Federico Fornaro (foto LaPresse)

dibattiti a sinistra

“Bisogna superare il Pd, ma senza tornare ai Ds”. Parla Fornaro

Valerio Valentini

“Tutta la sinistra deve riorganizzarsi, ma senza lasciare al centro il dialogo col mondo cattolico”, dice il capogruppo di Leu alla Camera. "Renzi? Dubito che sappia fare il federatore"

Roma. L’immagine dell’Angelus Novus, del demone della storia che va verso il futuro con lo sguardo rivolto al passato, a Federico Fornaro non piace granché. O, almeno, non se la si applica alla sua parte politica. “Non credo che la sfida sacrosanta di ricostruire la sinistra vada affrontata col torcicollo”, sorride il capogruppo di Leu alla Camera, fedelissimo di Pier Luigi Bersani. “Insomma, per dirla meglio, credo che i Ds e la Margherita appartengano a una fase politica archiviata, che non può essere riesumata. Anche perché, nell’opera di dare una nuova fisionomia alla sinistra, non si può prescindere dalla necessità di mantenere, e rafforzare, un dialogo costante e fertile col mondo cattolico. Quella cultura, quella sensibilità, su alcuni temi a noi molto cari, come i diritti all’integrazione o la dignità dei lavoratori, esprimono istanze perfino più intransigenti delle nostre”.

 

E’ questo dunque, agli occhi di Fornaro, il limite del teorema di Goffredo Bettini, quell’idea di divisione dei compiti che lascerebbe ai moderati il monopolio della rappresentanza della cultura popolare. “Sì, perché per il resto io condivido alcune linee di fondo del ragionamento di Bettini”, spiega. “Il Pd non può restare così com’è, perché da solo non basta a fronteggiare le destre. Serve una nuova forma partito, e il Pd in questo senso dovrebbe fare un atto di generosità”. E sciogliersi, dunque? Rinunciare alla sua vocazione maggioritaria? “A me questa espressione non è mai parsa felicissima. Preferisco parlare di una sinistra larga e plurale, all’interno della quale il Pd dovrebbe mettere in discussione se stesso, come tutti del resto in questo schieramento, nelle consapevolezza davanti a noi abbiamo sfide nuove, e come giustamente suggerisce Gianni Cuperlo, per vincerle bisogna rimettere mano alla cassetta degli attrezzi. D’altronde il Covid, nella sua drammaticità, ha ribadito l’attualità di istituti che forse parevano antiquati, come la scuola o la sanità pubblica, e ha impresso una nuova fisionomia a vecchie battaglie, se pensiamo all’importanza di declinare la lotta alle disuguaglianze come impegno contro il digital divide. Anche sul piano economico, ora che la partecipazione statale non è più un tabù, credo sia importante rilanciare la sfida passando da un semplice stato interventista a uno stato innovatore, coniando l’espressione cara alla professoressa Mazzucato”.

 

Ma davvero un partito di sinistra con questi connotati può ambire all’autonomia? “La sinistra, da sola, non è mai andata al governo in Italia. E dunque il tema delle alleanze non può essere eluso. Auspico che ci sia qualcuno in grado di riorganizzare un’area di centro liberale e riformista che guardi stabilmente a sinistra. Rispetto a Bettini, nutro però qualche dubbio che Renzi possa vestire i panni del federatore. E lo stesso vale per Calenda. Senza contare, poi, che nessuno avrebbe la garanzia che un simile polo centrista resisterebbe alla tentazione di giocare su due sponde, cercando intese anche col centrodestra”.

 

E il M5s? “A differenza di chi gli rimprovera l’incoerenza rispetto ai suoi fondamentalismi originari, io credo che si debba prendere atto con favore dell’evoluzione del M5s. Il loro processo di istituzionalizzazione è ormai irreversibile. Se lo sarà anche la scelta di collocarsi nel campo del progressismo, saranno loro a decidere se assumere i connotati di una forza più centrista, o se scegliere la strada della sinistra ambientalista. In ogni caso, è con loro che si deve approfondire il dialogo, in questa fase, nella consapevolezza che i governi di coalizione richiedono sempre una discreta fatica. Ma i rapporti personali, e quelli politici, in un anno di convivenza al governo sono assai migliorati. E mi auguro si prosegua su questa via, dal momento che la sfida che ci attende, quella del Recovery fund, è decisiva per il destino del paese. E questo assetto di governo mi pare l’unico possibile e praticabile. Dunque, meglio impegnarsi a far funzionare le cose, che illudersi di poterle cambiare con un colpo di bacchetta”.

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