La scelta di Catello Maresca a Napoli imita la peggior sinistra
Salvini vuole la separazione delle carriere, ma a Napoli si fa confusione tra politica e pm
Si ricorderà che Marco Pannella, che fu consigliere comunale a Napoli nel 1983 – lo stesso anno in cui a Napoli magistrati sommamente non responsabili dei propri errori arrestarono Enzo Tortora – aveva, oltre ai crucci della magistratura e della politica, anche il cruccio dei rischi del Vesuvio e di un piano di evacuazione che non esisteva. Passati quarant’anni, il Vesuvio ancora lì sta e i Campi Flegrei si alzano un poco ogni mattina, se sia tutto sotto controllo, non si sa. Si può però arguire che oggi Pannella a Napoli avrebbe un nuovo cruccio: come tenere a bada un Salvini fattosi improvvisamente garantista e un magistrato candidato sindaco.
Garantista al punto da perseguire con i Radicali un referendum sulla giustizia – responsabilità civile dei magistrati, separazione delle carriere, cancellazione della legge Severino. Ma allo stesso tempo Salvini è leader (tripartito) di un centrodestra che chiede riforme della giustizia, ma a Napoli candida a sindaco un magistrato: nel solco del giustizialismo politico e della più pura tradizione di sinistra (almeno finora).
Senza scomodare oltre Pannella, ci si può limitare a notare che qualsiasi politico o intellettuale di impostazione liberale (e a Napoli ce ne sono eccome) rimarrebbe perplesso di fronte alla decisione del centrodestra partenopeo, così ambiguamente appesa tra la richiesta tradizionale di tenere divise politica e magistratura e la scelta – che sembra una rinuncia storica, o una presa d’atto antropologica – che al sud, e in una città come Napoli, si possa governare solo cooptando un uomo di tribunale. Cioè copiando la medesima mossa fatta la scorsa volta dalla sinistra, che portò a Palazzo San Giacomo Luigi De Magistris, ex magistrato celebre per il piglio manettarista e per certe sue spericolatezze inquisitorie. Non una grande idea liberale.
Catello Maresca è un buon candidato sindaco per il centrodestra a Napoli? Con quel nome arcaico devoto al santo vescovo di Castellammare, con quella barba curata brizzolata e il capello un po’ alto sulle tempie, non attualissimo, con l’attività parallela di scrittore (in Italia un magistrato che non scriva libri è come se si rassegnasse alla serie B) Maresca è palesemente l’ennesima replica dell’icona mediatica del giudice salvifico. Un’icona particolarmente nefasta, soprattutto nel sud d’Italia, già vista con Emiliano, con Ingroia e con De Magistris proprio a Napoli. Il punto, ovviamente, non è discutere se il sostituto procuratore di Napoli Catello Maresca sia un buon magistrato (agli atti ci sono alcune importanti inchieste contro la Camorra che gli hanno dato giusta fama, ma anche il flop, in coppia con Henry John Woodcock, nell’affaire Cpl-Concordia: tutti assolti). I punti sono altri, per la precisione tre. Il primo, che benché il Csm gli abbia riconosciuto l’aspettativa, la scelta di candidarsi, magistrato del distretto di Napoli, a sindaco della stessa città è disdicevole e sul filo del legale. Anzi contravviene allo stesso Codice etico dell’Associazione nazionale magistrati, art. 8: “Nel territorio dove esercita la funzione giudiziaria il magistrato evita di accettare candidature e di assumere incarichi politico-amministrativi negli enti locali”, nonché censurato dal Consiglio d’Europa, che ha sottolineato come la commistione di ruoli possa esse in contraddizione con l’imparzialità della magistratura e fattore critico per la democrazia. Glielo ha ricordato De Magistris, nel silenzio imbarazzato della categoria. In secondo luogo, da un punto di pura angolazione politica, che il centrodestra in una città come Napoli, così bisognosa di riforme e rilancio, non sappia individuare una figura imprenditoriale, o manageriale, o accademica (la sinistra ha candidato l’ex rettore della Federico II ed ex ministro dell’Università Gaetano Manfredi) ma si debba ispirare al modello epico-poliziottesco dell’uomo d’ordine, dell’uomo di legge, già praticato con esiti quasi sempre catastrofici dalla sinistra, è un segno di debolezza culturale oltre che di scarsa fantasia. Infine c’è il problema di una perniciosa separazione delle idee dalla politica, che riguarda soprattutto Salvini. Nella sua benedetta svolta liberale e garantista sui temi della giustizia (se sia solo opportunismo tattico, davvero è una obiezione relativa: sempre meglio di quando per opportunismo demagogico chiedeva di “buttare la chiave”) Salvini dovrebbe provare a riflettere su un fatto: chiedere la separazione delle carriere in magistratura è una buona idea, ma per coerenza si dovrebbe provare a tenere separate anche la politica e la magistratura. Ognuno nel suo ambito, come in un paese liberale.
L'editoriale del direttore