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La protezione che manca all'Italia

Claudio Cerasa

Tamponi per tutti, anche agli asintomatici. Tracciamento per i contagiati senza ipocrisie sulla privacy. E vaccino anti influenzale obbligatorio prima dell’autunno. E poi saranno gli italiani a salvare l’Italia. Una chiacchierata con Guido Bertolaso

Guido Bertolaso la mette giù così: “Dire che siamo pronti mi sembra un po’ troppo, ma dire che possiamo farcela non mi sembra un’eresia”. In che senso? “Nel senso che i cittadini mi sembrano più pronti delle istituzioni ad affrontare la fase che stiamo vivendo e penso che se l’Italia avrà la capacità di affrontare con successo la stagione del post lockdown dovrà ringraziare un po’ più il popolo e un po’ meno chi lo rappresenta”.

 

Eppure, facciamo notare a Bertolaso, ex capo della Protezione civile, ex consulente personale del governatore della Lombardia Attilio Fontana per la realizzazione del Covid Hospital alla Fiera di Milano, rispetto a due mesi fa chi rappresenta il popolo qualcosa ha fatto e se l’Italia può tentare di tornare a una semi normalità lo si deve anche al fatto che (a) il numero dei posti in terapia intensiva è passato dai 5.179 del pre lockdown ai 9.447 del post lockdown a circa 11 mila a cui si arriverà con le risorse dell’ultimo decreto del governo, (b) in questi mesi sono stati circa 22 mila gli operatori sanitari ingaggiati dallo stato, (c) il numero dei posti letto in più ricavati per la gestione delle malattie infettive è passato da 6.525 a 32 mila e (d) nessun paese europeo fa tanti tamponi quanti ne fa l’Italia (32.735 ogni milione di abitanti).

 

E allora cosa c’è che non va? “I numeri che dice lei sono i cococo assunti per pochi mesi e i letti ricavati arrivano a quel numero perché tutti gli altri reparti sono stati chiusi. In ogni caso, quel che va è che gli italiani hanno mostrato serietà e maturità e sono sicuro che saranno in grado di affrontare la fase che ci aspetta. Quel che non va è che anche sulla base dell’esperienza acquisita in questi mesi – purtroppo gli ospedali avevano piani di emergenza che risalivano al 2008 – non sono sicuro che le istituzioni abbiano fatto tutto ciò che potevano per evitare di farci trovare nuovamente impreparati come impreparati ci siamo fatti trovare all’inizio della pandemia quando tutto ciò che sarebbe stato doveroso fare per salvare medici e infermieri a livello nazionale e a livello regionale – io stesso il virus l’ho preso in un ospedale – non è stato fatto e si è agito con troppa lentezza”.

 

Sì, ma oggi? “Un paese pronto ad affrontare una pandemia è un paese che a mio avviso si convince che nell’attesa di un vaccino sono due le cose che servono senza troppe discussioni: tamponi per tutti e tracciabilità non ipocrita. E poi terapie in reparti organizzati. Quando dico tamponi per tutti intendo dire che ogni singola regione deve poter avere gli strumenti per poter fare ogni giorno tamponi a circa il 10 per cento della sua popolazione. E ogni regione, a oggi, dovrebbe avere già un piano di screening per testare il 30 per cento della sua popolazione. Mi sembra assurdo essere arrivati a questo punto dell’anno con una discussione incentrata su cosa sia necessario fare per avere i reagenti giusti. Bisogna fare presto, fare tamponi a tutti, a tappeto, a quelli con sintomi ma anche agli asintomatici, bisogna accompagnare i tamponi con prelievi sierologici, senza aspettare di trovare l’esame perfetto ma accontentandoci di quello che c’è, perché solo avendo uno screening esatto della popolazione di ciascuna regione è possibile ripartire. Nei giorni in cui ho collaborato con la regione Lombardia un piano lo avevo proposto: avevo presentato un progetto per fare tamponi a tappeto e screening sierologici a 4 milioni di persone entro la prima settimana di maggio. Ancora non ho capito perché non mi è stato permesso farlo”.

 

Tracciamento ipocrita, si diceva. In che senso? “Nel senso che tutte queste discussioni in punta di diritto sulla privacy da non violare per tracciare bene i contagi in Italia mi sembrano discussioni sul sesso degli angeli. La paura della privacy violata mi sembra che abbia prodotto una app che rischia di essere inutile. Una app che funziona è una app che permette di rilevare con esattezza tutti gli spostamenti fatti da una persona e più gli spostamenti sono precisi e più paradossalmente ci sarà una maggiore possibilità di non limitare le libertà delle persone. L’app italiana, che inizialmente aveva anche il gps, al contrario di quella sudcoreana non userà la geolocalizzazione, per decisione del governo. In questo modo sapremo se la persona positiva ha incontrato altre persone ma non sapremo dove. Mi chiedo che senso abbia”.

 

A proposito di senso: ha ragione o no il primario del Covid Hospital costruito alla Fiera di Milano nel dire che l’ospedale avendo appena cinque letti occupati oggi potrebbe essere presto chiuso? “Non saprei rispondere: mi è stato chiesto di aiutare a costruirlo con rapidità, cosa che ho fatto, mentre farlo funzionare come dovrebbe è una prerogativa che spetta a qualcun altro. Io ho costruito un’astronave, se gli astronauti chiamati a pilotarla non sono capaci credo che la colpa sia di chi li ha scelti”. Cosa è andato storto in Lombardia? “E’ andato storto qualcosa che ha a che fare con l’imprevedibile, ovvero essere stata una regione molto popolosa con un gran numero di focolai che sono stati scoperti quando ormai la frittata era stata fatta, ed è andato storto quello che è andato storto in molte altre regioni: contenere con tempismo il contagio negli ospedali e dotarsi di tutta una serie di misure e di strumenti, dalle mascherine ai ventilatori polmonari, che le regioni avrebbero potuto acquistare senza dover aspettare il permesso dello stato centrale”.

 

E cosa andrebbe fatto, tamponi e tracciamenti a parte, per evitare che le cose nei prossimi mesi possano andare storte? “E’ difficile dirlo. Penso sia probabile vedere nei prossimi mesi una ripresa della pandemia. Penso anche che se verranno rispettate le indicazioni l’Italia se la potrà cavare. Ma oltre alle tre t (tamponi, tracciamento, terapia) per cavarsela ed evitare che in autunno ci siano di nuovo gli ospedali pieni sarebbe utile che il governo rendesse obbligatorio almeno per quest’anno il vaccino contro l’influenza in modo tale che, se il virus dovesse tornare a diffondersi velocemente, chi lavora negli ospedali sia messo nelle condizioni di poter agire con più rapidità, con più efficacia e con più sicurezza. Dire che siamo pronti mi sembra un po’ troppo, ma dire che possiamo farcela non mi sembra un’eresia. Gli italiani hanno mostrato carattere. E se saranno ancora disciplinati vedrete che l’Italia ce la farà”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.