L'asilo La locomotiva di Momo in via Anfossi 36, Milano (LaPresse)

Per gli asili nido aiuti preziosi ma insufficienti

Lorenzo Borga

Saranno gratuiti per gran parte delle famiglie italiane, dice il ministro Gualtieri. La situazione però è più complicata: le strutture oggi sono ancora troppo poche, e poi ci sono anche quelle private. Un investimento per il paese

Davvero la legge di bilancio 2020 renderà gratuiti gli asili nido per gran parte delle famiglie italiane? Questo è quanto sostiene, in sintesi, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Lo ha detto in audizione al Senato lo scorso 12 novembre e anche più recentemente nel corso di un’intervista a Mezz’Ora in Più domenica 8 dicembre. Gualtieri ha affermato che si tratta della misura che più gli è cara della legge di bilancio in discussione. Al ministro ha però ribattuto Matteo Salvini, che ha definito la promessa una “fesseria priva di fondamento” per via del suo costo troppo elevato per le casse pubbliche. Chi dei due ha ragione?

  

Le legge di bilancio in discussione in Parlamento in effetti prevede l’incremento del cosiddetto bonus asilo nido in vigore dal 2017: secondo l’articolo 41 comma 5 della prima versione della manovra economica in discussione, le famiglie con un reddito Isee fino a 25mila euro riceveranno al massimo 3.000 euro annui per il pagamento delle rette dell’asilo comunale o privato (oggi il bonus è pari alla metà), per chi ha un Isee tra i 25mila e i 40mila il bonus raggiungerà i 2.500 euro (oggi è di 1.000), mentre per chi si trova oltre i 40mila euro il bonus rimarrà di 1.500 euro. In questo modo, secondo la relazione tecnica, i fondi per gli aiuti alle famiglie sul pagamento delle rette saliranno a più di 500 milioni di euro all’anno (+36 per cento rispetto alla legislazione vigente). Basteranno per rendere “sostanzialmente gratuiti” gli asili nido per la “stragrande maggioranza” delle famiglie italiane, come sostiene il ministro dell’economia?

   

Prima di tutto serve un importante chiarimento. Gualtieri ci sta dicendo che i nuovi fondi stanziati in manovra possono rendere gratuito il nido per i bambini che oggi già lo frequentano, non per tutti i potenziali utenti. Altrimenti i costi sarebbero di tutt’altra portata (il Senato li ha stimati in 5,3 miliardi di euro, per raggiungere almeno un terzo della copertura). Oggi infatti in Italia meno di un bambino su quattro è iscritto a un servizio educativo della prima infanzia, ben al di sotto dell’obiettivo europeo del 33 per cento fissato già per il 2010 e mancato dall’Italia. Il problema nasce da un lato dai costi proibitivi per alcune famiglie e dall’altro dalla mancanza di posti a sufficienza. Uno stanziamento per rendere il nido gratuito per il 100 per cento dei bambini italiani non sarebbe nemmeno così appropriato: l’educazione nella prima infanzia non fa parte dei cicli di obbligo scolastico, ma consiste in un servizio per genitori e figli di cui si può liberamente decidere di avvalersi o meno.

  

Davvero gli asili saranno gratis?

Il ragionamento del titolare del Ministero dell’economia è relativamente semplice. Come ha spiegato su Twitter, il bonus ampliato potrà garantire almeno 2.500 euro all’anno al 90 per cento della popolazione Isee. Effettivamente al di sotto ai 40mila euro si trovano più di 9 persone su 10 che hanno fatto nel 2017 la dichiarazione Isee, secondo gli ultimi dati disponibili. E in effetti chi si iscrive a un asilo nido comunale o convenzionato sembra passare quasi sempre per la strada della dichiarazione Isee, con la speranza di ricevere qualche sconto dallo stato o dagli enti locali: secondo Il Sole 24 Ore nel 93 per cento dei casi la retta di questi asili è calcolata secondo gli esiti dell’Isee. Basta questo per verificare la dichiarazione del ministro? Per i nidi comunali o convenzionati potrebbe, visti i costi medi che le famiglie affrontano ogni anno per iscrivere i propri figli. I dati appena pubblicati da Istat per il 2017 mostrano che la retta media annuale per iscrivere un bambino all’asilo comunale è di 1.864 euro. Distinguendo, si tratta di circa 2mila euro per quelli a gestione diretta e quasi 1.600 per le gestioni affidate a terzi. I valori medi sono quindi inferiori al bonus che toccherà a circa il 90 per cento delle famiglie. L’unica regione infatti in cui la retta media supera i 2.500 euro è il Trentino-Alto Adige. Il grado di copertura del bonus potrebbe essere inferiore, ma comunque significativo, per le famiglie dei 93mila bambini che frequentano gli asili a gestione diretta che soprattutto al Nord-est secondo Istat richiedono somme superiori al bonus previsto nella fascia Isee 25-40mila euro. In sostanza, se l’aiuto pubblico riuscirà a esentare gran parte degli utenti dal pagamento delle rette per gli asili comunali, questo non si verificherà per tutti. I redditi medio-alti, in particolare al Nord, continueranno a contribuire parzialmente con il proprio portafogli.

