Sigmund Freud. Foto di Enrico via Flickr

La fase anale della politica, da Grillo all'Italia gettata nello sciacquone

Guido Vitiello

Parallelismi tra la proctologa salviniana Silvana De Mari e Davigo

Viviamo sotto la dittatura del politicamente col retto. Chi verrà dopo di noi (“Ai posteriori l’ardua sentenza”, diceva Tinto Brass nell’ormai rarissimo libello “Elogio del culo”) vedrà la nostra disgraziata stagione come un fazzoletto d’anni racchiuso tra il momento in cui un comico ci ha mandati tutti affanculo e il momento in cui ci siamo andati davvero, fischiettando. La scienza politica, che sarà a quel punto diventata un ramo della proctologia, dovrà constatare che alla fase aurorale rabelaisiana-swiftiana di Grillo, che usava ossessivamente metafore sodomitiche ed escrementizie per scardinare l’ordine esistente, è seguita una fase più matura, o classica se volete, in cui i rivoluzionari vittoriosi hanno edificato sulle fondamenta del fondoschiena la loro città.

    

Sono incappato giorni fa nell’intervento di Silvana De Mari, la proctologa e scrittrice cattolicissima che collabora con gli ultrà salviniani della Verità, a un convegno organizzato a gennaio da un settimanale di estrema destra, “Il pensiero forte”. Mentirei se dicessi che mi aspettavo le eleganze dialettiche di Carlo Augusto Viano contro i flebili discepoli di Gianni Vattimo, ma comunque non ero preparato a quel che mi è toccato sentire: mezz’ora di considerazioni minuziosamente endoscopiche sul sesso anale, le iniziazioni sataniche, la circonferenza dello sfintere e del pene, il fisting, il prolasso, la lacerazione delle mucose, le ragadi, l’incontinenza fecale. A metà intervento l’ipocondriaco che sonnecchia in me avvertiva già i primi sintomi di epatite A, ma dopo aver appurato allo specchio che non ero ancora del tutto giallo ho capito che avevo appena avuto il privilegio di una piccola rivelazione. Non so se abbiate mai visto un intervento pubblico di Silvana De Mari. La sua postura di compiaciuta baldanza, quell’aria da professoressa di liceo che gode nel farsi detestare dagli scolari, la tecnica oratoria fatta di esempi barzellettistici da cui trarre implicazioni logicamente abusive, la gongolante ottusità nel dire cose abominevoli, l’abitudine di sfrondare l’intricatezza dell’esperienza umana con il machete di qualche sarcasmo curiale, tutto questo ha un nome e un cognome: Piercamillo Davigo. Possiamo dire, anticipando la proctopolitica dell’avvenire, che la De Mari sta al sesso come Davigo alla giustizia, Travaglio alla politica, Giordano all’immigrazione.

   

A ben vedere, sono tutte varianti di quello che Freud in un breve saggio del 1908 aveva descritto come “carattere anale”, uno stile di personalità contrassegnato dalla mania puntigliosa dell’ordine, dall’ostinazione e da un atteggiamento quasi fobico verso la sporcizia in ogni accezione. Ma già che frugare nell’inconscio di perfetti sconosciuti è inelegante prima ancora che temerario, raccomando ai futuri studiosi del politicamente col retto il classico psicoanalitico “La vita contro la morte” di Norman O. Brown, specie la parte quinta – “Studi sull’analità” – dove l’ossessione per le terga è letta in una luce storico-antropologica. L’era protestante, dice Brown, si annuncia sul gabinetto, il luogo dove Martin Lutero riceve la sua rivelazione, e da quel momento in poi scatologia ed escatologia sono indissolubili. Il mondo diventa un’immensa latrina a cielo aperto presidiata dal Diavolo, contro cui Lutero scatena le sue inesauribili ossessioni anali: gli dedica le sue evacuazioni ostili mentre prega seduto sul cesso, lo minaccia di infilarselo nell’ano o di cacargli in faccia, gli getta addosso l’inchiostro nero (fenomenologicamente, non siamo così lontani dal lancio delle feci caro agli scimpanzé). La salvezza assumerà così l’aspetto di un apocalittico sciacquone. Ecco, i nostri nuovi predicatori fissi alla fase sadico-anale, nati all’ombra dell’impresa germofobica “Mani pulite”, possono invocare la ruspa, le manette, le monetine o le milizie vandeane: lo schema soggiacente è però analogo a quello che Brown aveva riconosciuto in Lutero. Ma in un paese cattolico che ha avuto la Controriforma senza la Riforma e che ha quasi sempre preferito i confessionali ai tribunali, questa libidine di legalità, ordine e pulizia non ha nulla di potenzialmente civilizzatore, non feconda lo spirito del capitalismo, il puritanesimo industrioso o il sobrio dominio della legge. Svela solo il suo volto feroce, persecutorio, ossessivo e intimamente anarchico. Se questo è il “pensiero forte” che vogliono inculcarci, prepariamoci a stringer bene le chiappe.