Perché i successi europei di Draghi rafforzano il partito di chi lo vuole a lungo al governo

Claudio Cerasa

Il futuro della solidarietà europea dipenderà in buona parte dal modo in cui il Recovery plan verrà utilizzato in Italia e la presenza di Draghi a palazzo Chigi è la garanzia che l’Europa cerca

Lo straordinario consenso raccolto negli ultimi giorni da Mario Draghi a livello internazionale – tra vertici del G7, riunioni della Nato e tributi importanti come quello ricevuto ieri dal Financial Times – costringe molti osservatori a chiedersi senza malizia quale tipo di riflesso potrà avere sul destino del nostro paese la presenza di un presidente del Consiglio considerato sempre più come una figura imprescindibile per il futuro non solo dell’Italia ma anche dell’Europa.

   

La domanda che, senza malizia, diversi italiani con ruolo di peso in Europa si sentono ripetere con sempre più frequenza dagli ambasciatori delle principali cancellerie mondiali è se ci siano o no possibilità concrete che l’attuale e rassicurante equilibrio che esiste in Italia – equilibrio che, detto in un inciso, permette di essere fiduciosi rispetto alla prospettiva non scontata che un paese indebitato come il nostro possa trasformare il suo indebitamento ulteriore per dare l’avvio a una affidabile stagione di riforme – venga mantenuto fino allo scadere naturale di questa legislatura. Per un paese che negli ultimi 73 anni ha avuto 67 diversi governi rispondere a questa domanda non è semplice.

   

Ma ciò che non sarà sfuggito a Draghi nel corso dei numerosi incontri avuti negli ultimi giorni è il progressivo affermarsi di una convinzione che suona grosso modo così: l’affidabilità dell’Italia non passa solo dall’implementazione virtuosa del Pnrr, ma passa prima di tutto dalla garanzia che a monitorare l’implementazione del Pnrr ci sia Draghi a Palazzo Chigi. Non è detto che il ragionamento sia corretto – solo chi non conosce bene l’Italia può pensare che guidare il paese muovendo le leve del Quirinale possa essere meno incisivo che guidare il paese muovendo le leve di Palazzo Chigi – ma è invece difficile da negare come molti colleghi di Draghi abbiano manifestato in modo più o meno diretto negli ultimi giorni la speranza che l’attuale premier possa continuare a svolgere il suo lavoro per più tempo possibile.

 

Molto del futuro di Draghi dipenderà naturalmente da ciò che Draghi deciderà di fare di se stesso ma è possibile che le decisioni del presidente del Consiglio possano essere influenzate anche da alcuni fattori legati al posizionamento dei partiti. Il Pd e il M5s, come è noto, hanno per il Quirinale piani che non coincidono con la figura di Draghi. Ma il dato forse più gustoso colto recentemente anche da Palazzo Chigi su questo fronte riguarda una divaricazione interessante che si sta producendo nel mondo della Lega. Dove non tutti pensano che la linea di Salvini, “Draghi al Quirinale”, sia quella giusta da seguire.

 

Non la pensa così per esempio Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo, che nel suo piccolo, che non è poi così piccolo, ha iniziato da settimane a lavorare sottotraccia per provare a costruire attorno a Draghi un cordone ombelicale, per fare di tutto, whatever it takes, affinché l’esperienza del governo Draghi possa avere un respiro lungo, non necessariamente limitato allo spazio temporale di questa legislatura. Fare previsioni su quello che potrebbe succedere nella formidabile partita quirinalizia sarebbe un po’ da sprovveduti.

  

Ma quello che si può dire oggi è che coloro che nel governo sognano per ragioni più o meno nobili di tenere Draghi a Palazzo Chigi troveranno sempre più sponde in Europa con cui triangolare e con cui provare a ricordare a Draghi quello che negli ultimi giorni il presidente del Consiglio si è sentito spesso ripetere: il futuro della solidarietà europea dipenderà in buona parte dal modo in cui il Recovery plan verrà utilizzato in Italia, che è il paese che ha accesso al numero più massiccio di fondi, e la presenza di Draghi a Chigi è la garanzia che l’Europa cerca per evitare che la stagione dei debiti mutualizzati possa essere solo una piccola parentesi. La partita è lunga, ma la danza è cominciata.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.