(Lapresse, Forum Pubblica Amministrazione alla Nuvola, Roma 2019)

La buona burocrazia

Sabino Cassese

Che futuro per la nostra pubblica amministrazione? Ministeri e strutture che funzionano potrebbero essere d’esempio. Dialogo immaginario (ma non troppo) tra un burocrate, un politico e un imprenditore

Attendono di essere ricevuti da un alto funzionario dello Stato. Sono un imprenditore del nord, un burocrate, un politico. Si conoscono da qualche tempo e intessono un dialogo sulla burocrazia.


Imprenditore. Perché devo perdere il mio tempo con la burocrazia? Time is money. Ha proprio ragione Fabio Colasanti, che in quell’articolo sul Corriere della Sera del 6 marzo scorso distingueva paesi giuridici e paesi pragmatici. Noi siamo nel peggiore dei paesi giuridici. Bisogna riformarla, questa burocrazia.


Burocrate. Non dimentichi quello che ha lasciato scritto nelle sue memorie André Tardieu, presidente del Consiglio dei ministri francese nel 1929-1930: quando vedo segni di tensione politica in Parlamento, annuncio una riforma amministrativa; tutti ridono e gli animi si rasserenano. Non sottovaluti il fatto che molti ministri della Funzione pubblica hanno peggiorato la situazione. Meglio non far nulla, seguendo l’esempio della ministra Dadone nel governo Conte II.

 


Imprenditore. Ma i danni per l’economia sono gravi. Gli impedimenti frapposti dai comuni alla costruzione della rete 5G. Il moltiplicarsi delle organizzazioni satelliti o parallele delle organizzazioni amministrative, su cui vengono scaricati i compiti che dovrebbero svolgere lo Stato, le regioni e i comuni, con conseguente svuotamento degli uffici pubblici. Il giacimento di Tempa Rossa è stato scoperto nel 1989: regione e comuni hanno imposto centinaia di obblighi rallentando la “coltivazione” del giacimento. Le agenzie fiscali sono state create per procedere più speditamente alla riduzione dell’evasione, ma sembrano molto più interessate al funzionamento dell’“ascensore sociale interno” (le promozioni hanno riguardato migliaia di dipendenti). Il ministero della Salute avrebbe potuto, fin dal maggio 2020, avviare la ricerca di vaccini o utilizzare, su licenza, brevetti stranieri. I comuni, per scaricarsi di ogni responsabilità, si inventano ogni specie di parere di organi comunali e statali, in un processo infinito in cui la burocrazia si avvita su sé stessa, creando altra burocrazia non richiesta dalle leggi. Così la burocrazia si dilata, e nello stesso tempo si nasconde e coltiva la propria inerzia.  E potrei continuare a elencare i  casi di strozzature burocratiche passate e presenti (e le relative lezioni): la statale jonica, gli stanziamenti per opere pubbliche, la comunicazione all’Enea dei lavori di recupero edilizio, le banche nella morsa dei tribunali lumaca, il centro polivalente di Norcia, il cantiere della Tap, il peso degli adempimenti sulle microimprese, la circolare che non si capisce ed è quindi perfetta. Ora, poi, c’è il terremoto dello “smart working”. Poco meno di due terzi del personale è assente dall’ufficio da circa un anno. La ministra Dadone già proponeva di “mantenerlo dopo l’emergenza per un’alta percentuale di lavoratori”, senza precisare che vi sono lavori per i quali non è possibile il cosiddetto “lavoro agile”. Non le sembra riprovevole tutto questo?