  

Ma ancor di più, ed è questo il punto che rischia di smentire la promessa del ministro Gualtieri, contribuiranno personalmente le famiglie dei bambini iscritti negli asili nido privati. Si tratta di circa la metà dei posti disponibili in Italia, parecchio. Per loro non c’è Isee che tenga, le rette non sono infatti generalmente calcolate con l’indicatore della situazione economica equivalente. Purtroppo non esistono dati precisi sui costi medi per accedere alle strutture private, ma ancora grazie ai numeri dell’Istat possiamo ottenere alcune stime per comprendere l’ordine di grandezza. L’istituto di statistica tra le sue pubblicazioni riporta infatti anche il costo per i comuni di riservare dei posti nei nidi privati da assegnare tramite le stesse condizioni delle strutture pubbliche. Queste somme secondo l’Istat sono ragionevolmente vicine a quanto spende effettivamente una famiglia per iscrivere il proprio figlio in una struttura privata. In media si tratta di 3.116 euro all’anno, una cifra superiore al bonus più alto (3.000 euro) previsto in manovra di bilancio. Con molta probabilità saranno quindi numerose le famiglie italiane che tra quel 50 per cento di bambini iscritti nei nidi privati non potranno godere di un’educazione dell’infanzia “sostanzialmente gratuita”, perché le rette dovute rimarrebbero spesso significativamente più alte rispetto all’aiuto previsto. Certo, si tratterà delle famiglie più benestanti mentre le fasce a basso reddito potranno iscrivere i propri figli a costo zero (come già oggi parzialmente accade). Ma se l’obiettivo della misura non è solo aiutare i meno abbienti, ma soprattutto – come appare lo spirito della proposta – incentivare la natalità per tutte le famiglie, ecco che le parole del ministro potrebbero probabilmente non tradursi in realtà.

  

D’altronde, secondo una stima del Sole 24 Ore per garantire l’asilo gratuito a tutte le famiglie che oggi lo utilizzano servirebbero circa 800 milioni di euro all’anno. La nuova dotazione del bonus previsto in manovra invece raggiungerà poco più di 500 milioni, lasciando scoperto quasi un terzo del costo complessivo che rimarrà a carico dei genitori. In realtà il gap potrebbe essere coperto dalle agevolazioni che comuni e regioni mettono a disposizione per le famiglie meno benestanti, ma è probabile che anche questa voce non compensi completamente i contributi privati.

     

Investire sugli asili, prima che sia tardi

Peccato, perché incentivare la frequenza nei nidi secondo gli esperti sarebbe un prezioso strumento per stimolare lo sviluppo economico e sociale del nostro paese, come già sostenuto anche dal Foglio. L’investimento nell’educazione della prima infanzia è infatti una delle misure più efficaci per incentivare la natalità, aumentare il numero di donne che lavorano e contribuire a eliminare il gap salariale tra uomini e donne. E anche per i bambini la frequenza dell’asilo porta a risultati positivi: è celebre lo studio del Nobel per l’economia James Heckman che scoprì come gli investimenti in istruzione producono un ritorno maggiore per gli individui e la società se sono concentrati sui primi anni di istruzione. È stata dimostrata infatti una relazione inversa tra ritorni economici di studiare e il progredire dell’età. Troppo spesso il nostro paese si è concentrato (e diviso) sull’istruzione nelle scuole superiori – licei, istituti tecnici e formazione professionale – quando in realtà per raggiungere risultati più efficaci bisognerebbe lavorare sui primi anni di formazione. Gli investimenti del governo giallo-rosso sono dunque preziosi, ma come dimostrato non ancora sufficienti.

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