L'intervista

Cesa e la vittoria sul Covid: l'ossigeno è Dio, chiedevo la lista di Draghi agli infermieri

Il centrista si racconta: "Sono fiero di aver resistito alle pressioni di Pd e M5s, poi quando mi sono ammalato l'importante è stato solo respirare"

Simone Canettieri

Parla l'ex segretario dell'Udc: dal pressing per far nascere il Conter ter all'inchiesta per 'ndrangheta fino al ricovero per coronavirus

A gennaio poteva diventare ministro. Ma doveva portare a Conte i suoi tre senatori centristi. A febbraio si è trovato a chiedere la lista dei ministri di Draghi all’infermiere dello Spallanzani che lo accudiva in terapia intensiva. In mezzo, un’inchiesta per associazione a delinquere aggravata per aver favorito la  ’ndrangheta. Ecco, ve lo ricordate Lorenzo Cesa? “Ho sconfitto il Covid: tutto il resto è fiction. L’ossigeno è Dio”.  

C’è stato un momento preciso, a gennaio, in cui tutta la politica italiana pendeva dal cellulare di Lorenzo Cesa, segretario del glorioso Udc, ultimo erede dello scudo crociato: millesettecento amministratori sparsi per l’Italia, ma soprattutto tre senatori nel carnet. Preziosissimi.

Appena Matteo Renzi ha mandato in crisi il governo Conte, il nome dei tre centristi è entrato nei taccuini di tutti i cronisti.  Una cantilena. Albertosi-Burgnich-Facchetti? No: Binetti-Saccone-De Poli.  Partiranno da loro i “costruttori?”, ci si chiedeva dando nobiltà alla parolaccia responsabili. E i tre dell’Ave Maria, cortesi, rispondevano senza mai dare una risposta:  “Dobbiamo parlare con Lorenzo”. Cioè Cesa: 68 anni, da Arcinazzo Romano, vecchio volpone, testimone di nozze di Pier Ferdinando Casini, politico senza fronzoli, sguardo di chi la sa lunga, già rimasto impigliato in qualche indagine, salvo uscirne sempre indenne o prescritto. Insomma, un immortale.  Democristiano purissimo. “A gennaio, in quei giorni, dovetti spegnere il cellulare: dal governo mi chiamavano tutti, soprattutto i ministri grillini. E mi dicevano: facciamo questa operazione? Portati dietro altri pezzi di Forza Italia. Io non ci credevo al Conte ter – ricorda al Foglio – facevo resistenze. Ma le pressioni arrivavano da tutte le parti, anche dall’estero”. 


Furono giorni pazzi e incerti. Nella foga si finì anche per intervistare “Sergio”, il vecchio barbiere che ha la bottega in via Lucina, sotto la sede dell’Udc: faceva i capelli ad Andreotti e in una teca, vicino al cavalluccio dove si siedono i bambini, conservava (ci sarà ancora?) una foto di Conte. Un segno del destino? 

Poi la notte del 21 gennaio cambia tutto. Per Cesa, per l’Udc e forse anche per il governo Conte. Inchiesta “Basso profilo” della procura di Catanzaro, coordinata dal procuratore Nicola Gratteri: 48 persone arrestate (13 finiscono in carcere e 35 ai domiciliari).

