La grande corsa al centro che obbliga i moderati a ripensarsi

Claudio Cerasa

Ha ancora senso scommettere sull’anti populismo quando i partiti populisti hanno messo in soffitta buona parte del proprio populismo? La scelta federativa di Lega e FI suggerisce al Pd e al centro una rivoluzione. I test delle città

Il problema è evidente: ha ancora senso ragionare sul centro quando tutta la politica si sta spostando verso il centro? Tra gli effetti più interessanti prodotti dal governo Draghi ce n’è forse uno più gustoso degli altri che riguarda una nuova e gustosa geometria che merita di essere registrata. Quell’effetto ha a che fare con una incredibile trasformazione della politica che è stata incentivata dall’arrivo a Palazzo Chigi dell’ex presidente della Bce e che ha portato tutti i più importanti partiti italiani a chiedersi cosa fare per dimostrare di essere i più adatti a rappresentare il profilo di elettore più ambito del paese: il moderato. Succede così che il M5s, per essere all’altezza dei tempi, scelga di affidare la sua guida a un leader non estremista, come Giuseppe Conte, che non ha neppure in tasca la tessera del M5s. Succede così che Luigi Di Maio, per costruire già oggi una leadership alternativa a quella futura di Conte, decida di fare l’impossibile e di offrire cioè al M5s, attraverso l’abiura della gogna, un profilo ancora più moderato e per così dire più draghiano rispetto a quello di Giuseppe Conte.

 

Succede così che la Lega di Matteo Salvini, per provare a far dimenticare definitivamente la stagione del Papeete, scelga di abbracciare l’agenda Draghi (meno felpe sovraniste, più fiori per Lilli Gruber) per provare a dimostrare agli elettori che le vittorie di Draghi sono vittorie attribuibili più al centrodestra che al centrosinistra. Succede così, ancora, che la Lega di Salvini, per non apparire più troppo estremista, accetti di far circolare la voce che in un futuro non troppo remoto una fusione con Forza Italia, o meglio una federazione con Forza Italia, potrebbe essere, in prospettiva, una cosa buona e giusta. Succede questo ma succede anche molto altro. E succede, per esempio, che in modo non del tutto prevedibile il duello politico tra Matteo Salvini (al governo) e Giorgia Meloni (all’opposizione) si stia configurando come un duello combattuto non a colpi di brusche e rumorose emissioni di aria dalla bocca, non all’insegna cioè del chi urla di più, ma all’insegna del chi prova a ragionare di più, del chi prova a presentarsi sulla scena della politica come il più presentabile, il più affidabile, il più moderato, il più adatto a governare. C’è una corsa al centro bestiale nel mondo della politica italiana.

 

Una corsa alla quale solo il Pd, ovvero il più centrista dei grandi partiti, sembra non voler partecipare fino in fondo (agenda Draghi nì), convinto probabilmente del fatto che il grosso dei voti da conquistare in realtà si trovi non al centro ma a sinistra. Una corsa che potrebbe produrre anche degli imprevisti all’interno della maggioranza (il M5s, oggi, è diviso in tre, tra il partito di Conte, quello di Di Maio e quelli fedeli alla linea Travaglio, che suggeriscono a Conte di guidare il M5s non all’insegna del volemose bene con Draghi ma all’insegna del prepariamoci a togliere la spina a questo governo). E una corsa, questa, che ci costringe a ragionare su un tema non indifferente, che è quello da cui siamo partiti: ha ancora senso ragionare sul centro quando tutta la politica si sta spostando verso il centro?

