Il ministro Riccardo Fraccaro in un comizio elettorale (Foto LaPresse)

La metamorfosi di Riccardo Fraccaro, vice Di Maio ufficioso

Marianna Rizzini

Il cauto ministro dei Rapporti con il Parlamento è diventato un soldato da combattimento testa a testa con la Lega

Roma. È il giorno in cui Dario Franceschini, dal Pd, dice che i Cinque Stelle sono diversi dalla Lega, motivo per cui vedrebbe bene persino un “arco costituzionale” Pd-M5s come ai tempi di “Dc e Pci”. Ed è anche il giorno in cui, prima ancora che Luigi Di Maio respinga da Facebook l’avance di Franceschini (“noi orgogliosamente diversi”), è il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro – uno che in altri tempi veniva inviato a monitorare casi complicati (per esempio a Roma, con Virginia Raggi alle prime armi) – a ergersi, su Repubblica, non soltanto con veemenza a difesa dell’assetto governativo attuale (“escludo in modo categorico che il Movimento possa formare un nuovo governo con il Pd”) ma anche con veemenza a difesa della linea “gialla” rispetto alla “verde”, pur nel mezzo dei terremoti quotidiani Cinque stelle-Lega. Ed ecco che Riccardo Fraccaro da Montebelluna, colui che a un certo punto del 2018, nel dopo elezioni, pareva dovesse diventare presidente della Camera al posto di Roberto Fico, comincia a dire cose che al solitamente defilato Fraccaro non escono così: “Siamo qui per cambiare le cose. Spero valga per tutti…se vogliono la crisi per non tagliare i parlamentari ne risponderanno agli italiani…a settembre ci sarà il taglio… Sono trent’anni che aspettiamo questo momento. Chi pensa di far cadere il governo dovrà assumersi la responsabilità di fronte agli italiani. A noi non interessano le poltrone”.

 

E insomma, nell’estate del tramestio intergovernativo, parziali metamorfosi di lessico e modi si palesano, prima che i tempi fagocitino ogni velleità di restare “l’uno che vale uno”. Perché lui, Fraccaro, agli esordi, non era sembrato certo un soldato da combattimento testa a testa con il nemico, figurarsi con l’alleato e fratello coltello, e anzi era proprio al diplomatico futuro ministro che, prima e dopo le elezioni 2018, si rivolgevano i cronisti per capire (non soltanto a Roma, ma anche nella Sicilia dove i Cinque stelle si erano trovati alle prese con il caso “firme false”) che cosa avessero in mente i vertici del M5s. E lui, Fraccaro, si aggirava nei pressi del Campidoglio come aiutante (e controllore) del sindaco di Roma, già nella bufera dopo pochi mesi di mandato, non certo con la faccia truce che Beppe Grillo in persona aveva riservato ai grillini siciliani al grido di “questa è la vostra ultima chance, non tornerò a nuovo a salvarvi”.

 

Tuttavia qualcosa del futuro protagonismo del “no” (no ad altri assetti governativi, no alla dilazione sul taglio parlamentari) era trapelato: Fraccaro aveva infatti detto “no” alla rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale, accusandolo poi, dal palco di “Italia Cinquestelle”, di essere stato reticente sulla trattativa stato-mafia. Per lui il presidente emerito aveva potuto evitare di rispondere alle domande dei magistrati: “Forse perché”, aveva scritto allora il deputato su Facebook, “trincerato sul Colle, gode di una sostanziale immunità: la rielezione ha fatto comodo a tutti i partiti, ma soprattutto a lui. Quando si deciderà a togliere il disturbo, e a far sparire la sua ombra dalle istituzioni, sarà sempre troppo tardi”. Ma la formazione di Fraccaro come “vice-Di Maio” (anche nei toni) risale anche a quando, da membro dell’ufficio di presidenza della Camera, aveva alzato la voce sul tema vitalizi, dicendosi pronto a votare la proposta del democratico Matteo Richetti pur di vedere se il Pd “faceva sul serio” sulla via dell’anticasta. E così infatti parlava Fraccaro un paio di settimane fa, nell’apprendere che la Corte di Cassazione aveva bocciato il ricorso degli ex parlamentari: “L’abolizione dei vitalizi, fortemente voluto dal M5s, è una conquista dei cittadini italiani. Chi ancora vuole difendere gli insopportabili privilegi deve fare i conti con il cambiamento ormai inarrestabile…”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.