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Governance e semplificazioni. Così Draghi mette alle strette i partiti sul Recovery

Valerio Valentini

Ammorbidimento su danno erariale e abuso d'ufficio: "Combattiamo la fuga dalla firma". E poi congelamento del Codice degli appalti e "Via statale" per le autorizzazioni ambientali. L'agenda di Palazzo Chigi per convincere Bruxelles entro maggio

I partiti, certo, hanno le loro priorità. E ieri mattina, quando a Palazzo Chigi sono arrivate le lamentele formali da parte dei capi delegazione, che chiedono un maggiore coinvolgimento nella stesura del nuovo decreto “Sostegni” (“Inutile che ci chiedete: neppure noi ne sappiamo niente”, ha sbuffato Stefano Patuanelli di fronte all’ennesima pretesa di chiarimento avanzata da un manipolo di senatori del M5s), Mario Draghi ha capito che no, quelle priorità non sono le stesse che lui ha in mente. E non perché, evidentemente, al ristoro delle imprese costrette alla chiusura non ci tenga. Ma se ieri pomeriggio, dopo una burrascosa riunione al Mef, s’è deciso di rinviare alla settimana prossima il varo del decreto, è perché nel frattempo, a Palazzo Chigi, i responsabili degli uffici legislativi dei ministeri più coinvolti nel Pnrr stavano riuniti a discutere di governance e di semplificazione. Che sono, del resto, i due assilli di Draghi.

 

La definizione della governance, da un lato, è necessaria perché la Commissione europea possa iniziare la verifica del piano. “Se non ci muoviamo, rischiamo che neppure aprano il dossier”, è l’avvertimento che risuona nei corridoi di Palazzo Chigi. Il governo ha indicato il coordinatore unico nel Mef, ed è la struttura incardinata presso la Ragioneria generale, e guidata da Carmine Di Nuzzo, quella incaricata di relazionarsi con Bruxelles. Ma resta da dare dei connotati precisi alla cabina di regia interministeriale, e vanno specificati anche i metodi di supervisione e rendicontazione per quel che riguarda l’attuazione dei piani, così come il perimetro dei poteri d’intervento delle varie amministrazioni nazionali e locali. Il tutto, entro la prima metà di maggio: una scadenza che al sottosegretario Roberto Garofoli, metronomo infaticabile della macchina di Chigi, appare più proibitiva ogni giorno che passa. 
Anche in virtù del fatto che non è quella della governance l’unica matassa da sbrogliare.

 

E anzi, se su questo fronte le uniche resistenze da superare, puntando anche sulla ristrettezza dei tempi a disposizione, sono quelle dei ministri che verrebbero marginalizzati nella catena di comando e controllo del Pnrr, la vera baruffa politica rischia di innescarsi intorno al “Semplificazioni”. Che è materia di appalti e di snellimento burocratico, certo, oltre che di assunzioni straordinarie nel pubblico impiego (Renato Brunetta è, forse, il più tranquillo dei ministri coinvolti: “Il mio piano è pronto, e verosimilmente verrà approvato congiuntamente al decreto sulla governance”, ripete ai suoi amici di Forza Italia). Ma è anche un dossier che si poggia inevitabilmente sui fili a più alta tensione che attraversano questa maggioranza di governo così eterogenea: quella della giustizia. Perché, se c’è un tema su cui Draghi si mostra risoluto, è quello di combattere la cosiddetta “fuga dalla firma” e i suoi “effetti paralizzanti” sull’avanzamento dei lavori pubblici. E’ per questo che, dando seguito a quanto aveva anticipato, in un discorso dai tratti programmatici, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti nel febbraio scorso, il premier vuole procedere a un significativo ridimensionamento delle responsabilità penali che incombono sul capo dei funzionari pubblici. Per questo il perimetro del danno erariale verrà ristretto alle fattispecie di dolo, e lo stesso varrà anche per reati analoghi quale è quello dell’abuso d’ufficio, dando seguito alle modifiche normative già attuate col decreto “Semplificazioni” di novembre scorso, varato dal governo rossogiallo.

 

Che sarà un riferimento anche per gli appalti. Perché le norme adottate in via temporanea in quel provvedimento verranno prolungate fino alla fine del 2023. E, ripartendo dalle pieghe di quel testo, verranno potenziate alcune novità: la velocizzazione delle pratiche in seno alla Conferenza dei servizi (con tanto di voti a maggioranza, ove necessario), l’estensione del ricorso ai collegi consultivi tecnici, che evitino il ricorso ad arbitrati e contenziosi giudiziari. Ci sarà poi l’introduzione di una “Via statale”, alla quale sta già lavorando il ministro Roberto Cingolani, per le opere contenute nel Pnrr, per le quali la valutazione dell’impatto ambientale verrà fatta sulla base di specifici requisiti uniformati su scala nazionale e regolati da un’unica commissione ministeriale. Vittorio Colao, invece, per dare forza alla transizione digitale potrà contare sul silenzio assenso (termini massimi di 90 giorni) per le autorizzazioni agli scavi per la posa dei cavi della banda ultralarga, e dovrà al contempo coordinare un lavoro di interoperabilità tra le varie amministrazioni, per una condivisione dei dati da parte di tutti gli uffici pubblici.

 

Il Codice degli appalti, infine, più che azzerato verrà congelato, almeno nel decreto urgente che verrà varato nelle prossime settimane: si prevede, infatti, di applicare la più semplice normativa europea per tutti i progetti previsti nel Pnrr, per poi procedere a una riforma più organica del Codice in un successivo decreto legislativo, che vedrà il maggiore coinvolgimento del Parlamento e una legge delega ad hoc. Ma questo, dopo. Ora bisogna correre. Entro maggio, governance e semplificazioni andranno inviate a Bruxelles. E questi, al momento, sono gli assilli più ricorrenti nella mente di Draghi. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.