Burocrate. Ma da chi dipende tutto questo? La politica è instabile.  Ogni nuovo ministro fa le sue leggi. Il Parlamento è divenuto amministratore, facendo leggi sempre più minute e dettagliate, per soddisfare l’ambizione politica della legge autoesecutiva. I politici riformatori affrontano la riforma amministrativa all’ingrosso, come se, nel settore industriale privato, si dovessero affrontare insieme i problemi dell’industria farmaceutica, di quella elettrica, di quella automobilistica e quella del trasporto navale. Non dipende certo dalla burocrazia il fatto che i dirigenti apicali dell’amministrazione siano per due terzi del centro-sud, prevalentemente laureati a Roma, Napoli e Messina in Legge, Scienze politiche o Economia; che solo un terzo abbia un’esperienza esterna alla pubblica amministrazione e solo un decimo un’esperienza internazionale. Nell’amministrazione si riflette il divario nord-sud, che la classe politica ha tollerato o non ha fatto nulla per eliminare. Devo ricordarle che entrate fiscali e spese per il Welfare, contributi e prestazioni dell’Inps, nel rapporto nord-sud, sono invertiti, nel senso che ciò che il sud dà è sempre meno, in proporzione, a ciò che il sud riceve. Insomma, l’Italia è ancora divisa in due. Poi, c’è la legislazione che lega le mani alla pubblica amministrazione, i troppi controlli interni preventivi della Corte dei conti e dell’Anac, nonché i giudici penali e civili, che sono i decisori di ultima istanza.
Imprenditore. La burocrazia non può scaricare tutte le responsabilità sulla politica. Prenda, ad esempio, il modo in cui nella pandemia si sono rivelate le debolezze del Servizio sanitario nazionale. Ci si preoccupava più delle terapie intensive saturate che dei morti. Si sapeva che nel Servizio sanitario vi è un numero basso di personale infermieristico. Il rapporto della Commissione europea sullo stato di salute del Servizio sanitario e quello dell’Ufficio parlamentare di bilancio, ambedue del 2019, mettevano in luce le debolezze della sanità sul territorio e le due velocità della sanità regionale, senza che vi si ponesse riparo, compito che spetta anche al Servizio sanitario nazionale, nei vertici e nelle strutture regionali.

 

Politico. Voglio difendere anch’io la classe politica. Questa può preoccuparsi dei problemi di vertice. Se il corpo amministrativo non segnala i problemi, non li conosce. Faccio l’esempio della scuola. Qui ci sono fenomeni che il Sistema scolastico nazionale stesso dovrebbe analizzare e segnalare all’esterno: le differenze territoriali; la forte variazione della qualità degli insegnanti; la forte incidenza della demografia, nel senso della riduzione della popolazione scolastica; l’alto numero di docenti e la loro grande varietà di qualità; il fatto che siano molti e mal pagati; l’incompletezza dell’autonomia scolastica, rimasta a metà del guado. A tutto questo si aggiungono la grande varietà di meccanismi di assunzione, una cattiva distribuzione sul territorio, l’incapacità della stessa classe insegnante di creare una contrapposizione di interessi tra utenti (studenti e famiglie) e sindacati. Infine, l’accettazione passiva da parte del sistema scolastico nazionale della divisione della vita in età scolare e post-scolare, senza rendersi conto della importanza dell’istruzione lungo tutto il percorso della vita delle persone. Tutti questi sono fenomeni che la classe politica ha difficoltà a conoscere. Sono quelli che lavorano sul campo che dovrebbero segnalarli, analizzarli, nonché suggerire le soluzioni.


Imprenditore. Lei ha sollevato un problema che riguarda prevalentemente i sindacati. Una volta si diceva che questi erano organizzazioni della società civile. Ora non lo sono più. Conservano un alto numero di iscritti (anche se in diminuzione), ma questi si spiegano soltanto con la finalità rivendicazionistica o con i benefici (tramite i patronati). In una situazione tanto difficile, sanitaria ed economica, i vertici sindacali, in modo irresponsabile, hanno proclamato scioperi.

 


 

Burocrate. E che dire delle responsabilità della classe politica, che ha voluto le regioni, dove è cresciuta e si è ramificata? La pandemia ha messo in luce lo scardinamento prodotto dalle regioni dei grandi servizi nazionali,  quello sanitario e quello educativo, con la conseguenza che le grandi istituzioni che dovevano garantire l’eguaglianza sono diventate esse stesse fattori di diseguaglianza. La classe politica non è riuscita neppure ad aggiornare le regioni al mondo contemporaneo: le venti ripartizioni risalgono storicamente alle legioni militari romane e oggi hanno scarso significato economico e politico. Basta considerare la fortissima oscillazione del numero degli abitanti tra Valle d’Aosta e Lombardia. Lo stesso può dirsi dell’estensione territoriale. Il superamento delle ripartizioni regionali, già segnalato da Miglio e più tardi da Morassut, è dimostrato dal numero dei comuni che sono al margine delle regioni a statuto speciale: esse fanno di tutto per passare nell’ambito territoriale delle regioni a statuto speciale, per poter godere dei maggiori vantaggi finanziari e normativi.


