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Il pragmatismo interessato di Roberto Fico nell'Italia che va a fondo

Agazio Loiero

Perché se qualcuno nel Pd fosse tentato di costruire sull’atteggiamento di Fico un’illusione farebbe un errore madornale

Al direttore - Nei tempi grami che il Pd vive oggi in Italia un solo personaggio sembra offrire a quest’aria immusonita una sponda consolatoria. Il personaggio in questione sembra essere il presidente della Camera, Roberto Fico. Non c’è tema che abbia a che fare con la parte dolente della società a cui lui non guardi con attenzione. Si comporta come uno che in certi valori ha sempre creduto. La legge Martina sul caporalato? “Da difendere”, ha detto in un’intervista a Repubblica di qualche giorno fa. Quella di Mancino contro il razzismo? “Da difendere anch’essa”. I migranti? “Ho voluto esprimere la mia vicinanza ai braccianti agricoli andando a San Ferdinando dopo l’uccisione di Soumaila Sacko”. Un florilegio di battaglie un tempo patrimonio della sinistra e uno stridore violento con le idee di Salvini che ha raggiunto il culmine nella polemica sulla nave della Guardia costiera “Diciotti”, sbarcata a Catania con un carico di disperati. Sulla vicenda, che ha generato (da quello che si legge e da quello che soprattutto s’intuisce) un conflitto istituzionale di non poco conto, la magistratura ha aperto un’inchiesta. Quest’ultimo episodio mette in grande difficoltà Di Maio e ancora di più Conte. Il primo appare infatti legato – meglio, incatenato – al personale patto con il leader della Lega nel tentativo di prolungare più a lungo possibile la vita dell’esecutivo. Finalità perseguita con tenacia anche dal secondo con qualche problema formale in più rispetto al suo vice. Il ruolo di Conte infatti è quello di presidente del Consiglio. Di conseguenza il suo obiettivo di capo dell’esecutivo non può essere solo quello di ”durare”, come ha comunicato ai giornalisti prima delle ferie con il consueto disarmante candore. La permanenza al governo intesa dunque come valore in sé.

 

Torniamo a Fico. Il suo atteggiamento controcorrente non deve essere considerato una novità nel panorama politico nazionale. Politici del passato che dalla coalizione di governo strizzavano l’occhio alle opposizioni, apprezzandone le idee, se ne ricordano tanti. Solo che si sono sempre fermati al di qua del confine dell’apostasia, privo dunque di effetti pratici. Se qualcuno nel Pd fosse tentato di costruire sull’atteggiamento di Fico un’illusione – nei momenti di crisi, si sa, le illusioni germogliano – farebbe un errore madornale. C’è stato un tempo breve, dopo le elezioni, in cui il Pd poteva, sia pure con numeri stentati, offrire il proprio appoggio esterno a un governo di grillini, non fosse altro che per scongiurare l’innaturale convergenza di questa coalizione. Oggi quel tempo non c’è più. L’azione del presidente della Camera alla lunga produrrà con le sue aperture a sinistra l’effetto di mantenere abbarbicato al M5s quel numero infinito di elettori del Pd che nel Mezzogiorno, nelle recenti elezioni, rompendo gli indugi, ha votato il movimento di Beppe Grillo. I numeri a tale proposito sono eloquenti. Rispetto alle politiche del 2013 i Cinque stelle hanno perso in alcune regioni del nord ma nel sud sono passati dal 26 per cento al 47 per cento. Fico, trovandosi oggi in una coalizione di governo con Salvini, si è imposto due compiti. Sul piano esterno tenta di bilanciare con un tratto umano più accettabile le sfuriate xenofobe del leader del Carroccio. Sul piano interno svolge invece un’azione politica più pragmatica che guarda al futuro. Più verosimilmente al proprio futuro. A quando cioè il sodalizio dei due forti vicepremier dovesse trovare sulla propria strada ostacoli insormontabili. Un’ipotesi di lungo periodo. L’esecutivo navigherà contraddicendosi giorno dopo giorno, ma non appare nel tempo breve destinato a sfasciarsi. A tutti gli strappi si applicherà un rattoppo. E il principio di non contraddizione, che vale anche in politica, sommerso dal clamore dei social, apparirà nei fatti irrilevante. Andremo avanti per molto tempo con questa formula inedita. E’ il nuovo stile politico dell’Italia d’oggi. Alla quale si potrebbe applicare una formula disperata, che Leonardo Sciascia, molti anni fa, sbagliando, aveva coniato per l’Italia degli anni 70: “Andremo sempre a fondo senza mai toccare il fondo”.