Marcello Minenna (foto Imagoeconomica)

Anche il Quirinale boccia Minenna alla presidenza di Consob

Valerio Valentini

I dubbi del Colle sul candidato M5s: “Non garantirebbe imparzialità ai mercati”. Ma Ruocco non molla: da anni si spende per lui

Roma. Arrivando “da piani altissimi”, il veto, forse alla fine anche Luigi Di Maio e Beppe Grillo dovranno farsene una ragione. Ma prima che ogni via, anche la più improbabile, sia stata tentata, il M5s non smetterà di sostenere la candidatura di Marcello Minenna a presidente della Consob. “E’ lui il nostro unico nome, e lo spingeremo fino alla morte”, continua a ripetere ai grillini che lo interpellano Stefano Buffagni, l’uomo che per conto del Movimento si occupa delle nomine. Ma in Transatlantico, nelle pattuglie dei cinque stelle, ieri si registrava una sfiducia crescente intorno all’apoteosi dell’economista barese. “Rischiamo di trainare un cavallo azzoppato”, dicevano, a microfoni spenti, altri grillini.

 

La bocciatura su Minenna, d’altronde, è arrivata dal Quirinale. “Non garantirebbe imparzialità di fronte ai mercati”. E’ stato questo, in sostanza, il messaggio fatto arrivare dallo staff di Sergio Mattarella a Di Maio. E del resto il capo dello stato era arrivato, cinque mesi fa, a stoppare la nomina a ministro dell’Economia di Paolo Savona proprio perché fautore dichiarato di una possibile uscita dell’Italia dall’euro. Figurarsi, quindi, se al Colle possano vedere di buon grado l’idea che a guidare il massimo organo di controllo della Borsa s’insedi un uomo che quella stessa soluzione la ha, in tempi tutt’altro che remoti, più volte suggerita. “Avere nel cassetto il piano B è una questione di buon senso”, ha ribadito Minenna, ancora nel maggio scorso, commentando la strategia di Savona.

 

E insomma quando dicono che “su Minenna punteremo fino in fondo”, molti grillini lo fanno anche per tentare di ridimensionare i sospetti leghisti su una carta di riserva – quella, cioè, di Donato Masciandaro, bocconiano allievo di Mario Monti – che Di Maio sarebbe pronto a usare in caso di necessità, se il gioco al massacro dei veti incrociati tra Minenna e Alberto Dell’Acqua, l’altro bocconiano sostenuto da Giancarlo Giorgetti, dovesse farsi troppo spietato.

 

Ma, al di là delle dichiarazioni tattiche, l’unica che davvero, nel M5s, è disposta a immolarsi per Minenna, è Carla Ruocco. La presidente della commissione Finanze è arrivata a perorare la causa del nuovo editorialista del Sole 24 Ore addirittura presso il fondatore del M5s, che ha imposto ormai un mese fa il suo parere “elevato”. Poi, caparbia, ha minacciato guerra in commissione sul decreto fiscale, tanto caro a Salvini, per avvertire la Lega: o appoggiate Minenna o saranno dolori. Ma in fondo la Ruocco, che con Minenna ha uno stretto rapporto di confidenza, sono anni che si spende per lui, già prima di proporlo come assessore al Bilancio nella giunta di Virginia Raggi, nel 2016. Era il sei dicembre del 2015 quando a Montecitorio si discuteva della finanziaria e la Ruocco proponeva – insieme ai suoi colleghi in commissione Bilancio, tra cui Laura Castelli e Giorgio Sorial – un emendamento a sua prima firma per far sì che a condurre verifiche specifiche sui contratti derivati firmati dal Mef fossero “le competenti unità analisi quantitative” della Consob: l’ufficio, guarda caso, guidato proprio da Minenna sin dal 2007. Solo due settimane dopo, sul Sacro Blog compariva poi una lunga invettiva della Ruocco e di Elio Lannutti, allora solo presidente di Adusbef e oggi anche senatore del M5s, contro l’allora presidente di Consob, Giuseppe Vegas, per avere reso “inoperativo” quello stesso ufficio. “Un Ufficio con competenze tecniche riconosciute a livello internazionale” il cui “capo” (Minenna) viene descritto come “vittima di procedimenti disciplinari su questioni insussistenti”. Del resto, scrivevano la Ruocco e Lannutti, quell’“’Ufficio andava disarmato e possibilmente abbattuto perché così serviva al "sistema”dato che aveva inventato “gli scenari probabilistici”, cioè una sorta di bollino sulla rischiosità delle obbligazioni subordinate vendute dalle banche. Allora poté fare poco, la Ruocco, per Minenna. Stavolta, forse, pure.

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