Mario Draghi come un giudice di X-factor (elaborazione grafica Il Foglio)

A Chigi, parte un casting per valutare gli X-factor dei ministri

Claudio Cerasa

Spunti per rispondere a una domanda: che succede se Draghi va al Colle?

L’avvicinamento progressivo del paese alla data in cui il Parlamento italiano sceglierà il successore di Sergio Mattarella al Quirinale ha generato sulla politica italiana un effetto molto raccontato e uno misteriosamente ignorato. L’effetto molto raccontato è quello che riguarda la guerra di posizione che è già in corso tra i principali partiti che appoggiano il governo Draghi e le linee di frattura sono quelle che conoscete già: da una parte vi è il fronte del centrodestra che caldeggia fortissimamente il passaggio di Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale e dall’altra parte vi è il fronte della ex maggioranza rossogialla che caldeggia fortissimamente il rinnovo di Sergio Mattarella al Colle.

 

 

L’effetto poco raccontato, invece, è quello che la partita del Colle sta avendo all’interno del governo e la circostanza, non del tutto improbabile, che Mario Draghi a febbraio possa essere colui che dal Quirinale nominerà (e sceglierà) il prossimo presidente del Consiglio ha generato all’interno della compagine di governo un effetto imprevisto, simile a quello che si innesca quando i concorrenti di un talent show si trovano affrontare un casting per dimostrare ai giudici di avere l’X factor.  

 

L’effetto imprevisto, e in questo caso molto positivo, è quello che ha portato un numero spropositato di ministri a fare il possibile, whatever it takes, per apparire agli occhi di Draghi come i più bravi e come i più efficienti della classe e si racconta addirittura che a Palazzo Chigi lo staff del presidente del Consiglio con periodicità casuale audisca i ministri per interrogarli amichevolmente sulla loro azione di governo e valutare le loro performance con voti che ovviamente restano riservati.

 

 

L’efficienza tutto sommato oggettiva del governo Draghi, che ieri ha completato la sua prima tranche di nomine importanti e che oggi dovrebbe presentare in Consiglio dei ministri il fondamentale decreto “Semplificazioni”, ha un’origine nella natura felice di questo governo, costruito dal presidente del Consiglio e dal presidente della Repubblica con l’obiettivo esplicito di non far predominare la tecnica sulla politica e di valorizzare all’interno dell’esecutivo i volti più moderati, più affidabili e più ragionevoli dei singoli partiti, anche a costo di scontentare le leadership. Ma ha un’origine che deriva anche dalla consapevolezza da parte di molti ministri che tra otto mesi Draghi, se mai dovesse andare al Quirinale, potrebbe pescare da questo esecutivo il nome  a cui affidare il governo in questa  e  anche nella prossima legislatura.

 

Possono sognare così i ministri tecnici, il cui gradimento a Chigi (come sa  anche  Cartabia) è di solito inversamente proporzionale al numero di interviste rilasciate (non chiedete a Draghi chi scegliere tra Colao e  Giovannini). Possono sognare così i ministri di Forza Italia, che potrebbero diventare cruciali per la maggioranza futura qualora la Lega, dopo il Quirinale, dovesse scegliere di mollare il governo (se Draghi dovesse andare al Colle, a Palazzo Chigi gli subentrerebbe il ministro Brunetta, in quanto supplente come ministro anziano). Possono sognare così anche i ministri del Pd, come il disciplinato Guerini, anche se tra i ministri del Pd (non Orlando) c’è chi coltiva sogni ancora più ambiziosi di Palazzo Chigi (come  Franceschini). Possono e provano a sognare tutti, così come possono e provano a sognare anche ministri della Lega, come Giorgetti, consapevoli del fatto che se mai Draghi dovesse arrivare al Quirinale, la propria efficienza in questo governo sarà un biglietto da visita mica male per potersi giocare, un domani, una chance al governo.

 

 

La chimica dell’esecutivo Draghi è un mosaico composto da molti tasselli. Uno di questi, quello meno noto e  più spassoso, è quello che ha portato diversi ministri dell’esecutivo a prendere parte a una selezione (con voti) per mostrare al presidente del Consiglio chi, tra tutti, ha l’X factor giusto per fare carriera. Il casting è appena cominciato.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.