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Task force e assunzioni: Draghi assillato dai ministri sul Pnrr

Valerio Valentini

A Palazzo Chigi arrivano le richieste dei dicasteri, che vogliono semplificazioni per assumere e stabilizzare personale. L'altolà del premier. Intanto la bozza del decreto sulla governance è pronta per l'invio a Bruxelles, già prima del vaglio in Cdm

“L’assalto alla dirigenza”. A Palazzo Chigi c’è chi, forse per dissimulare l’insofferenza, ha preso a chiamarlo scherzosamente così, intendendolo come una variante sui generis di quella pratica collaudata per cui ogni legge di Bilancio innesca gli appetiti di ministri e parlamentari, ciascuno ansioso di rivendicare il proprio emendamento, la propria elemosina. Solo che stavolta l’arrembaggio si riflette sul più importante dei provvedimenti: il Pnrr, e riguarda sia la cabina di regia nazionale del piano, quella che dovrà sovrintendere all’utilizzo dei 191 miliardi che arriveranno da Bruxelles di qui al 2026, sia la definizione delle “task force” che andranno  a supportare le amministrazioni centrali e locali nell’attuazione dei progetti. La dirigenza appunto. Quella che Mario Draghi vuole in verità definire al più presto, per non mostrarsi inadempiente agli occhi dei funzionari della Commissione europea già al primo appuntamento.

 

E per questo, stando agli ultimi dispacci diramati dal sottosegretario alla Presidenza, Roberto Garofoli, il decreto sulla governance del Pnrr verrà verosimilmente inviato a Bruxelles sotto forma di bozza già nel corso della prossima settimana, prima del vaglio formale che potrebbe avvenire in Cdm dopo il 20 maggio. Del resto, il testo è sostanzialmente già pronto: ci hanno lavorato gli uffici giuridici di Palazzo Chigi d’intesa con quelli del Mef, sotto la supervisione di quel Carmine Di Nuzzo che guida il gruppo di lavoro sul Recovery. L’idea di fondo, finalizzata a evitare gelosie e baruffe politiche, consiste nel prevedere una cabina di regia governativa a geometria variabile, con la sola presenza fissa del premier e quella del titolare dell’Economia come coordinatore del dialogo con la Commissione europea, e l’intervento dei vari ministri di volta in volta coinvolti in base alle loro competenze sui progetti in esame.

 

Meno agevole sarà invece, stando alle prime avvisaglie, evitare tensioni sul piano delle assunzioni e sul pacchetto di semplificazioni normative che verrà destinato a un successivo decreto, pure questo da approvare comunque entro maggio. Il problema, qui, è che ogni ministero reclama il suo diritto ad ampliare il proprio personale. Nello schema definito dal Mef, infatti, il numero e la composizione delle task force da assegnare a ciascun dicastero variano a seconda del numero e dall’entità di progetti finanziati dal Recovery e di cui quel ministero è responsabile, oltreché dalla quantità di enti locali e  soggetti attuatori coinvolti. Inevitabile, dunque, che i ministri che otterranno maggiori rinforzi di personale e di esperti sono Roberto Cingolani, Vittorio Colao ed Enrico Giovannini. Ma inevitabile anche, perché così fan tutti, che gli altri sbuffino, sgomitino, lamentino il loro peggior trattamento.

 

E qui si viene all’altro problema che sta impantanando i lavori del governo sul Pnrr. Perché quando Palazzo Chigi ha chiesto ai vari ministeri di formulare proposte di semplificazione da far confluire nel decreto apposito, s’è visto arrivare, un po’ da tutti, delle ipotesi che andavano, quasi univocamente, a semplificare una cosa: le procedure d’assunzione di nuovo personale. Il ministero della Cultura, ad esempio, ha pensato bene di richiedere un’agevolazione per l’arruolamento dei cosiddetti “comma 6”: ovvero per conferire incarichi dirigenziali a degli esperti esterni alla Pa, con cui magari andare a rinforzare le soprintendenze (“Del resto - è la versione degli ambasciatori di Dario Franceschini - se ci chiedete di essere più rapidi ed efficienti, fateci assoldare nuovi tecnici”). Dal ministero dell’Ambiente, invece, è arrivata la richiesta di stabilizzare le centinaia di lavoratori esterni di cui si serve Sogesid, la società in house di Via Cristoforo Colombo, interamente partecipata dal Mef, che si occupa di gestione degli impianti idrici.

 

Una richiesta, quella di procedere alla stabilizzazione del personale che lavora nella Pa o che vi gravita intorno, che è sentita in verità da molti ministeri. E che però confligge sia coi vincoli del Pnrr, sia con lo spirito di cui Draghi, d’intesa col ministro Renato Brunetta, vorrebbe permearlo. Intanto perché coi fondi del Recovery, che sono una tantum, non si potranno, salvo specifici casi eccezionali, assumere persone a tempo indeterminato, ma sono esperti da impiegare nell’ambito della realizzazione dei progetti finanziati con risorse comunitarie. In secondo luogo, la stabilizzazione del personale porterebbe a premiare per lo più lavoratori anziani, col rischio di premiare la longevità di servizio anziché le competenze effettive richieste dal Recovery, specie nei settori della transizione energetica e digitale. “E invece l’istanza del Pd, di valorizzare l’occupazione giovanile e femminile, è assolutamente valida”, dice Draghi. Che, anche per questo, ha poca voglia di sentir parlare di stabilizzazione. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.