “quelli di cui alla Piattaforma Rousseau”. Un concetto esplicitamente ribadito anche agli artt. 4 e 6 e che è stato un principio fondante del M5s a partire dallo statuto del 2017 sottoscritto da Davide Casaleggio e Luigi Di Maio (sull’indissolubilità del rapporto tra M5s e Rousseau il Foglio scrisse a lungo nel 2018, ma evidentemente Crimi non era interessato alla questione). Pertanto, come correttamente afferma Grillo, è vero il contrario: “Il voto su qualsiasi altra piattaforma (diversa da Rousseau, ndr) esporrebbe il M5s a ricorsi in Tribunale per la sua invalidazione”. Di conseguenza è molto più ardita la strategia proposta da Conte e dal gruppo a lui vicino, ovvero quella di far mettere ai voti il nuovo statuto, che ha scritto insieme ai suoi avvocati e che non piace a Grillo, su un’altra piattaforma: questa sì è una procedura non prevista dallo statuto del M5s, e quindi illegittima.

 

Inoltre è completamente falsa l’affermazione dei consulenti legali di Conte, Crimi e Travaglio, secondo cui il Garante per la Privacy avrebbe proibito all’Associazione Rousseau di trattare ora e per sempre i dati del M5s. Il Garante per la Privacy ha semplicemente imposto a Rousseau (all’epoca responsabile del trattamento dei dati degli iscritti) di consegnare i dati al M5s (titolare del trattamento) perché questa era la volontà del M5s. Ma se il Movimento decide di affidare di nuovo i dati a Rousseau, il Garante per la Privacy non può avere alcunché da obiettare. Il tema è il solito: chi nel M5s è in grado di esprimere la volontà del partito su questo tema?

 

Dalla lettura dello statuto, questi è senza dubbio il Garante: Beppe Grillo. All’art. 4, c’è scritto che “la consultazione in Rete degli iscritti... è indetta dal Comitato Direttivo ovvero, in sua assenza od inerzia, dal Garante”. E’ vero che, non essendoci il Comitato Direttivo (è proprio quello che bisogna eleggere), si può ritenere che Crimi in quanto reggente in prorogatio ne faccia le veci. Ma, come recita l’art. 4, non può esserci “inerzia” altrimenti il pallino passa in mano al Garante: per questo Grillo ha ordinato a Crimi di dare la sua autorizzazione “entro e non oltre le prossime 24 ore”. Crimi potrebbe bloccare tutto dimettendosi, e altrettanto potrebbero fare gli altri due membri del Comitato di Garanzia, Lombardi e Cancelleri, che sembrano stare dalla parte di Conte. Ma, anche in questo caso, lo statuto attribuisce al Garante il potere di indicare una rosa di 6 nomi tra cui far eleggere i 3 membri del nuovo Comitato.

 

Insomma, i contiani possono solo mettere un po’ di sabbia nell’ingranaggio del M5s, ma le leve di comando restano tutte in mano a Beppe Grillo. D’altronde il motivo della rottura con Conte è proprio il nuovo statuto con cui l’avvocato voleva sottrarre questi poteri di ultima istanza saldamente in mano all’Elevato. Ormai la scelta è solo tra stare con Grillo nel M5s oppure andare con Conte in un nuovo partito.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali