carroccio senza bussola

Salvini e il finto nuovo partito in Europa. E la Meloni ride: "Je piacerebbe..."

Valerio Valentini

Briga con Orbán ma fa insospettire la Le Pen. Annuncia nuove federazioni sovraniste, ma la leader di FdI lo blocca. La strada verso il Ppe (via Tajani) s'è fatta ardua. E il capo della Lega, rimasto in mezzo al guado, manda in fibrillazione i suoi europarlamentari

Chi lo difende, come Alessandro Panza, ha provato subito a sminuire il tutto. Dicendo anzi che in fondo anche il vecchio Bossi, ai tempi d’oro, faceva così, alzava dei gran polveroni per nascondere le vere trattative. Solo che forse martedì la giornata era partita già storta, per il Carroccio, a Bruxelles, col gruppo in fibrillazione per la questione catalana. E così Paolo Borchia, di fronte alle dichiarazioni di Matteo Salvini sulla nascita di un supposto nuovo gruppo al Parlamento europeo, è sbottato. "Ma è possibile che dobbiamo venirle a sapere dai giornali, queste cose?”, s’è lamentato l'eurodeputato veronese che, per inciso, è anche a capo del dipartimento Lega nel Mondo, e dunque s’è ritrovato spiazzato di fronte alle domande dei suoi colleghi che gli chiedevano conto dell’annuncio di Salvini, di quel fantomatico nuovo gruppo sovranista col Carroccio insieme al PiS e a Fidesz. Che, peraltro, si rivelava presto una specie di burla, un groviglio di finzioni tra loro inconciliabili. Intanto perché i polacchi di Jaroslaw Kaczyński, gelosi della loro superiorità numerica nella componente dei Conservatori e riformisti, non gradirebbero affatto di finire in una sorta di confederazione nazionalista dove resterebbero nell’ombra di italiani e ungheresi. E poi perché, stando ai regolamenti di Bruxelles, far nascere dal nulla, a metà legislatura, un nuovo gruppo non è affatto semplice.

 

Né si rivelerebbe più agevole, sempre a voler dare un crisma di verosimiglianza alla boutade di Salvini, utilizzare proprio Ecr come il contenitore da usare come incubatrice della nuova confederazione sovranista. Non fosse altro che per il fatto che a presiedere il gruppo è quella Giorgia Meloni che per niente al mondo acconsentirebbe all’ingresso della Lega, per motivi di rapporti di forza reciproci, e che infatti da giorni commenta con romana laconicità l’iperattivismo europeo di Salvini: “Je piacerebbe…”.

 

La verità è che, dietro alla frenesia comunicativa del fu Truce, c’è un’ansia reale, percepita anche dai suoi colonnelli a Bruxelles: quella, cioè, di essere rimasti in mezzo al guado. Perché la compagnia tossica dei tedeschi di AfD viene ripudiata un po’ da tutti i 27 eurodeputati leghisti (tranne dagli oltranzisti No Euro come Francesca Donato e pochi altri), ma la traversata nel deserto dei “non iscritti” che dovrebbe, secondo gli auspici di Giancarlo Giorgetti, portare il partito dentro il Ppe, s’è rivelata subito più complicata del previsto. Avevano perfino pensato, a Via Bellerio, di mandare due o tre dei più presentabili dei loro in avanscoperta, così da preparare il terreno all’ingresso in blocco del partito, magari a gennaio prossimo. E per questo era stato allertato anche Antonio Tajani. Il quale aveva anche dato una disponibilità di massima, salvo poi accorgersi che l’operazione non era stata bollinata da Salvini, e avrebbe rischiato di compromettere la stessa Forza Italia. E dunque, alla fine, non se n’è fatto niente.

 

E insomma accortosi di essersi impanato, il capo della Lega ha provato a scartare. Convinto che l’uscita di Fidesz dal Ppe possa scompaginare i piani di tanti, sul fronte destro dell’emiciclo di Bruxelles. “Solo che già durante la campagna delle europee Matteo si fece promettere mari e monti da Orbán, ma in verità lui ci usò per alzare il prezzo coi popolari: e così lui poi se n’è andato nel Ppe, e noi siamo rimasti in Id”, sbuffa un europarlamentare leghista, sotto garanzia di anonimato. E in effetti il copione sembra ripetersi: col leader polacco che li lascia corteggiare da Salvini e della Meloni, per poi trovare la collocazione che meglio lo soddisfa. 

 

Quanto a Salvini, se da un lato prospetta nuove collocazioni al Parlamento europeo, dall’altro si vede costretto a ribadire fedeltà a Marine Le Pen. E infatti Philippe Olivier, fedelissimo della leader del Front national, di cui è anche cognato, se a metà febbraio ci spiegava che l’ingresso della Lega nel governo Draghi non poneva alcun problema perché “nel nostro accordo è previsto che ogni partito agisca come meglio crede nel proprio paese”, nei giorni scorsi ha contattato dei colleghi del Carroccio a Bruxelles per chiedere lumi sugli strani movimenti del loro capo. Perché, a quanto pare, tra Salvini e Le Pen c’è un tacito accordo di mutua assistenza fino alla data delle elezioni in Francia, nella primavera del 2022.

 

E così, di strambata in strambata, la navigazione del Carroccio senza più una bussola chiara a Bruxelles continua a sfibrare il gruppo. Al punto che perfino su una questione su cui la fede autonomista della Lega non dovrebbe far sorgere dubbi, martedì si è arrivati alla spaccatura: e così, sul voto segreto per la negazione dell’immunità parlamentari agli europarlamentari catalani, un manipolo di leghisti si è detto contrario, in nome della solidarietà tra localismi. Si è discusso, si è bisticciato. Alla fine dall’alto è arrivato l’ordine: “Libertà di voto”. E ancora nessuno immaginava che, di lì a qualche ora, Salvini avrebbe acceso una nuova gazzarra.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.