la tabella di marcia del governo

Così Draghi ha deciso che le riforme connesse al Recovery slitteranno a maggio

Valerio Valentini

Semplificazione normativa, piano per la pubblica amministrazione e governance: i tre pilastri che Bruxelles ci chiede saranno solo tre capitoli nel Pnrr. L'agenda di Franco verso il Def: l'incontro al Mef coi sottosegretari (che sbuffano) e lo scostamento che lievita

La scelta, per quanto non esaltante, s’è resa  necessaria. Perché anche nella tabella di marcia serrata di Roberto Garofoli, l’ipotesi di aprire nuovi cantieri in un momento che di rogne ne presenta già fin troppe, è parsa quasi un azzardo. E quindi no, meglio rimandare, confidando magari nella benevolenza della Commissione europea. Così s’è deciso che i tre decreti di corredo al Pnrr, i tre pilastri che devono dare concretezza alle buona intenzioni italiane sul fronte del Recovery, verranno redatti a maggio. Pubblica amministrazione, governance e semplificazioni: tutto rinviato oltre la scadenza del 30 aprile.

 

E’ quella, infatti, la data segnata in rosso sul calendario di tutti i ministri: perché è entro il 30 aprile che a Bruxelles attendono  le versioni definitive dei piani nazionali di riforma in vista dell’erogazione dei primi anticipi del Recovery plan. Solo che il tempo che separa il governo da quella fine di mese, dalla tolda di Palazzo Chigi appare già come un tempo convulso. Perché Mario Draghi vuole presentare alle Camere il Def entro questa settimana: il che impone di convocare, dopo quello di stamane in programma per una semplice scadenza relativa a delle leggi regionali, un nuovo Cdm  ad hoc.  Anche per questo il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha precettato tutti i suoi vice e sottosegretari: li vedrà stamane, poco prima delle nove, per discutere gli ultimi dettagli di un impianto che, in verità, finora il titolare di Via XX Settembre ha gestito in modo assai autonomo, ingenerando così i primi malumori nei partiti politici.

 

Solo che Franco, nel suo operare discreto e solitario, ha la piena copertura del premier, che coi ministri del suo governo è stato chiaro, spiegando loro che, data l’eterogeneità della maggioranza, una eccessiva condivisione di informazioni porterebbe al prevedibile stillicidio politico. Sarà nel Def, del resto, che si fisserà la cifra dello scostamento, la cui entità è andata costantemente lievitando, nelle previsioni degli ultimi giorni, passando dai venti inizialmente indicati fino ai quaranta pronosticati da chi segue il dossier nelle scorse ore. Tutte risorse, comunque, che andranno ad alimentare il nuovo decreto “Sostegni”: pure quello da varare in tempi brevi, e di certo entro la fine di un mese, quello di aprile, che vedrà impegnato il governo anche a gestire la baruffa permanente intorno alle riaperture e il rinnovo dello stato d’emergenza, che verrà prorogato almeno fino al 30 giugno. 

 

Eccolo, dunque, il percorso burrascoso che attende Draghi. Ed ecco dunque la ragione che ha spinto il premier a prendere atto che no squadernare ora nuovi dossier sarebbe proibitivo. Per questo con Renato Brunetta, che forse sarebbe l’unico davvero pronto a partire, ha concordato di avviare la riforma della Pa, definendo anche i dettagli relativi alle assunzioni straordinarie connesse al Recovery, “a inizio maggio”. Quando, contestualmente, si dovrà trovare una conformazione chiara anche per la governance del Pnrr, che Draghi ha descritto ai presidenti di regione solo per sommi capi. In questo caso è proprio il premier, dicono, ad avere fretta, per sottrarre il dibattito alle rivendicazioni politiche: e infatti quando a Palazzo Chigi è arrivata l’eco della proposta avanzata all’unisono da Pd e Lega, quella cioè di prevedere un ministro come responsabile di ciascuna delle sei missioni previste nel Pnrr, pare che il premier abbia scosso il capo, come a lasciare intendere che preferirebbe, nella cabina di regia, un formazione più essenziale composta dai ministri economici (Mef e forse Mise) oltreché da Roberto Cingolani, Vittorio Colao ed Enrico Giovannini.

 

Il quale, a sua volta, scalpita per dare la priorità al decreto “Semplificazioni”, quello che dovrebbe snellire le procedure burocratiche ed evitare che i progetti del Pnrr, da realizzare entro il 2026 e seguendo delle tabelle di marcia rigide fissate da Bruxelles, non s’impantanino nelle pieghe del Codice degli appalti, tra ricorsi al Tar e divieti delle Soprintendenze. Anche il ministro dei Trasporti, però, dovrà pazientare fino a maggio, e forse anche oltre. Perché è ormai chiaro che, di queste tre riforme che la Commissione esige dall’Italia a dimostrazione della concretezza delle nostre ambizioni, nel Pnrr non ci saranno altro che tre capitoli specifici, nei quali verranno riassunte le linee di indirizzo che su tre dossier il governo intende seguire. Confidando nel fatto che in fondo non saremo gli unici, tra i 27 percettori dei fondi del Recovery, a limitarci a fornire, rispetto alle raccomandazioni indicate da Bruxelles, una lista di buone intenzioni.
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.