Politico. Ma lei considera solo l’aspetto economico territoriale, non quello istituzionale, rilevante per la democrazia. Venti regioni e altrettanti consigli regionali comportano un’integrazione del tessuto democratico del paese. Al Parlamento elettivo nazionale si affiancano venti parlamentini elettivi regionali. Le democrazie moderne amano la moltiplicazione. I costituenti pensavano che, distribuendo i poteri, si assicurassero maggiori garanzie ai cittadini, perché in questo modo l’autorità pubblica è più distribuita, meno concentrata. Vi sono, quindi, minori timori di dittature e di regimi autocratici o autoritari.


Imprenditore.  Ma la burocrazia, che dovrebbe essere composta di competenti, ha fatto fuggire i tecnici dai poteri pubblici. Ha accettato di barattare fedeltà contro competenza e di valutare più la carriera che la funzione. Inoltre, non è mai riuscita a individuare incentivi ad autocorreggersi, mentre le riforme intraprese dai governi sono grandiose, ma inefficaci, e i cittadini nutrono solo sfiducia nei confronti della burocrazia.


Politico. Posso dire che ogni paese ha la burocrazia che si merita?


Imprenditore. Troppo facile. Così non si distingue più il bianco dal nero, tutto diventa grigio. La burocrazia italiana è un fattore negativo per la capacità di fare impresa ed è un elemento distorsivo della produttività. La Banca mondiale e la Commissione europea collocano l’amministrazione pubblica italiana tra le meno efficienti dei 17 paesi dell’Eurozona. Il “Civil Service Effectiveness Index”di Oxford colloca l’Italia al 27esimo posto tra 31 paesi, di cui 22 europei. L’Osservatorio dei conti pubblici italiani, nel gennaio 2020, ha collocato l’amministrazione italiana al 18esimo posto tra i paesi europei, per quanto riguarda la digitalizzazione. Confcommercio e Confederazione nazionale dell’artigianato valutano che il costo dei vincoli pubblici su imprese e micro imprese riduce di più di un terzo il loro profitto. E lasciatemi continuare con qualche esempio concreto: la tratta Brescia-Verona dell’alta velocità ha richiesto quattro anni per l’assegnazione delle risorse e per l’approvazione del progetto; ci sono voluti quattro anni per aggiudicare la gara per il rifacimento del manto stradale di piazza Venezia a Roma; per i ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione l’Italia è stata sanzionata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea; i servizi pubblici per l’impiego, necessari per le politiche attive del lavoro, sono molto carenti; le irregolarità nelle gare d’appalto molto numerose.


Burocrate. Ma lei non distingue tra buona e cattiva burocrazia. Così come c’è debito buono e debito cattivo, c’è anche una buona burocrazia e una cattiva burocrazia. Faccio solo un esempio: l’innovazione introdotta nell’amministrazione italiana della conferenza di servizi, specialmente dopo l’introduzione della conferenza semplificata, è stata un successo.

 