Si parla di associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio, traffico illecito di influenze e altri reati connessi. Viene indagato anche Cesa. I magistrati gli contestano un pranzo a Roma, da “Tullio”, nel 2017 con un imprenditore calabrese, Antonio Gallo,  con  Tommaso e Saverio Brutto (padre e figlio, amministratori centristi) e Francesco Talarico, assessore al Bilancio della Calabria e segretario regionale dell’Udc. Tutti arrestati. Cesa secondo l’accusa era “il rappresentante politico più alto nella rete di relazioni costruita da Gallo”. Storie di appalti. E si becca concorso esterno in associazione mafiosa. Prima mossa: si dimette da segretario dell’Udc. Ore di caos nel governo. I tre centristi si irrigidiscono nei confronti di Conte. Antonio Tajani, numero due di Forza Italia, presidia la sede del partito decapitato. Il M5s si scatena contro il segretario dimissionario. “Sì, proprio gli stessi che mi tartassavano per puntellare il governo: prima ero affidabile e mi volevano ministro, poi mi sparavano addosso. Ridicoli”. 
Ma Cesa, insomma, non è un pivello. Stacca il telefono, si mette a recitare il rosario e si dichiara estraneo a tutto. “E’ una vicenda che non ho ancora approfondito, ma è surreale: il provvedimento di gennaio era stato già richiesto ad aprile, e io non c’ero. Poi spunta anche il mio nome. All’improvviso. Mi contestano un pranzo. Nel frattempo, per diciannove degli indagati è caduta l’associazione mafiosa. Ora farò anche io istanza al tribunale del Riesame. Devo riprendermi la mia vita”. Dubbi sulla tempistica di quell’inchiesta? “Non sono un complottista, ma un garantista. Credo che Gratteri sia una persona seria. Mi sono fatto tante domande. Certo, passare per il capo della ‘ndrangheta mi faceva incazzare, questo sì. Ma poi è successo altro e non ho più cercato le risposte”. Il figlio di Cesa lavora a Bergamo, torna a casa nella Capitale e contagia il padre. “Faccio il tampone: scopro di essere positivo. Sto bene. Rimango a casa tre giorni. Pensavo fossi asintomatico. Nel frattempo muore l’amico di Bergamo di mio figlio. Anche mia moglie si ammala. Ho poco ossigeno nel sangue, questo sì. Il saturimetro indica 100, quando i valori dovrebbero essere 300. Vengo ricoverato allo Spallanzani, dove passerò quarantatré giorni, di cui ventidue in terapia intensiva”. 


Cesa prendeva l’ossigeno dalla mascherina e vedeva i muri della stanza cadergli addosso, ricorda ora. Osservava inerme i suoi vicini di letto morire. E intanto peggioravano anche le sue condizioni. “Il medico dice che mi devono intubare: non respiro più, ma mi oppongo. E così passo non so quanti giorni a fare una cosa sola: respirare profondamente per aprire gli alveoli polmonari. Una cosa banale, detta così. Ma che quando si ha il Covid diventa un esercizio e una sfida”.

Sono quattro i giorni più critici. Nel frattempo anche la moglie viene ricoverata allo Spallanzani, ma non glielo dicono. A metà febbraio nasce il governo Draghi. “E per la prima volta da quando faccio politica – dice con una risata – non partecipo alla formazione del governo. Tanto che domando a un infermiere, uno dei tanti angeli di questa eccellenza chiamata Spallanzani, se mi stampa la lista dei ministri. Il colmo eh?”.

Quando Cesa finisce in intensiva, la sua stanza viene occupata da Casini, anche lui ricoverato per Covid, ma con una forma più lieve. “Appena  riscendo gli infermieri mi raccontano di questa staffetta con Pier e anche di tutte le battute che faceva: insomma, si è fatto riconoscere. Ma noi democristiani abbiamo la pelle dura”. Ora Cesa è provato. E quando ieri ha risposto al telefono era appena uscito dalla fisioterapia. “Adesso io e mia moglie stiamo bene. Ma il maledetto, cioè il virus, non se ne va subito, ti macchia”. Prima di chiudere la conversazione mette in fila un po’ di concetti: “Sono contento di aver contribuito all’arrivo del governo Draghi. Se non mi fossi opposto, ora ci sarebbe Conte con noi e i responsabili. Se il governo  indovina la campagna vaccinale e il Recovery l’Italia potrà di nuovo partire: e sarà così”. Insomma, Cesa è pronto a ritornare in pista da eterno “rieccolo” qual è? “Adesso penso alla salute, poi all’inchiesta, molti amici dell’Udc mi cercano: vediamo. Per ora respiro. L’ossigeno è Dio”.
Simone Canettieri

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.