la strategia del governo

Così Draghi prepara l'arma della deterrenza in Europa sul Recovery plan

Valerio Valentini

Il rinvio a maggio delle riforme su pubblica amministrazione e semplificazione non spaventa Palazzo Chigi. "Il freno di emergenza possiamo usarlo anche noi", dice Amendola. Dalle pensioni al fisco: gli obblighi che anche i nordici dovranno rispettare. "Irrigidirsi non conviene a nessuno"

Gli europeisti più sinceri obietteranno che più che ai valori della solidarietà, la logica sembra improntata al principio della deterrenza: additare le manchevolezze degli altri per garantirsi una certa accondiscendenza  rispetto ai propri tentennamenti. Ma a Palazzo Chigi sono sicuri che il rinvio a maggio delle riforme strutturali connesse al Pnrr non sarà un problema. E infatti il sottosegretario Enzo Amendola, interpellato sul tema, esibisce subito la  fermezza di chi non ha nulla da temere: “C’è chi ha agitato lo spettro di un freno d’emergenza come una sorta di arma da utilizzare nei confronti dei paesi del Mediterraneo: ma è in realtà uno strumento che può essere utilizzato nei confronti delle carenze di riforme di ognuno dei ventisette”.

 

Un’irruenza di maniera, forse, quella del responsabile agli Affari europei confermato da Mario Draghi nel trapasso dal BisConte al nuovo governo, e che però dà la misura di una effettiva serenità dell’esecutivo a ridosso della scadenza del 30 aprile, quando i piani nazionali delle riforme degli stati membri andranno inviati alla Commissione europea. “L’Italia ha dato ampie garanzie  sul suo impegno a intervenire nei settori su cui Bruxelles ha chiesto delle riforme strutturali: pubblica amministrazione, digitalizzazione, giustizia, semplificazione normativa”, spiega Amendola, evidentemente non preoccupato dalla scelta del governo di rimandare al mese di maggio la messa a punto di quei decreti, come quello sulla Pa elaborato da Renato Brunetta e quello sulla semplificazione normativa a cui lavorano Daniele Franco ed Enrico Giovannini, che dovrebbero valere come certificazione delle nostre buone intenzioni agli occhi di Ursula von der Leyen. “Siamo pronti - prosegue Amendola - a rivendicare la bontà di questo nostro impegno. E al tempo stesso, siamo pronti a vigilare con la stessa attenzione che altri paesi usano nei nostri riguardi, sull’adempimento delle raccomandazioni che la Commissione ha rivolto a tutti gli stati membri”.

 

Ed è qui che si viene al nodo politico. Perché  a dover fare i compiti a casa, come usa dire, non è solo Roma. E anzi, gli stessi paesi nordici, quelli che più si sono spesi per introdurre dei vincoli che subordinino l’erogazione dei fondi alla realizzazione delle riforme, hanno obblighi gravosi da rispettare. L’Olanda di  Mark Rutte, ad esempio, dovrà dimostrare di aver adottato misure per ridurre la sua “pianificazione fiscale aggressiva”,  e dovrà al contempo impegnarsi nel “rafforzare ulteriormente la vigilanza sugli istituti finanziari” al fine di prevenire i reati di riciclaggio bancario, oltreché affrontare la riforma previdenziale. La stessa su cui dovrà intervenire  - oltre alla Spagna e alla Francia - anche la Germania, perché il ritiro dal lavoro della generazione dei baby boom “peserà sulle finanze pubbliche tedesche e potrebbe compromettere l’adeguatezza delle pensioni”. Senza contare, poi, gli ormai consueti richiami europei  su quel famigerato surplus commerciale che resta “al di sopra della soglia stabilita nell’ambito della procedura per gli squilibri macroeconomici” e che “rispecchia il modesto livello di investimenti interni rispetto ai risparmi”.

 

Tutte indicazioni contenute tra le Country specific recommandations che la Commissione invia ogni anno a ciascuno stato membro, e che sono riassunte in un documento di cinque pagine che sta sulla scrivania del premier Draghi: come a ribadire, insomma, che la campana di Bruxelles suona per tutti, dal 30 aprile. E che in fondo sarà nella convenienza generale evitare eccessive pignolerie, che finirebbero per impantanare l’intero sviluppo del Recovery. La logica della deterrenza, appunto. La stessa su cui il premier s’è confrontato, venerdì scorso, con Paolo Gentiloni. Sentendosi ribadire, dal commissario europeo, le preoccupazioni di sempre: e cioè che la vera prova del fuoco, per l’Italia, sarà la capacità esecutiva sui progetti, la reale possibilità di spendere i fondi europei seguendo uno schema di avanzamento dei lavori che a Bruxelles hanno fissato in una rigida tabella di marcia. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.