La Linkedin della pubblica amministrazione sarà la Spoon River d'Italia?

Andrea Venanzoni

Annunciare il lancio di una nuova piattaforma digitale per il reclutamento serve a poco, specie se mancano ancora i criteri per una selezione fondata su efficienza, economicità e trasparenza

Dal festival dell’economia di Trento, la parabola brunettiana sul nuovo corso dei pubblici uffici trasvola infervorata di silicio e cherrypicking lungo la dorsale mediatica che distingue ormai il paese: quello reale, o analogico, che ancora si informa su giornali e TV e che in genere ogni volta che si trova davanti neologismi grondanti digitale si eccita in maniera palese, e l’altra parte, il paese virtuale, che invece è un po' più familiare con il linguaggio del digitale e si abbevera, smaliziato, direttamente online per carpire informazioni e che al sentire certe espressioni, al leggere di certi progetti, si fa cauto e sospettoso. Nel quadro del rinnovamento, anche se mi rendo conto che il termine non sia abbastanza rivoluzionario per l’enfasi che sta accompagnando la rimodulazione del generale panorama pubblico, appare finalmente la fisionomia, azzurrina e grigiastra come il televisore che apriva il romanzo Neuromante di William Gibson, di una piattaforma, il ‘Portale del reclutamento’, da cui poter procedere alla selezione dei migliori profili professionali su piazza.


Le figure tecniche essenziali per l’esecuzione, la implementazione e la realizzazione dei progetti inseriti nelle pagine del Pnrr, e mi scuso per non aver adoperato un sufficiente numero di anglismi che fanno sempre giovane e nativo digitale, saranno scelte ricorrendo al portale citato prima e che, nel tentativo di esser reso più accattivante, viene definito dal Ministro ‘una sorta di Linkedin’. Una sorta di LinkedIn. Ripetiamolo assieme, come fosse il mantra del rinnovamento della pubblica amministrazione. In realtà, da quanto si intuisce, parliamo di un portale-piattaforma su cui pubblicare il proprio curriculum e da cui le amministrazioni, anche mediante una connessione e un interscambio informativo con gli ordini professionali, di volta in volta dovrebbero selezionare i profili più interessanti. O ‘i migliori’, nientemeno, tanto per rimanere nel cuore della narrativa di questa smart amministrazione pubblica che dimentica di sudoku in ufficio e impiegati sudati al pensiero di dover accendere un computer finalmente sceglierà le forze fresche capaci di governare il Moloch da trecento miliardi di euro chiamato Pnrr.


E però l’inghippo ci si palesa subito davanti gli occhi, ed è quel bagno tragico di realtà che rende sempre meno esteticamente gradevole il peso insostenibile di ciò che davvero siamo rispetto alla nostra mera proiezione virtuale, a ciò che costruiamo piano piano e inesorabilmente per apparire in un certo modo: e Linkedin è esattamente questo, il trionfo digitale di una vetrina, o un acquario dentro cui nuotano pigri moltissimi campioni mondiali della fuffa. Il ‘personal branding’, d’altronde, è spesso quella sottilissima linea rossa, eterea, impalpabile, che separa e scinde tra loro da un lato la vera autopromozione e dall’altro lato la costruzione di un personaggio del tutto inventato. Come social, nato nel 2003, Linkedin fu vetrina di curricula soltanto agli inizi: era d’altronde una visione statica, antiquata, e venne superata in poco tempo ricorrendo a una dimensione interattiva, dialogica e di rete

Alla fine, per chiunque sia familiare con quel social, appare evidente come possa servire a costruirsi delle reti di contatti e che, al tempo stesso, appaia anche talmente generico, dispersivo e accelerato da bruciare le vere occasioni, finendo col consentire di mettersi in mostra soprattutto a presenze fantasmatiche ed evanescenti ma accattivanti nel modo di presentarsi, di interagire. Su Linkedin, come in generale in ogni ecosistema digitale, difficilmente conta il vero curriculum o la tua vera personalità professionale: conta, molto di più, il personaggio che sapientemente ti sei costruito e che spesso trae in inganno anche le aziende più accorte, come hanno dimostrato Alvesson e Spicer nel loro volume ‘Il paradosso della stupidità’. Basta considerare che autentico guru su LinkedIn, attraverso cui dispensava ‘pillole di saggezza’ poi interrotte dall’arresto per truffa ma fino ad allora seguite, commentate e condivise da migliaia di persone, era quell’Alessandro Proto assurto agli onori e agli orrori delle cronache per essersi costruito un fittizio personaggio di successo finanziario e commerciale al cui confronto il Gordon Gekko deil film Wall Street diventava il fruttivendolo sotto casa mia.


Senza dover arrivare al penalmente rilevante, basterà una vacanza nel ventre digitale del social per imbattersi in personaggi in apparenza geniali, decisionisti, smart, accattivanti, dai curricula da amministratore delegato di hedge fund che un selezionatore senza grandissima esperienza, o senza grandissimo interesse per la risultante del processo di selezione, finirebbe magari per scegliere. Dire che una piattaforma opererà come una sorta di Linkedin, nella bruta pratica delle cose concrete, non significa niente e per un motivo semplice: Linkedin, come tutte le piattaforme, intermedia, o re-intermedia, non seleziona alcunchè di suoE’ uno strumento inerte, con un proprio codice strutturale che però poi nei fatti consente a ciascuno, e a ciascuna azienda, di viverlo e utilizzarlo nel modo che preferisce. Mentre al contrario le pubbliche amministrazioni devono selezionare su basi tipizzate per legge: devono seguire canoni di efficienza, di efficacia, di economicità e di trasparenza.

Quindi, se su Linkedin io posso propormi ed esibirmi in una danza da pavone e rendermi accattivante nel nome nebbioso della fuffa, questo meccanismo, lo capite benissimo, non può essere replicato per esigenze di funzione pubblica: ciò che invece conterà, e conterà davvero in questo caso, sarà ciò che ad oggi non è stato ancora detto né delineato, ovvero i criteri di selezione concreta di questi mirabolanti curricula che saranno caricati passo dopo passo sulla piattaforma. Conteranno i selezionatori, forse più di chi sarà selezionato, selezionatori che pur se celati dietro l’altisonante anglismo di ‘sorta di Linkedin’, laddove dovessero essere dei meri burocrati, ovvero chi maneggia denaro pubblico, cioè altrui, e cura interessi pubblici, cioè non propri, rischierebbero di riprodurre quelle note e ataviche storture che caratterizzano i pubblici uffici, dettate spesso proprio dalla mancanza di percezione delle conseguenze di una scelta erronea visto che la stessa non colpisce direttamente chi ha commesso l’errore.


Quindi prima di tutto occupiamoci e preoccupiamoci del curriculum di chi dovrà operare la selezione, per evitare che il tanto evocato cherrypicking si trasformi nella dolente nenia funebre di una Spoon River dei pubblici uffici.

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