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La Lega usa l'ombra del governo tecnico come arma di ricatto al M5s

Valerio Valentini

Il Carroccio prepara la graticola: troika o elezioni? E i grillini pensano di dividere i ministeri di Di Maio, per rafforzarsi in Cdm

Roma. Ignazio La Russa, che coi colonnelli della Lega parla spesso, è uno che quando azzarda un pronostico lo fa con contezza dei fatti. “Al novanta per cento il governo regge e si va avanti, almeno per un altro anno; il dieci per cento residuo, invece, lo riservo a un governo tecnico”, spiegava giovedì il vicepresidente del Senato al suo più giovane collega di FdI, il fu grillino Walter Rizzetto. E insomma vista con gli occhi dell’ex ministro della Difesa, come che la si metta, in un modo o nell’altro la legislatura andrà avanti. E chissà che però non sia proprio attraverso quel varco angusto additato da La Russa, quel “dieci per cento”, che non provino ad incunearsi i leghisti più ostili alla prosecuzione della disavventura gialloverde. I quali, proprio attraverso la minaccia di una nuova troika, arriverebbero a provocare ciò che per altre vie, più dirette e più piane, non potessero ottenere: e cioè un ritorno anticipato alle urne.

 

Il progetto, non si sa se più azzardato o se più contorto, ha iniziato a prendere forma sotto forma di conciliaboli nei corridoi della Camera ieri mattina, quando alcuni esponenti di governo del carroccio hanno intercettato le battute di alcuni deputati del M5s. “I grillini, adesso, seguono la teoria per cui il giunco si piega fintanto che passa la piena”, sintetizza Luca Toccalini. “Staranno insomma buoni fino a metà luglio, quando si chiuderà la finestra per il voto a fine settembre. Ma poi?”. Poi, è il timore dei leghisti, torneranno alle loro abitudini, a incaponirsi sulle loro battaglie identitarie. Ne sarebbe la dimostrazione anche l’idea, coltivata dallo stato maggiore grillino, di sgravare Luigi Di Maio dal peso di uno dei due ministeri che da un anno dirige, e cioè quello del Lavoro, assegnandolo però a un collega di partito. Una soluzione che non solo disinnescherebbe le rimostranze di quella fronda di parlamentari – da Carla Ruocco a Gianluigi Paragone – che chiede al capo politico un ridimensionamento dei suoi incarichi, ma soprattutto consentirebbe alla compagine a cinque stelle di conquistare un voto in più in seno al Cdm. “Se la Lega otterrà uno o due dicasteri, noi conserveremo comunque la maggioranza”, congetturano i grillini. Una voce che, arrivata alle orecchie dei maggiorenti del Carroccio, risuona come un’astrusità: “Hanno interesse solo a mantenere il diritto di veto”.

 

E allora, ecco la suggestione leghista. Tenere duro nella trattativa con la Commissione europea, criticare la mollezza di Giuseppe Conte. “Che senso ha – ragionano i salviniani – scongiurare una procedura d’infrazione che ci imporrebbe dei tagli, se per scongiurarla devi farli lo stesso, quei tagli?”. Come a dire, insomma, che austerità per austerità, meglio almeno salvare la faccia e mostrare il petto gonfio e il mento alto contro la perfida Europa. Significherebbe rischiare, certo. E soprattutto stanare i grillini. “Ci starebbero, loro, a resistere sul serio?”, si domandano i deputati della Lega. “Significherebbe resistere anche dopo l’estate, mica solo fino a metà luglio”. E dunque eccolo, l’escamotage per prolungare il ricatto. “A Salvini non gliene frega molto, della ‘finestra elettorale’. Se decide di rompere – confessa un ministro del Carroccio – lo fa anche ad agosto”. Ma a quel punto, votare nel 2019 sarebbe impossibile, e l’unica alternativa sarebbe un governo tecnico. “Ma chi lo voterebbe? Mattarella ci ha già provato, con Cottarelli. E i voti per la fiducia non c’erano”, ragionano i leghisti. “Dunque, se questa alleanza proprio non regge più, si dovrà per forza andare a votare, anche dopo la fine di settembre”. Significherebbe esercizio provvisorio, con tanto di – inevitabile – attivazione delle clausole di salvaguardia: il che, in ogni caso, consentirebbe di provare comunque a farla senza attribuirsela, una manovra finanziaria dolorosa. Una terapia d’urto, o forse solo una minaccia in più da usare contro il M5s.