Goffredo Bettini e Walter Veltroni, insieme nel 2007 (foto LaPresse)

la fine del sogno veltroniano?

Consegnare a Renzi la guida dei moderati? Così Bettini scuote il Pd e il centrosinistra

Redazione

L'entusiasmo di Italia viva, la rabbia dei riformisti di Guerini. L'idea di tornare alla divisione dei ruoli (modello Ds e Margherita) mette in subbuglio i progressisti. E Zingaretti non sa bene cosa fare col suo mentore

I primi a reagire, com'era attendibile, sono stati i renziani, visto che l'appello fogliante di Goffredo Bettini era proprio al loro leader: "Renzi, guida tu i moderati, fai il federatore di un polo liberale e riformista che può valere il 10 per cento e che possa costituire la terza gamba dell'alleanza di governo, insieme al Pd e al M5s". Questo, in sintesi, il ragionamento del dirigente romano del Pd, gran suggeritore del segretario Nicola Zingaretti (che, in camera caritatis, fa sapere di non aver apprezzato granché, la fuga in avanti del suo mentore).

 

Come che sia, l'assist è talmente ghiotto che i renziani non se lo fanno scappare. "Le parole di Bettini confermano che Italia viva è centrale nelle dinamiche politiche", ci dice Ettore Rosato. Prima che Davide Farone, capogruppo dei renziani al Senato, s'incarichi di esprimere la reazione ufficiale del partito: “Italia Viva è nata per aggregare i riformisti proprio mentre il Pd andava verso il M5S con una connotazione populista sempre più evidente. Se il sistema elettorale sarà quello proporzionale sarà naturale l’evoluzione che prevede Goffredo Bettini oggi sul Foglio: un polo moderato e riformista che riunisca tutti coloro che la pensano allo stesso modo e che sono collocati forzosamente ed immotivatamente dentro forze politiche diverse e addirittura in coalizioni diverse. Niente alchimie o giochini politici, ma un processo naturale. C’è chi dice che IV teme lo sbarramento: io lo porterei pure a doppia cifra perché sono convinto che potremo diventare la prima forza del Paese”.

 

E anche Carlo Calenda, sia pure con meno entusiasmo, sembra condividere lo scenario. E sollecitato a dire se il ragionamento di Bettini lo trovi concorde, risponde, laconicamente, "Sì"

 

Ovviamente, però, se nell'area moderata fuori dal Pd questo schema di gioco viene apprezzato, la corrente riformista che sta dentro il Pd entra in agitazione. Proprio perché Bettini, col suo ragionamento, sembra voler delegare ad altri, esternalizzandola, la funzione che Base riformista vuole svolgere nel partito. Insomma, l'esatto contrario di quanto prospettato da Lorenzo Guerini, leader di Base riformista, nel suo manifesto di qualche giorno fa pubblicato sul Foglio. "Insomma, ci sta dicendo che abbiamo sbagliato a restare, ci sta indicando la porta consigliandoci di andare con Renzi?", sbottano deputati e senatori di quest'area.

 

E così, nonostante gli inviti alla cautela che, sin dal primo mattino, il ministro della Difesa ha rivolto ai suoi, qualche reazione negativa c'è stata comunque. ''Molto buona l'intervista di Stefano Bonaccini al Corriere della Sera. Ci ritrovo, compresa l'ultima risposta, l'essenza del Pd e le motivazioni stesse per le quali lo abbiamo fondato. L'esatto opposto di quanto sostenuto oggi da Bettini sul Foglio", dice Salvatore Margiotta, sottosegretario ai Trasporti, area Lotti-Guerini, che valorizza l'approccio unitario del governatore emiliano, futuro possibile candidato alla segreteria del Pd e che, sul Corriere, ribadisce la necessità di un partito ampio e inclusivo, che non si rassegni al 20 per cento. 

 

Lettura analoga a quella che dà anche Enrico Borghi, deputato gueriniano e membro del Copasir: "Ho letto sul Foglio il lungo articolo di Goffredo Bettini. Vorrei solo capire perché dovremmo tornare indietro di 25 anni, nell’era pre Ulivo con PDS, PPI e Lista Dini". Riferimento al passato che, nel discorso di Bettini, riscontra anche Andrea Marcucci, capogruppo al Senato del Pd, mentre anche Graziano Delrio lascia trapelare la sua contrarietà alla tesi del fedelissimo di Zingaretti. 

 

Giorgio Gori si sente doppiamente coinvolto, nel dibattito. Sia perché nel polo moderato vagheggiato da Bettini lui troverebbe senz'altro spazio, sia perché, in un'intervista al Foglio, Carlo Calenda lo ha contestualmente invitato ad uscire dal Pd e ad unirsi ad Azione. "Ma accogliere l’invito di Calenda – ci spiega il sindaco di Bergamo – significa dar ragione a Bettini, che con l'articolo di oggi (ma l’aveva già fatto) seppellisce la vocazione maggioritaria, ripristina il centro-trattino-sinistra, riporta il Pd alla stagione dei Ds e chiede a Renzi di fare il capo della nuova Margherita. Come dire: negli ultimi tredici anni, da Veltroni in poi, abbiamo scherzato. Non ho dubbi che questo schema incontri il favore di Calenda - magari non proprio l’idea di finire 'sotto Renzi' - ma non è certo la mia idea e secondo me neanche quella della maggioranza degli iscritti e degli elettori del Pd. Se gli si chiedesse: 'volete tornare a Ds e Margherita?' secondo te sarebbero più i sì e più i no? Io dico più i no, come confido che tanti siano i no degli elettori democratici al taglio dei parlamentari voluto dai populisti.

 

 

Neppure Tommaso Nannicini, lui che anzi rimprovera perfino a Base riformista una certa timidezza nel marcare il terreno dell'antigrillismo, condivide il ragionamento di Bettini. 

 

Anche Maurizio Marina boccia la tesi di Bettini. "Io non credo – dice il deputato dem, già segretario del partito – a un ritorno del centro-sinistra col trattino come immagina Bettini. Servirebbe invece uno sforzo innovativo per unire progressisti e riformisti. È ancora questa la missione del Pd". 

 

Matteo Orfini, la mette giù così la sua contrarietà: "Lo schema che disegna Bettini è sicuramente una linea possibile. Ma è la negazione del progetto originario del Pd. La funzione del riformismo non può essere quella di trasformarsi in una specie di partito dell'establishment che svolge funzione di cerniera tra il populismo del m5s e il fronte moderato. Rinunciando per questa rendita di posizione non solo alle.proprie battaglie, ma addirittura all'ambizione di unire i riformisti e di convincere del proprio progetto gli elettori".

 

Nessun commento diretto, per ora, da parte di Zingaretti e dei suoi uomini di fiducia. Anche Andrea Orlando, vicesegretario del Pd, attende, così come pure Dario Franceschini e i parlamentari della sua corrente.