Enzo Amendola, ministro per gli Affari europei (foto LaPresse)

travagli rossogialli

L'ombra delle regionali, e del disfacimento del M5s, piomba sul Recovery fund

Valerio Valentini

I senatori del Pd chiedono tempo ad Amendola: vogliono capire se i grillini sopravvivono al 20 settembre. La nuova "corrente" di malpancisti a 5 stelle. Lo spettro del Mes nei piani di Zingaretti

Roma. Se fosse solo una questione di tempo, allora avrebbe ragione Pier Carlo Padoan: “Il Mes, oltre a prevedere condizionalità assai meno stringenti del Recovery fund, ha anche il vantaggio di fornire i soldi subito. Inserirlo in legge di Bilancio significherebbe spendere quei 36 miliardi nel 2021. Il che sarebbe un controsenso”, dice l’ex ministro dell’Economia. Ma anche di controsensi si nutre la tattica politica, specie quando questa si risolve in un equilibrismo sulle contraddizioni interne alla maggioranza. E così anziché accelerare sul Mes, il governo pare intenzionato a forzare i tempi sul Recovery. E certo, ci sono senz’altro buone ragioni di merito, a suggerire la fretta. Un po’ perché a Bruxelles la risolutezza d’intenti viene sempre ben gradita. E se è vero che Paolo Gentiloni ha fatto sapere ai suoi amici ministri del Pd che prima di dicembre la Commissione europea non avvierà il vaglio sui vari programmi nazionali, è anche vero che al 15 ottobre sarebbe bene arrivare con delle linee guida che siano il più definite possibile, così da garantirsi l’anticipo del dieci per cento del Recovery, e inserire quei venti miliardi già in legge di Bilancio.

 

E però quando ieri il ministro del Pd Enzo Amendola, titolare degli Affari europei, ha spiegato ai senatori del suo partito che quelle linee guida verranno varate domani dal Ciae (il Comitato interministeriale che gestisce le questioni comunitarie), s’è ritrovato a dover fronteggiare le proteste del capogruppo Andrea Marcucci, spalleggiato da Dario Stefano e Luciano D’Alfonso: tutti concordi nel dire che il Parlamento, nella definizione di questo piano epocale di investimenti, non può essere relegato al ruolo di chi ratifica. Un po’ la stessa richiesta che, informalmente, è stata recapitata al governo anche dal presidente della commissione Bilancio della Camera, il dem Fabio Melilli, che in verità da tre settimane coordina un lavoro di audizioni finalizzato alla redazione di una griglia di priorità, corredata dalle osservazioni delle altre commissioni coinvolte, da portare in Aula il prima possibile, così da fornire al governo le indicazioni per stilare le linee guida. Sennonché, a Montecitorio si potrà votare quest’atto d’indirizzo non prima del 29 settembre, e invece l’esecutivo vuole allegare gli orientamenti di spesa del Recovery alla Nadef, la nota di aggiornamento al Def che va licenziata, in teoria, entro il 27 settembre. Piccole incongruenze temporali, tecnicismi dietro cui, tuttavia, c’è un chiaro nodo politico da risolvere.

 

Perché tra dieci giorni si vota per le regionali, e quella consultazione potrebbe ridefinire gli equilibri interni alla maggioranza. E allora, più che all’aggiornamento del Def, si dovrà mettere mano all’aggiornamento del contratto di governo, e magari della squadra di ministri. E certo, il Pd avrà i suoi bei malumori, da metabolizzare, specie se la Puglia (per non dire della Toscana) dovesse finire alla destra. Ma i travagli peggiori saranno sicuramente quelli che sconvolgeranno il M5s, le cui pattuglie parlamentari arriveranno alle regionali già dilaniate, e potrebbero uscirne come un guazzabuglio di gruppuscoli. E così ieri mattina, nel mentre che alcuni dei grillini più esagitati pianificavano un’imboscata al ministro Roberto Speranza (“Così gli ribadiamo che il Mes deve toglierselo dalla testa”) in vista dell’audizione odierna, a pochi metri di distanza, in Transatlantico, la deputata Dalila Nesci raccoglieva le firme di ventisei suoi colleghi (compresi i sottosegretari Liuzzi e Sibilia) intenzionati a sventare una fuga in avanti di Vito Crimi e Luigi Di Maio, in vista degli Stati generali: “Non possiamo affidarci ai caminetti e ai voti improvvisi su Rousseau che servono solo a ratificare scelte già prese, anche perché – spiegava la Nesci – si finirebbe col reprimere le diverse anime del M5s e dunque a farle poi esplodere all’indomani delle regionali”.

 

Che poi è anche la speranza di certi dirigenti del Pd: attendere di vedere l’effetto che fa il 20 settembre, e poi gestire il Recovery plan avendo come controparte un alleato sfibrato, confuso, e insomma più facilmente manovrabile. Magari partendo proprio dal Mes, il grimaldello con cui in Parlamento si potrà, sempre che le intenzioni bellicose di Nicola Zingaretti siano reali, far deflagrare le contraddizioni grilline. “Del resto sono cinque mesi – sorride amaro il renziano Luigi Marattin – che ci stiamo interrogando se ci piace o no risparmiare cinque miliardi di interessi in dieci anni. Speriamo che stavolta sia quella buona. Coraggio”.

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