Politico. Io sono preoccupato prevalentemente dal problema del personale pubblico. Il monte salari è di 160 miliardi per anno, un quinto della spesa totale, al netto degli interessi. Anche se il mancato rinnovo dei contratti ha portato a un’erosione dei livelli retributivi rispetto ai livelli retributivi privati, i salari dei dipendenti pubblici italiani non sono bassi, nei confronti internazionali. La Banca d’Italia, in uno studio del giugno 2020, ha rilevato una diminuzione del 10 per cento circa dei dipendenti in circa 20 anni; distorsioni geografiche, nel senso che il sud ha più dipendenti pubblici, in relazione alla popolazione, del nord; un forte squilibrio demografico, perché l’età media dei dipendenti pubblici  è di  circa 51 anni. Però, tutti coloro che comparano il numero dei dipendenti pubblici italiani con il numero dei dipendenti pubblici degli altri paesi europei, rilevando che in Italia ne abbiamo di meno, non tengono conto del fatto che l’amministrazione italiana ha un alto tasso di disaggregazione. Per fare bene la comparazione, bisognerebbe tenere conto di tutte le organizzazioni satelliti, di enti pubblici, fondazioni, partecipate. Inoltre, con la diminuzione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, è andato crescendo il numero dei lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione a tempo determinato. Se poi si va più dentro alle cose, si conferma quello che la Banca d’Italia, in uno studio del 2016, aveva notato: modalità di reclutamento poco selettive; politiche retributive e di carriera che non remunerano istruzione e competenza; procedure di selezione poco adatte al reclutamento di specialisti; incentivi a pioggia; assenza di contestuale riorganizzazione delle strutture. Unico aspetto positivo – ma anche questo è un indicatore preoccupante – l’alto tasso di femminilizzazione, 57 per cento, più alto che nell’ impiego privato. E poi c’è il problema delle assenze, che non è quello dei “furbetti del cartellino”, come pensava una ministra della Funzione pubblica, ma quello delle assenze “legali”, per congedi retribuiti, maternità, malattia, legge 140 del 1992: sono circa un mese per anno, aggiungendosi al mese di ferie, e costano – secondo le stime – intorno a 10 miliardi all’anno. Poi ci sono i sindacati, con le richieste di stabilizzazione dei precari, lo slittamento delle graduatorie, lo scorrimento delle graduatorie, l’allungamento dei termini di validità delle graduatorie, il “precariato stabile” la carriera solo per anzianità. Insomma, complessivamente un quadro molto preoccupante.
Imprenditore. Ma la politica si è ben poco dedicata al buon funzionamento dell’amministrazione. Spetta alla  politica di definire le finalità dell’azione pubblica. Sulla base delle finalità, definire i fabbisogni. Sulla base dei fabbisogni, i carichi di lavoro. Poi, valutare la produttività, che nella pubblica amministrazione richiede uno studio comparativo, perché non si può valutare negli stessi termini della produttività di un’impresa. La politica è, poi, responsabile del “fritto misto” tra contrattualizzazione e legge nel pubblico impiego. Sono i ministri e dirigenti politici che non determinano in modo serio indirizzi e obiettivi per i dirigenti. I compiti dell’alta burocrazia sono determinati fissando obblighi di processo, non di prodotto. Nei contratti non si prevede la mobilità interna ed esterna. I compensi non premiano il merito. C’è una continua manipolazione del rapporto tra parte fissa e parte mobile della retribuzione. Tutto questo è responsabilità della politica, così come è responsabilità della politica avere introdotto sanzioni troppo gravi, che producono la “burocrazia difensiva” e la “fuga della firma”. Pensi soltanto alla fuga dei commissari dalle commissioni di gara: sono preoccupati per le responsabilità che si accollano e delle sanzioni che ne discendono. Una testimonianza della scarsa chiarezza di idee della politica è offerta da una frase rivelatrice scritta da Fabiana Dadone, allora ministro della Pubblica amministrazione (Il Riformista, 5 ottobre 2020): “Rappresentare l’amministrazione tutta è un compito che mette parecchia pressione addosso”. Quindi, un ministro della Pubblica amministrazione ritiene di essere il rappresentante dei dipendenti pubblici. Non dovrebbe essere piuttosto il rappresentante degli utenti? Aggiungo le conseguenze negative del modo in cui avvengono le assunzioni: blocco delle assunzioni, seguito da “infornate” di dipendenti pubblici, enfatizzazione delle uscite e periodici annunci di “concorsoni”. Tutto questo aumenta la distanza tra pubblico e privato.


Burocrate. Ne avete dette di tutti colori, sulla burocrazia, sulla politica, sui sindacati. Io non mi rassegno. Penso che ci siano ancora speranze di salvare la burocrazia italiana. Questa non può essere trattata alla stregua del virus, come è stato fatto negli ultimi tempi, quando tutti si sono accaniti contro la burocrazia. Mi chiedo perché si parla sempre di quello che non funziona e non di quello che funziona e delle buone riforme Questa messa in stato di accusa, ogni giorno, produce scoramento all’interno dell’amministrazione e sfiducia nelle possibilità di cambiarla dall’esterno. Bisogna, “tirare su il morale” dei dipendenti pubblici e migliorare l’immagine della pubblica amministrazione. Ci sono molte buone pratiche che andrebbero valorizzate. Ministeri come quelli dell’Interno, degli Affari esteri, dell’Economia e delle finanze funzionano bene. L’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha creato una banca dati preziosa di tutta la legislazione, chiamata “Normattiva”. Alcuni servizi di anagrafe, alcune strutture scolastiche del nord, il tribunale di Torino e quello di Roma in certi anni hanno funzionato egregiamente. Capisco che sono buone pratiche puntiformi, che non fanno sistema. Fare, tuttavia, un archivio delle buone pratiche e “metterle in vetrina” sarebbe estremamente utile. Servirebbe a individuare istituzioni efficienti e persone capaci. Servirebbe ad altre pubbliche amministrazioni per ispirarsi alle buone pratiche. Consentirebbe di introdurre un meccanismo di incentivazione. Infine, potrebbe ottenere il risultato di risollevare l’immagine pubblica della nostra burocrazia.

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