 

Il centro, in Italia, oggi è presidiato, politicamente, da diversi partiti e da diversi movimenti ambiziosi, come il partito di Matteo Renzi e come quello di Carlo Calenda, alleato oggi di +Europa, oltre ovviamente al partito di Silvio Berlusconi e al nascituro partito di Luigi Brugnaro e di Giovanni Toti. E non è da escludere che da qui alle prossime elezioni politiche, che difficilmente saranno prima del 2023, alcuni di questi partiti possano trovare un modo, e un pretesto, per unire le proprie forze e creare insieme un’unica federazione utile a offrire agli elettori un’alternativa ai partiti più grandi (la corsa del Cav. nelle braccia di Salvini potrebbe avere l’effetto di regalare ai partiti di centro qualche altro pezzetto). Il tentativo più o meno strumentale di alcuni vecchi partiti populisti di presentarsi sulla scena politica come argini ai nuovi populismi costringe però diversi partiti di centro, che avevano scommesso proprio sul loro essere un argine contro i populismi, a chiedersi quale sia oggi la loro ragione di vita. Il bivio è chiaro: ha ancora senso scommettere sulla formula del partito antipopulista in un momento in cui i partiti populisti sembrano aver messo in soffitta buona parte del proprio populismo? O, al contrario, alla luce dei nuovi equilibri della politica i partiti di centro hanno il dovere di ripensare sé stessi e di studiare una nuova strategia per non disperdere le proprie energie positive?

 

La domanda alla quale dovranno rispondere nei prossimi mesi i leader così detti centristi è questa. E in un certo senso parte del destino elettorale che avranno i così detti partiti di centro passa da due appuntamenti importanti che si andranno a manifestare nelle prossime settimane in vista delle amministrative. Due appuntamenti che coincidono con le primarie del centrosinistra a Bologna (20 giugno) e con le elezioni a Roma (10 ottobre). Nel primo caso, dovesse affermarsi alle primarie del centrosinistra la candidata di Italia viva Isabella Conti, il partito di Renzi potrebbe avere una qualche motivazione in più per investire su un progetto alternativo a quello del Pd di Enrico Letta (e non necessariamente fuori dal perimetro del centrosinistra). Nel secondo caso, dovesse invece Carlo Calenda ottenere un risultato significativo a Roma, vi sarebbe una motivazione in più, da parte dei partiti di centro, a investire sul tema di un nuovo soggetto politico, capace potenzialmente di interpretare la nuova stagione meglio dei partiti tradizionali. Al contrario, però, un flop di Conti a Bologna e un flop di Calenda a Roma costringerebbero tutti coloro che hanno a cuore il futuro dei partiti così detti moderati a porsi con forza la domanda da cui siamo partiti: ha ancora senso ragionare sul centro quando tutta la politica si sta spostando verso il centro?

 

Oggi la risposta a questa domanda sembra essere chiara: no, non ha molto senso, e sarà interessante capire chi tra i leader dei partiti più grandi, di fronte a questo rimescolamento di carte, farà una mossa per allargare il proprio perimetro e cercare di impostare le basi per una nuova, per così dire, vocazione maggioritaria. Silvio Berlusconi sembra aver trovato una risposta a questa domanda: il centro non esiste più, è un progetto tramontato, essere antipopulisti è un tema anacronistico e oggi bisogna solo scegliere da che parte stare. Sarà davvero così? O lo slittamento a sinistra del Pd e la liquefazione di Forza Italia offriranno l’occasione per far nascer qualcosa di nuovo? L’ora delle scelte, in ogni caso, non è così lontana, e in un modo o in un altro i partiti così detti moderati dovranno chiedersi che senso abbia oggi essere “argini al populismo” in un momento in cui il populismo, almeno all’apparenza, inizia a essere combattuto persino dai vecchi populisti. Lo dovranno fare tutti. E lo dovrà fare anche il Pd. Di fronte al quale oggi c’è un bivio importante: lasciare il centro alla coppia Salvini-Cav. o costruire un percorso federativo con il centro per tornare a sognare in grande. Caro Letta, forse è ora scommettere un po’ meno sui piccoli risentimenti e un po’ più sui grandi cambiamenti. Si può fare.e rivoltare ancora una volta la colpa verso i più giovani.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.