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Come semplificare un paese da mille e una norma

Annalisa Chirico

Circa cinquecento provvedimenti per un totale di 45.520 pagine, per leggerle tutte servono 158 giorni: questo è il quadro normativo sulle opere pubbliche, dal 1994 a oggi. Un convegno per fare il punto 

Iper-regolamentazione, ipertrofia delle leggi, delirio normativo: chiamatelo come volete, il risultato non cambia. Realizzare un’opera pubblica in Italia è una missione impossibile, e la questione diventa di primaria importanza quando il paese, primo beneficiario del programma Next Generation EU per 209 miliardi di euro, potrebbe destinare una quota rilevante delle risorse al settore delle costruzioni e delle infrastrutture.

  

“Le mille e una norma” è il titolo del webinar, promosso dall’Ance, che si tiene oggi per far conoscere i contenuti di un rapporto che accende i riflettori sui guasti della pubblica amministrazione mai risolti dalla politica. Nel campo delle opere pubbliche, dal 1994 ad oggi, sono stati adottati circa cinquecento provvedimenti per un totale di 45.520 pagine, oltre 136 chilometri di carta, che richiedono 158 giorni per una lettura completa (“senza considerare i rimandi”, si precisa nel documento). A commentare i risultati della ricerca, insieme al presidente Ance Gabriele Buia, intervengono il vice avvocato generale dello stato Marco Corsini, il presidente di sezione del Consiglio di stato Carlo Deodato e la presidente di Italia decide Anna Finocchiaro. Un corpus normativo in crescita incessante (si è passati da una media annuale di circa 7,6 provvedimenti negli anni Novanta ai quasi trenta nell’ultimo decennio, con la punta record di 39 nel 2019) e sempre più complesso e indecifrabile: se la legge Merloni del 1994 conteneva 38 articoli per un totale di 48 pagine, il codice De Lise del 2006 e quello Appalti del 2016 sono leggi omnibus, che riguardano anche servizi e forniture, con oltre duecento articoli ciascuno. Instabilità normativa che aggiunge incertezza ai rapporti giuridici tra stato e imprese. “Non solo sugli appalti, anche a livello generale il corpo normativo è diventato sempre più ingestibile”, commenta Edoardo Bianchi, vicepresidente Ance con delega alle Opere pubbliche.

   

In effetti, limitando l’analisi ai tre provvedimenti principali adottati durante l’emergenza Covid, si scopre che i decreti legge dedicati a “cura”, “liquidità” e “rilancio” occupano 360 pagine per un totale di 437 articoli, 1710 commi e 1807 rimandi. Chi saprebbe districarsi in un tale labirinto di codici e postille? Con l’aggravante che non sempre le norme formalmente approvate producono effetti: durante il governo Conte I sono stati adottati 153 decreti attuativi ma ne mancano all’appello ancora 206, per non parlare del Conte II, in carica, che a fronte di 43 decreti attuativi già approvati è alle prese con 370 provvedimenti in corso di approvazione. La novità è il decreto semplificazioni che, con una parola abusatissima, è intervenuto sulle gare: non si dovranno più fare per importi fino a 150mila euro, e con procedure negoziate a inviti fino a 5,35 milioni di euro. Una scelta condivisibile se circoscritta ai lavori da fare in urgenza, diversamente è elevato il rischio di aprire la strada a favoritismi penalizzando le imprese più efficienti. Tanto più che, come fa notare il presidente Ance Buia, “il contenzioso sulle gare incide in Italia meno del 5 percento mentre quasi il 70 percento delle cause di blocco delle opere si concentra nella fase autorizzativa che precede la gara”. Sedici anni per realizzare un’opera pubblica sopra i cento milioni di euro e quattro o cinque anni per le più semplici opere di manutenzione.

    

“Non c’è nulla di più complicato della semplificazione amministrativa – spiega il consigliere di stato Deodato – In questi anni gli obiettivi di semplificazione sono stati sostanzialmente traditi. Le ragioni di questo fallimento sono molteplici, ha contribuito certamente il sistema di governance multilivello, foriero di una inevitabile stratificazione legislativa, ma la domanda urgente, adesso, è come evitare che ciò si ripeta. A mio giudizio, si deve seguire un modello diverso rispetto al passato: quello della liberalizzazione delle attività economiche e quindi della riduzione del perimetro del controllo pubblico. In breve, per ogni procedimento occorrerà verificare se esso è condizionato dall’ossequio che si deve al diritto europeo o ai valori costituzionali. Là dove questi vincoli non sono configurabili, si dovrà procedere alla eliminazione, totale o parziale, dei controlli amministrativi ritenuti eccessivi”. Non intende invece rinunciare ai controlli, “garanzia di legittimità”, il vice avvocato generale dello stato Corsini: “All’epoca in cui ero capo dell’ufficio legislativo al ministero dei Lavori pubblici, si seguiva una impostazione chiara: una singola legge di principio e un singolo decreto attuativo. Le norme erano in misura contenuta, e soprattutto erano ben scritte. Oggigiorno la materia è divenuta ostica e l’interpretazione impossibile a causa della degenerazione del linguaggio legislativo. Le norme vengono cambiate a ogni soffio di vento, e sono rese male, in una forma involuta e contorta. La soluzione non è abolire i controlli o lasciare campo libero solo alle direttive comunitarie, anch’esse talvolta scritte male: servono norme tecniche nazionali su lavori e contratti. E’ giunto il momento di redigere un testo unico, chiaro e limpido, con l’intento di farsi capire”.

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