ANSA - GIORGIO BENVENUTI - DRN 

È iniziata la stagione delle seconde occasioni. Vale anche per l'Italia

Claudio Cerasa

Una lezione di Draghi: fallire non significa morire ma può significare semplicemente ricominciare. Un tema che riguarda Letta e il Pd, molti pezzi da novanta della maggioranza di governo, il paese del dopo pandemia

Il ritorno di Enrico Letta ai vertici del Partito democratico è una notizia gustosa non solo per provare a mettere a fuoco il futuro del Pd ma anche per provare a mettere a fuoco un altro tema incredibilmente ricorrente nella stagione del governo Draghi: le seconde occasioni. La scelta del Pd di puntare su Enrico Letta offre diversi spunti di riflessione ma fra i tanti spunti che si possono considerare uno importante ha a che fare proprio con un tema più culturale che politico e riguarda la capacità di rialzarsi dopo aver fallito. Letta torna alla politica attiva dopo essersi giocato piuttosto male la sua esperienza a Palazzo Chigi non tanto per i risultati ottenuti al governo quanto per alcuni errori di cui avrà fatto tesoro quello che allora era il vicesegretario del Pd. La spallata che nel 2014 gli arrivò dal Pd guidato da Matteo Renzi nacque non da un capriccio dell’ex sindaco di Firenze ma da un errore mai ammesso dello stesso Letta che fu quello di rinunciare a misurarsi alle primarie del Pd nel 2013, quando avrebbe potuto consolidare il suo ruolo di leadership nel partito e quando invece scelse di investire sul suo profilo tecnico.

Letta sbagliò, contribuì a rafforzare i suoi avversari nel Pd e oggi, sette anni dopo, è qui pronto a compiere il percorso che avrebbe potuto tentare nel 2013: guidare il Pd per un breve periodo, candidarsi alle primarie per rafforzare la sua leadership e tentare un domani, forte del passaggio alle primarie, di giocarsi una partita per provare a conquistare Palazzo Chigi.

 

E’ la stagione delle seconde occasioni per Letta, che potrebbe essere anche la persona giusta per dare al Pd la seconda occasione di essere una grande tenda capace di contenere tutte le anime dell’europeismo italiano che non si riconoscono nel centrodestra (e a proposito di seconde occasioni sarebbe un sogno se Letta provasse a dare una seconda occasione anche al suo rapporto con Renzi provando a far rientrare nel Pd tutti gli ex segretari).

Ma è la stagione delle seconde occasioni per molti pezzi da novanta della maggioranza di governo che con le loro storie, in piccolo, sono lì a dimostrare quello che Draghi teorizza da tempo: fallire non significa morire ma può significare semplicemente ricominciare. E’ il caso di Roberto Garofoli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, braccio destro e sinistro di Mario Draghi, che trova a Palazzo Chigi l’opportunità di giocarsi la sua seconda occasione dopo la sofferta uscita dai palazzi della politica del 2019, ai tempi dei pezzi di m… del Mef. Oggi il burocrate di stato detestato dai populismi di ieri e di oggi ha l’occasione di dimostrare che la burocrazia, se ben guidata, non è un ostacolo per la politica ma può essere al contrario una magnifica alleata. E la stessa occasione, la seconda occasione, ce l’ha un altro dei vecchi pezzi di m… del Mef come Daniele Franco, che insieme con Roberto Garofoli ai tempi del governo gialloverde venne additato come nemico del popolo e che oggi con Mario Draghi ha l’occasione, la seconda occasione, per dimostrare quanto invece la burocrazia, quella buona, possa essere amica del popolo.

Lo stesso vale per il nuovo direttore generale di Bankitalia, che a Palazzo Koch ha preso il posto proprio di Daniele Franco, e in questo caso parliamo di Luigi Federico Signorini, che sempre nella stagione gialloverde venne trasformato da Salvini e Di Maio in un altro nemico del popolo quando i due ex vicepremier, come ricordato venerdì scorso sul Foglio da Luciano Capone, cercarono di imprimere  il “cambiamento” provando a limitare l’autonomia del governatore Visco prendendo di mira proprio Signorini e facendo di tutto per non approvare la sua conferma nel direttorio proposta da Visco (la situazione si sbloccò solo grazie al passo indietro del dg Salvatore Rossi: entrarono nel direttorio Signorini e il Ragioniere dello stato Daniele Franco).

 

La seconda occasione, e che occasione, vale per loro ma vale anche per un numero spropositato di ministri che si ritrovano oggi al governo a fianco di Mario Draghi. Vale per Renato Brunetta, che dopo una vita da politico molto divisivo ha ora l’occasione di essere un politico trasversalmente apprezzato, e vale anche per altri ministri che con Draghi hanno avuto e stanno avendo una seconda occasione: vale per Mariastella Gelmini (che dal governo dei neutrini è passata al governo dei neuroni), vale per Mara Carfagna (che da ministra di un governo in cui contava poco diventa ministra di un governo in cui conta molto), vale per Giancarlo Giorgetti (che torna in un ruolo importante al governo dopo il fallimento, anche suo, nella stagione gialloverde, dove era sottosegretario alla presidenza del Consiglio), vale per Luigi Di Maio (che con Conte fuori dal governo avrà l’occasione di riprendersi il controllo del M5s usando Conte come parafulmine dei problemi del M5s). Dare una seconda occasione è un tema che riguarda il Pd, che riguarda Letta, che riguarda la politica, che riguarda il governo ma è un tema cruciale che riguarda anche un altro terreno sul quale Draghi dovrà intervenire: trasformare il fallimento non in uno stigma ma in una fase possibile del ciclo dell’economia.

 

Nel bellissimo rapporto realizzato lo scorso autunno per il Gruppo dei Trenta o G30, presentato da Draghi e da Raghuram Rajan, economista dell’Università di Chicago ed ex governatore della Banca centrale indiana, l’ex presidente della Bce provò a mettere a fuoco il tema in modo convincente. “Le risorse non dovrebbero essere sprecate per aziende che sono destinate al fallimento o che non ne hanno bisogno… Occorre limitare il sostegno pubblico alle imprese alle circostanze in cui c’è un fallimento del mercato…  I governi dovrebbero intervenire per affrontare i fallimenti del mercato che creano costi sociali sostanziali… C’è un forte consenso sul fatto che la maggior parte dei paesi ha leggi fallimentari che sono inadatte a una situazione come quella attuale. Questa crisi aumenta la necessità di affrontare le riforme delle leggi sull’insolvenza o di sperimentare nuovi schemi che faciliterebbero le ristrutturazioni del debito commerciale senza il ricorso a procedure fallimentari… E’ necessaria un’azione per progettare e attuare le politiche e le strutture necessarie prima che le aziende falliscano”.

L’Italia che proverà a tirare su la testa dalla pandemia, dopo il nuovo lockdown e dopo la campagna di vaccinazione, sarà un’Italia piena di energia ma anche piena di ferite. E ragionare su come offrire al nostro paese una seconda occasione non è un tema che riguarda solo il Pd: è un tema che riguarda l’Italia dei nostri figli. 
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.