ANSA/ALESSANDRO DI MEO 

La mossa di Zinga

Non è più sleeping, Roma con Gualtieri e un pezzo del Pd

Salvatore Merlo

Da quando s’è dimesso l’ex segretario del Pd s’è svegliato. E vuole fare il king maker di Letta

Ieri ha proclamato la Repubblica indipendente di Zingarettia. Il Pd cambia segretario? Arriva Enrico Letta? Forse si cambia linea politica? Va bene, va tutto bene. Ma nel Lazio, dove lui è il presidente, la linea resta la sua. E così ieri mattina Nicola Zingaretti ha annunciato la sua nuova giunta regionale, con i Cinque stelle al governo. Compresa Roberta Lombardi, detta la Faraona, la grillina arcinemica di Virginia Raggi. E c’è un progetto a lungo termine dietro questa mossa. Zingaretti non si è dimesso da segretario per disperazione, ma per ambizione.

Occorre  superare la porta a vetri del palazzo della regione Lazio per essere avvolti da un’aria elettrica e ottimista, che si accompagna a discorsi di questo tipo: “Nicola fa il presidente della regione fino a scadenza. E’ il king maker della nomina di Letta a segretario. Condensa attorno a sé una corrente che vale il 30 per cento del Pd. La prossima settimana benedirà la candidatura  di Roberto Gualtieri a sindaco di Roma. E quando arriveranno le politiche lascerà la regione per entrare in Parlamento dalla porta principale”. Dunque il Lazio come modello dell’alleanza con i grillini, ma anche segno di radicamento territoriale assieme al comune di Roma.  E tutto questo all’interno d’una struttura di corrente: la sinistra del Pd, capace di muoversi utilizzando le sardine  (che è stato Zingaretti a mobilitare nei giorni scorsi).
   

L’attuale  Parlamento ha fin qui prodotto tre governi in tre anni. La prossima legislatura, specie se non dovesse cambiare la legge elettorale o se cambiasse nella forma di un proporzionale à la spagnola, potrebbe non essere diversa. E allora in questo schema, che ricorda le meccaniche della Prima Repubblica, l’ex segretario  intende essere “uno dei leader del Pd”, uno degli uomini alternativamente spendibili – chissà – per fare il presidente del Consiglio o male che vada il ministro. E infatti dimettendosi, anticipando le mosse dei suoi avversari, Zingaretti ha messo fuori gioco Stefano Bonaccini, il presidente dell’Emilia che aveva bisogno di tempo e contava di potersi muovere nella logica fin qui conosciuta sin dai tempi del Lingotto di Walter Veltroni: congresso, primarie, elezione a segretario e poi chissà candidatura alla presidenza del Consiglio. Ma Zingaretti lo ha messo fuori gioco, in una mossa. Poi il presidente del Lazio ha fatto la mossa numero due. Ha cioè favorito l’accordo con Letta, un patto che non prevede una reggenza, non prevede un incarico dimezzato, bensì una segreteria piena e  di lunga durata. Così, con questa seconda mossa, Zingaretti ha contribuito a porre le basi   per un nuovo equilibrio dentro il partito e anche dentro il Parlamento. Secondo un progetto che, guarda caso, è lo stesso che Letta condivide. Un piano che il nuovo segretario, venti giorni fa, aveva descritto in un’intervista a Repubblica. Intervista che oggi assume un interesse nuovo e speciale. Letta infatti  paragonava il governo Draghi al governo Ciampi: come Ciampi chiuse la Prima Repubblica ponendo le basi per un riassetto del sistema che avvenne con il varo del Mattarellum, così Draghi chiude la seconda.  Insomma, diceva Letta, mentre Draghi fa quello che deve al governo,  i partiti ristrutturino il sistema politico cercando anche una sponda nella Lega. Dunque chiudere la Seconda repubblica, per tornare – all’incirca – alla prima. Correnti, quote proporzionali, governi fatti in Parlamento, e soprattutto una serie di leader appartenenti allo stesso partito (ieri la Dc oggi il Pd) tutti spendibili. Ed è esattamente al centro di questa ipotesi che Zingaretti si è già collocato. Azzeccando fin qui tutte le mosse, per la prima volta in due anni.
 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.