La vocazione "uber alles"

Conte non è più un "riferimento progressista" del Pd

Dopo l'uscita dell'ex premier sull'assoluta maggioranza, la presa di distanza

Carmelo Caruso

E' svolta. Adesso il M5s non è più un alleato ma "un interlocutore". I pensieri di Letta: "Mai detto con Conte a tutti i costi". Enrico Borghi: "Non ci facciamo maltrattare da lui. La sua frase sull'assoluta maggioranza è da antidemocratico"

Gli va detto due volte “grazie”. Il primo grazie perché, a Napoli, Giuseppe Conte ha introdotto il concetto di “assoluta maggioranza”, la vocazione maggioritaria alla foggiana, il M5s “über alles”. Il secondo grazie glielo dovrebbe rivolgere il Pd che, finalmente, dopo le sue frasi, è “absolutus”, sciolto dal dovere di parlarne bene per amor di “campo largo”. Non è un vespro ma è qualcosa. Vuole infatti sapere cosa rispondono i “suoi cari alleati”, quelli che adesso Conte tratta con sufficienza (“se ci sono, bene, altrimenti non mi straccio le vesti”)? Enrico Borghi, che siede nella segreteria del Pd (e magari parlassero tutti così nel partito!) dice che “dichiararsi moderato e puntare alla rappresentanza esclusiva, all’autosufficienza, come ha fatto Conte, è un ossimoro e rivela una radice antidemocratica. Si rilegga Aldo Moro e il suo ‘mai da soli’. Nessuno può avere la presunzione di rappresentare la totalità della società. Io non mi lascio maltrattare da lui”.


E’ stato dunque liberatorio poter ascoltare e vedere a Napoli il “quasi leader” (“ovviamente se la comunità del M5s lo deciderà”) fare l’anti federatore, il segretario muscolare, sentirgli ripetere che l’alleanza con il Pd si desidera ma non si cerca. E serve anche a Enrico Letta, che ieri, quando ha saputo del Conte “assoluto”, ha potuto precisare quello che non riesce ancora a fare capire. Se ne offre qui una sintesi: “Il Pd non ha mai avuto nessuna forma di sudditanza nei confronti di Conte e del M5s. Il rapporto con loro rimane privilegiato ma nessuno ha mai detto ‘senza di te come farò’”.

 

Nella sua scala da segretario la prima operazione, oggi, è rafforzare il partito, seguita dal tentativo di costruire il “campo largo ma con tutte le forze di centrosinistra” e successivamente “favorire l’alleanza con il M5s” (quindi l’alleanza strategica è già scesa alla posizione numero tre). Letta dice pure, e lo dice non sentito, che se “Conte si rivolge al ceto medio, il Pd fa di più. E’ un partito interclassista, anzi, un country party”. Si faccia attenzione alle parole di Sandra Zampa. E’ un’altra rappresentante della segreteria nazionale e con il Foglio rimette le carte in tavola: “Il Pd non ha mai pensato che il M5s facesse parte della coalizione. Il M5s è un interlocutore per accordi di governo”. Spiega che per lei questo impetuoso Conte fa perfino bene perché “la competizione è competizione”. Se Conte ha tanto coraggio ne dia un’ulteriore prova con Beppe Grillo, uno che ormai si crede Marco Polo al punto da spiegare le virtù del regime cinese in compagnia di Massimo D’Alema che interpreta invece la parte di Matteo Ricci. Rimangono tra Pd e M5s delle distanze importantissime così come c’è un giudizio (contrapposto) su Luigi Di Maio e su Conte.

 

Ancora Borghi, il responsabile Pd delle politiche per la Sicurezza, si sente, ad esempio, più sicuro quando ascolta Di Maio e ricorda che, per il Pd, “Cina e Russia non sono modelli per quanto riguarda la transizione ecologica e i diritti civili”. Non basta dichiarare l’indisposizione dell’ultimo minuto come ha fatto Conte che non si è presentato di fronte all’ambasciatore cinese. Il Pd ha una posizione euroatlantica, che è quella del governo Draghi, ed è convintamente a fianco del presidente Joe Biden.

 

Conte a chi strizza l’occhio? E non ci sarebbe solo la geopolitica. Sempre Sandra Zampa fa notare che sull’immigrazione, sul ruolo dello stato, il rapporto con gli “assolutisti” andrebbe misurato millimetro per millimetro. Se solo volesse parlare, ma in questo momento preferisce non parlare, la vicesegretaria del Pd, Irene Tinagli, certo non discuterebbe neppure del M5s, della leadership in itinere di Conte. E non lo farebbe perché se lui è per l’assoluta maggioranza, lei è sicura dell’assoluto bisogno di non inseguire nessuno. Borghi saluta invece queste continue innovazioni di lessico come la sola vera novità del M5s: “Non solo l’assoluta maggioranza ma anche il ‘leader in pectore’. Tutto abbiamo visto, ma questa nuova carica rimane un’altra singolarità. Un avviso allora. Al Pd fa piacere che il M5s sia un partito di centrosinistra ma significa che deve farci i conti in una logica di coalizione”.

 

A Napoli, Conte, il segretario gerundio, ha quasi “aperto” alla possibilità di trovare un’intesa, un nome comune, con il Pd anche in Calabria. Ne ha parlato come se fosse una prova della sua buona volontà e non l’unico modo che ha per eleggere (ancora) qualche consigliere regionale. L’ultima figura su cui si ragiona è Maria Antonietta Ventura, presidente del comitato regionale Unicef. Si continuano a bruciare insomma storie e competenze. Finora qualcosa di “assoluto” c’è stato. E’ la pazienza del Pd nei suoi confronti.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio