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Buone ragioni per gridare prima gli europei

Claudio Cerasa

Giocare con l’ossigeno o difendere la libertà. Viva le Europee, formidabile stress test sui nostri valori non negoziabili

La domanda a cui rispondere domenica prossima in fondo è molto semplice: ma esattamente, tutti noi, che cosa siamo disposti a perdere? Per provare a ragionare senza retorica sul voto del 26 maggio, sul suo senso, sulla sua portata, sulle sue implicazioni politiche, sulle sue conseguenze culturali, occorre mettere per un attimo da parte alcune fregnacce sul fascismo e concentrarci sulla ciccia, sulla carne viva e su alcune questioni cruciali che ci possono aiutare a capire bene perché, al contrario di quello che si è scritto in questi giorni, la campagna elettorale che si sta per concludere non è stata una campagna bruttissima ma è stata bellissima. Lo è stata perché il merito forse involontario dei nazional-populisti che questa domenica tenteranno di papparsi un pezzo d’Europa (il fascismo lasciamolo perdere, ok, ma nazi-pop suona veramente bene) è aver costretto parte degli elettori a effettuare un formidabile stress test su quelli che sono i nostri valori non negoziabili.

 

La scelta di votare per l’Europa o di votare contro l’Europa è una scelta al centro della quale non ci sono soltanto fredde valutazioni di merito sugli attuali “burocrati” di Bruxelles ma è una scelta che ha a che fare con qualcosa di più importante che riguarda una parola che è il vero oggetto implicito di questa campagna elettorale: la libertà. E per provare a spiegarvi in che senso il voto di domenica riguarda questa parola occorre mettere insieme tre pensatori che ci possono aiutare a capire meglio di mille programmi elettorali cosa c’è in ballo nella sfida tra apertura e chiusura, tra nazionalisti ed europeisti, tra liberali e illiberali: Frédéric Bastiat, Piero Calamandrei, Filippo Turati.

 

Frédéric Bastiat è stato un grande accademico ed economista francese del Diciannovesimo secolo e teorizzò un’idea diventata nel tempo parte del cuore del pensiero liberale: “Dove non passano le merci, passeranno gli eserciti”. Piero Calamandrei è stato uno dei nostri padri costituenti e teorizzò un principio diventato nel tempo parte del cuore del pensiero democratico: “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale solo quando comincia a mancare”. Filippo Turati è stato uno dei fondatori del socialismo italiano e alla fine dell’Ottocento mise i puntini su un altro principio chiave del pensiero liberale: “Le libertà sono tutte solidali. Non se ne offende una senza offenderle tutte”. Apparentemente queste tre frasi potrebbero sembrare sconnesse l’una dall’altra ma se ci si presta un po’ di attenzione si capirà facilmente che il senso della difesa dell’Europa, che è cosa diversa dalla difesa dello status quo, passa proprio dalla difesa questi princìpi: difendere il benessere che ci ha dato l’Europa, difendere la pace che ci ha dato l’Europa, difendere le opportunità che ci ha dato l’Europa, difendere la libertà di circolazione, di commercio, di studio, di lavoro che ci ha dato in questi anni l’Unione europea.

 

Dove passano le merci, dice Bastiat, non passano gli eserciti. Ma quando una generazione inizia a dare per scontato ciò che i nostri padri hanno conquistato con fatica, quella generazione rischia di non avere la forza e la capacità di difendere con forza ciò che ogni giorno ci dà ossigeno per vivere in un mondo più libero e aperto. L’Europa populista, sovranista, nazionalista e sfascista ha come obiettivo principale e dichiarato quello di colpire l’infrastruttura della democrazia aperta, i simboli della sua unione, i simboli della sua libertà (gli stessi simboli da anni, per ragioni diverse, vengono purtroppo colpiti periodicamente dal terrorismo islamista) e non può dunque sorprendere che tra coloro che sperano che i populisti possano avere successo in Europa ci sono leader di molti paesi che avrebbero solo da guadagnare dal trattare con gli stati europei non da elefante a elefante (Europa integrata) ma da elefante a topolino (Europa disintegrata).

 

Il professor Sergio Fabbrini, europeista formidabile, ha sostenuto in un libriccino pubblicato poche settimane fa dalla Luiss (“Manuale di autodifesa europeista”) che la grande sfida degli europeisti oggi non è soltanto opporsi alle nuove e vecchie democrature, ai nuovi e vecchi istinti nazionalisti, alle nuove e vecchie pulsioni liberticide, alle nuove e vecchie intolleranze (“Le libertà sono tutte solidali. Non se ne offende una senza offenderle tutte”). Ma è ricordare e dimostrare che la sicurezza degli europei si può garantire solamente combinando la crescita economica con la solidarietà sociale, con la libertà politica e con la democrazia liberale. Fino a oggi, ovunque abbia inciso sui destini di un paese, il sovranismo ha dovuto prendere atto che la realtà non ha mai coinciso con la sua propaganda e che l’alternativa al sistema contestato (vedi il caso Brexit) non ha mai prodotto un mondo nuovo ma ha prodotto sistematicamente il caos. Gli ingegneri del disordine sono bravi a distruggere ma sono incapaci a costruire. E anche per questo la scelta che ciascuno di noi dovrà fare domenica non è solo scegliere cosa votare ma è scegliere da che parte stare: dalla parte di chi gioca con il nostro ossigeno o dalla parte di chi difende la nostra libertà. Buon voto a tutti.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.