Matteo Salvini (LaPresse)

Parla Di Maio: “Profonde le divisioni nel governo”

Prima intervista al Foglio. “Sulla Russia ne vedremo delle belle”

L’abito blu, senza cravatta, il cellulare in mano per leggere i messaggi WhatsApp o qualche tweet. Di Maio si siede su una delle poltroncine della galleria dei presidenti di Montecitorio. “Mi sembra che il caso Russia sia solo all’inizio e che altri fatti emergeranno, e forse renderanno ancora più opaca la relazione di un ministro evidentemente non adeguato al ruolo che ricopre”, dice Di Maio riferendosi al ministro dell’Interno Matteo Salvini, mentre si sistema sulla poltroncina, e tutt’intorno autorevoli cornici presidenziali assistono al colloquio. Una mozione di sfiducia è assolutamente necessaria. Certo, nella maggioranza ci sono anche “i numeri per respingerla”, ma gli italiani quantomeno capirebbero. “Il M5s dovrebbe motivare perché per la seconda volta, dopo averlo salvato dal processo, assolve Salvini dalle sue responsabilità rispetto all’eventualità di finanziamenti dalla Russia”. Responsabilità che, dice Di Maio calcando un po’ sul suo accento, ci sono “anche se questi soldi non fossero arrivati nei forzieri della Lega. Anche perché c’è chi è andato a cercarli, ed è questo il dato più forte che emerge finora…”. Finora, peraltro, la maggioranza è stata super compatta di suo, “coesa e con pochissime sbavature”. Difficilmente la mozione potrebbe ricompattare di più Cinque stelle e Lega rispetto a quanto non lo siano già. Anzi servirebbe, la mozione di sfiducia, a mostrare se ci sono differenze o contraddizioni fra i due partiti.

  

“E’ nostro compito”, dice Di Maio, “dimostrare all’esterno quante profonde differenze ci sono nel governo”. Ed è vero in effetti: altrimenti a che servono certi partiti se non a dire quello che altri non possono dire? A proposito, viene da chiedere che cosa ne pensi Di Maio di questa ipotesi di accordo tra Pd e Cinque stelle di cui si è tornati a parlare, a partire da Dario Franceschini. “Mi pare una cosa contro natura. Peraltro non si capisce quali sarebbero i reali contorni di questa ipotesi. C’è da dire però che Franceschini è coerente e lineare, questa è la sua posizione fin dal 5 marzo e questo gli va riconosciuto. Lo disse già in un’assemblea pubblica a Forlì davanti a 400 persone”. Quindi, osserva Di Maio, “non mi sorprende che Franceschini lo dica, ma che continui a dirlo con la stessa convinzione. I fatti di questi 13-14 mesi dimostrano la totale diversità che c’è fra noi e loro. Non ci sono valori che ci uniscono”. Insomma, “non ci sono punti di contatto”. Posto che, dice Di Maio, “non è chiaro quale sarebbe la manovra che propone Franceschini. Non vuole fare governo insieme, né una alleanza elettorale. E quindi?”. Altro discorso, invece, è parlare agli elettori.

  

Altri temi identitari, Di Maio? “Il tema del lavoro, però declinato in maniera concreta. Non servono le conferenze sugli operai alle quali per primi non sono interessati gli operai. Sul lavoro si gioca la partita dell’innovazione, non della paura e dell’assistenzialismo”. Servono piuttosto aiuti per i lavoratori che devono restare al passo con il mondo dell’impresa; servono investimenti sull’alternanza scuola-lavoro, abbandonata a se stessa. Tutte cose “sparite dall’agenda del governo e dal dibattito pubblico”.

  

Ma è su questo “che dobbiamo costruire una nostra identità, uscendo dalla retorica degli esclusi e degli emarginati, ai quali dobbiamo certamente mandare un messaggio politico. Però non basta evocarli”. Quindi il partito di Di Maio deve essere un partito dei lavoratori ma anche un partito “che si rivolge a chi fa impresa. Non il partito del lavoratore contro il padrone, ma che vede nell’impresa il cuore del lavoro. Senza impresa non ci sarebbero i piccoli artigiani e i piccoli commercianti che stanno sul mercato”. E’ a loro che dobbiamo dare risposte, dice Di Maio sistemandosi sulla poltroncina, di fronte ai cambiamenti epocali che si stanno verificando. “Amazon porta tanti aspetti positivi ma anche negativi. Il piccolo commercio sta sparendo. E non possiamo pensare che sia un processo ineluttabile ma dobbiamo governarlo. L’impresa non è solo l’industria con mille dipendenti ma una piccola impresa per la quale il governo non sta facendo nulla”. Insomma, bisogna essere “il partito di chi studia, di chi lavora e di chi produce”. Spesso Salvini viene presentato come un “fascista” dagli avversari. Lei che idea s’è fatto? “Più uno lo dice, più Salvini si rafforza. Ma in Italia nessuno si sente come si poteva sentire all’epoca del fascismo”. Il punto casomai è un altro, sottolinea Di Maio: “Salvini è una persona superficiale, con scarse competenze, con una forte abilità nella comunicazione e nella manipolazione dei fatti. Non possiamo sfidarlo come lui ha sfidato noi. Dobbiamo semmai sfidarlo sul terreno della concretezza”.

   

Insomma su quello che non ha fatto al governo. Sull’immigrazione, sulle tematiche del lavoro e su quelle sociali. “Quindi io non penso che con Salvini ci sia una nuova deriva fascista e che lo si possa affrontare definendolo come tale. Ha degli ammiccamenti che possono rievocare certi metodi, ma non credo che possiamo costruire così un’alternativa, usando la divisione in fascisti e antifascisti. E non perché io non creda nei valori sacrosanti dell’antifascismo ma proprio perché ci credo e proprio perché l’Italia ha vissuto davvero quel periodo. Se ogni giorno gridiamo che c’è il fascismo alle porte poi quando magari fra cent’anni – ma speriamo di no – ci dovesse essere per davvero le persone non se ne accorgerebbero. Non inseguiamolo sui suoi temi ma staniamolo nelle sue mille contraddizioni”.

 

La conversazione è finita, i vecchi presidenti delle Camere sono sempre lì che guardano i visitatori che passano sotto i loro occhi di carta. Compreso questo Di Maio che dice cose molto ragionevoli sul M5s e la Lega. Ah, a proposito: ma non è incredibile che Salvini la settimana scorsa l’abbia scambiata per il Di Maio del M5s? “Si vede che lo considerava verosimile”, dice Marco Di Maio del Pd.

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