Una seduta del Parlamento Ue (foto LaPresse)

Perché alle prossime Europee si rischia il ritorno dei micro-partiti

Carlo Fusaro

Il 23 ottobre la Corte Costituzionale si esprimerà sulla legittimità dello sbarramento al 4 per cento. Facesse proprie le tesi del Consiglio di stato potremmo tornare alla polverizzazione pre-2009

Nell'Italia che corre giuliva verso la restaurazione (maggioritario addio, riforme costituzionali pure, Alitalia pubblica, cassa integrazione, pensioni a gogò, no infrastrutture, piccolo è bello, decrescita felice, stranieri fuori dai piedi, prima gli italiani, abbasso Bruxelles) non poteva mancare, in vista delle Europee 2019, un nuovo attacco alla clausola di sbarramento del 4 per cento, introdotta dal 2009.

Tanto per capirci: nel 1999 i seggi “italiani”  erano andati a ben 19 partiti, il più piccolo, il Pri, con solo lo 0,54 per cento; nel 2004, a 15 partiti. Polverizzazione della rappresentanza altro che frammentazione! Con lo sbarramento, nel 2009, i partiti rappresentati sono scesi a cinque e nel 2014 sono stati sette (Pd, M5s, Forza Italia, Lega, Ndc/Udc, Altra Europa/Tsipras, SVP).

 

Giorgia Meloni ed altri (Fratelli d'Italia aveva avuto solo il 3,67 per cento) avevano fatto ricorso al Tar che lo aveva respinto; in appello, invece, il Consiglio di stato ha ritenuto di far proprio, della consueta valanga di argomenti inventati dalla fervida fantasia degli attori, uno, ripreso dalla giurisprudenza del Tribunale costituzionale tedesco: lo sbarramento violerebbe la Costituzione e i principi di democraticità, rappresentatività e ragionevolezza in quanto - irragionevolmente, appunto - sacrificherebbe la proporzionalità “pura” a un fine, limitare la frammentazione, che il Consiglio di Stato considera irrilevante ai fini della composizione di un organo non legato all'esecutivo (la Commissione) dal rapporto fiduciario che caratterizza i regimi parlamentari.

 

Peccato che le norme quadro Ue in materia di elezione del Parlamento europeo (l'Italia elegge ora 73 europarlamentari, con Brexit diventano 76) prevedono espressamente la possibilità di clausole di sbarramento, con un limite al 5 per cento: infatti, lo stesso Consiglio di stato, nel 2011 si era già pronunciato con dovizia di argomenti per la legittimità dello sbarramento (sentenza 4786). Ma il Consiglio di stato del 2016 torna clamorosamente sui suoi passi, seguendo il piffero della corte tedesca in salsa Meloni.

 

Sentenzia il Consiglio di stato che l'“obiettivo di garantire la stabilità degli organi elettivi non si attaglia al caso delle elezioni dei rappresentanti nazionali al Parlamento europeo, stante l'assenza di un vincolo propriamente fiduciario che caratterizza i rapporti fra il Parlamento e la Commissione europea”, e qui vengono citate le due sentenze del Tribunale costituzionale tedesco (2011 e 2014). In più, siccome solo alcuni stati usano lo sbarramento, argomentano a Palazzo Spada, è irragionevole che l'Italia comprima la rappresentanza per una governabilità comunque difficile.

Le tesi della V sezione del Consiglio di stato non sono affatto persuasive e rischierebbero, se la Corte nostrana le facesse proprie (udienza il 23 ottobre), di riportarci alla polverizzazione pre-2009. Di tutto il nostro sistema partitico ha bisogno salvo che di incentivi a dividersi! Inoltre, avere “delegazioni” significative all'interno dei gruppi rafforza nel Pe quel tanto di istanze nazionali che meritano di essere difese con efficacia. Avere sei liste rappresentate (oltre la SVP) non pare gran sacrificio! Soprattutto, questa è una valutazione che va lasciata alla discrezionalità del legislatore (che ha scelto piuttosto il 3 per cento a livello nazionale).

 

Ciò che è più preoccupante però, ciò che rischia di farci fare altri passi indietro, è l'idea - più che discutibile - secondo la quale il Parlamento europeo dopo tutto conta poco e comunque non influisce in via diretta su nascita, vita e morte della Commissione. Non è così: (i) il presidente della Commissione è eletto (su proposta del Consiglio europeo) dal Pe: e infatti ci sono ora i “candidati” presidente sottoposti come tali al voto degli europei; (ii) l'intera Commissione è pure votata dal Pe e infine (iii) sia il Presidente sia la Commissione dal Pe possono essere sfiduciati. Se questo non è - con tutti gli adattamenti del caso - regime parlamentare non so cosa possa essere!

Infine trovo un curioso che in tempi di rilancio, forzato e piuttosto grossolano di vere o presunte identità nazionali, proprio su questo terreno si persegua l'acritica emulazione della giurisprudenza della corte tedesca (la quale ha fra l'altro la responsabilità di aver obbligato alla Grande coalizione nel 2013): tanto abbiamo da imparare dalla Germania, ma non questo.

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