tra palazzo chigi e il mef

Quei 30 miliardi di troppo. Il piano di Draghi per tagliare sul Recovery senza litigare coi ministri

Valerio Valentini

Il premier rifa i conti, che non tornano. Cingolani incassa. "I progetti in esubero verranno finanziati con altri fondi europei", dicono al Mef. Gli incontri con Gentiloni e Letta per preparare le settimane più dure: dal Def al decreto Sostegni, fino all'invio del Pnrr a Bruxelles

Agli occhi di Mario Draghi, l’evidenza del dato s’è rivelata mercoledì pomeriggio, mentre consultava le tabelle arrivate dal Mef in preparazione dell’incontro coi presidenti di regione. Trenta miliardi, o poco meno: di tanto sballavano i conti. Perché i fondi del Recovery plan di cui l’Italia ha deciso di usufruire, tra prestiti e sussidi, ammontano a 191 miliardi. E invece nel Pnrr, il piano nazionale di riforme che entro il 30 aprile va presentato alla Commissione europea, i progetti elencati costavano nel complesso quasi 220 miliardi. Troppi, evidentemente. Anche rispetto a quel margine di 14 miliardi che l’ex ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, aveva mantenuto, visto mai da Bruxelles ci tagliassero qualcosa. Il suo successore invece no, Daniele Franco aveva imposto un controllo più rigoroso. E però, al dunque, i conti non tornavano. Per responsabilità, a quanto pare, anzitutto di Roberto Cingolani.

 

In effetti il problema è stato più complesso. Perché la creazione del  nuovo ministero per la Transizione ecologica s’è trascinato dietro la ridefinizione dei progetti che prima ricadevano sotto il Mise e che spesso, nel trasferimento dall’una all’altra struttura, sono come lievitati. Il resto, poi, ce l’ha messo Cingolani con la sua determinazione nell’ottenere il potenziamento dei piani sulla decarbonizzazione, oltreché la  proroga del Superbonus fino al 2023. “Nulla degli esuberi andrà perso: quello che non troverà spazio nel Recovery verrà finanziato con altri fondi ordinari o europei”, ha spiegato Biagio Mazzotta, irreprensibile come ogni buon Ragioniere generale dello stato che però sa bene che, in nome del “debito buono” auspicato da Draghi, e dell’allentamento  dei vincoli europei, non è questo il momento di lesinare sulle spese. “Anche perché, se potevano stare nel Pnrr, vuol dire che sono progetti basati su investimenti  virtuosi”, hanno convenuto a Palazzo Chigi. Ottenendo così di svelenire preventivamente un dibattito che altrimenti rischiava di farsi complicato, coi ministeri già pronti  a puntare i piedi. E invece Enrico Giovannini, che dovrà rinunciare forse a una parte dei progetti su strade e autostrade, dovrebbe vedersi assegnate delle risorse compensative nel piano di solidarietà comunale e nei fondi di sviluppo e coesione per le infrastrutture al Mezzogiorno. Già nello scostamento che verrà, a quanto si vocifera al Mit, qualche soldo in più dovrebbe arrivare per la mobilità sostenibile.

 

Insomma, si ritorna allo stesso barocchismo in cui s’invischiò il BisConte: quando, nell’illusione di ammansire Matteo Renzi, il Mef  corresse le bozze del Pnrr elaborate a Palazzo Chigi e mise a punto un gioco di illusionismo contabile in cui i fondi del Pnrr s’intrecciavano con altri stanziamenti europei per provare ad accontentare tutti. Franco aveva provato a riportare ordine e rigore: ora dovrà cedere un po’. Anche perché ciò di cui Draghi, che pure non s’affeziona ai formalismi ragionieristici, non ha bisogno nelle prossime settimane, sono le baruffe politiche. Perché il 14 aprile arriverà il Def, sulla scia del quale il Parlamento dovrà votare lo scostamento di bilancio da cui discenderà il nuovo decreto “Sostegni”, per arrivare al 26 aprile col  Pnrr già chiuso, così da illustrarlo alle Camere e spedirlo a Bruxelles, il tutto con l’incognita delle riaperture e dei vaccini da affrontare. Anche per questo il premier ha voluto fare un primo giro di colloqui con i leader politici, a cui ne seguiranno altri nelle prossime settimane. Ieri s’è visto sia con Paolo Gentiloni, commissario europeo che è preoccupato non poco per il rischio di ritardo sul Pnrr, sia  con Enrico Letta, che al suo Antonio Nicita, responsabile per il Recovery nella segreteria del Pd, ha già chiesto di mettere a punto delle proposte su specifici capitoli del piano. A costo zero, sperabilmente. Visto che già siamo in overbooking.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.