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Il pericoloso bluff del modello Salvini

Claudio Cerasa

Diciotti e la Guardia costiera in ostaggio. Il flop sulla redistribuzione. Il boomerang dell’alleanza con Orbán. Le emergenze create per nascondere i guai economici. I primi mesi del governo dimostrano che i populisti aggravano i problemi del paese

L’incredibile storia della nave militare Diciotti bloccata da tre giorni nel porto di Catania per volontà del governo italiano, e carica di migranti salvati in mare dalla nostra guardia costiera,è finita al centro del dibattito pubblico per questioni legate alla disumanità del ministro dell’Interno, allo scontro politico andato in scena tra il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini e il presidente della Camera Roberto Fico, al ricatto politico esplicitato ieri da Luigi Di Maio all’Europa (“Senza l’intervento della Ue addio ai nostri 20 miliardi di euro”). Il tema dell’umanità messa in discussione, della dialettica interna alla maggioranza, o dei possibili reati commessi da chi ha bloccato lo sbarco dei migranti della Diciotti sono naturalmente temi rilevanti. Ma la vera ragione per cui il cortocircuito andato in onda attorno alla nave militare meriterebbe di essere messo a fuoco riguarda una questione più importante degli aspetti politici, umanitari o giudiziari. E quella questione è legata alla violenza dello scontro istituzionale portato avanti da Matteo Salvini contro un corpo dello stato sul quale il ministero dell’Interno non ha alcuna giurisdizione: la guardia costiera.

  

Il caso della Diciotti è significativo perché la nave con centinaia di migranti salvati in mare tenuta in ostaggio a Catania dal ministero dell’Interno non è una ong e non è neanche una nave “colpevole” di aver accettato in mare un trasbordo da un’altra imbarcazione, ma è una nave guidata da personale delle Forze armate che ha semplicemente svolto il suo lavoro e rispettato la legge: di fronte a uomini che in mare rischiano la vita, la vita di quegli uomini viene prima di ogni altra cosa. Qualunque fatto accada, dunque, il ministro dell’Interno non può stabilire se l’operazione di soccorso sia legittima oppure no. E di fronte alla delegittimazione palese di un corpo militare dello stato portata avanti dal numero due del governo un’opposizione con la testa sulle spalle, invece che perdere tempo con i selfie depilati di Toninelli, avrebbe il dovere di chiedere al presidente del Consiglio e al presidente della Repubblica la convocazione immediata di un Consiglio supremo di difesa, anche come gesto simbolico per ristabilire con urgenza il giusto ordine delle gerarchie di uno stato. All’interno dello scontro istituzionale, poi, meriterebbe un capitolo a parte lo scontro cercato da Salvini con il capo dello stato, sul quale ancora una volta i principali azionisti del governo scaricheranno la responsabilità di scelte non adatte ai sondaggi. Ma a tre mesi dall’insediamento del segretario della Lega al Viminale il punto forse più interessante da analizzare riguarda un tema centrale per capire meglio il senso della traiettoria salviniana. E quel tema è così sintetizzabile: aver usato le istituzioni come un taxi per accrescere il proprio consenso, aver giocato con la xenofobia con la scusa di voler combattere l’immigrazione irregolare, aver costruito un asse con i paesi che vogliono trasformare l’Italia nel campo profughi d’Europa, aver trasformato in emergenza un problema come gli sbarchi che da mesi non è più un’emergenza, aver chiuso i porti senza che ci fosse una condizione di allarme migratorio tale da giustificare l’uso di scelte disumane, ha aiutato quantomeno l’Italia a risolvere i problemi legati alla gestione dell’immigrazione? La risposta è no: sulle politiche migratorie, a tre mesi dalla nascita del governo, non esiste alcuna concreta “svolta salviniana”, semmai esistono delle svolte che hanno contribuito a creare dei problemi al nostro paese. Ma per capirlo è necessario smontare prima alcune false notizie relative ai famigerati successi di Salvini in materia di politica migratoria. Se il parametro per misurare il numero degli sbarchi registrati in Italia è quello con la Spagna, possiamo dire che il numero di sbarchi registrati in Spagna ha cominciato a essere superiore rispetto a quello dell’Italia a partire dal novembre del 2017, e non dal maggio 2018. Se il parametro per misurare il numero degli sbarchi registrati in Italia è quello con il passato, possiamo dire che i numeri dell’èra Salvini sono in perfetta continuità con i numeri dell’èra Minniti e che il trend decrescente di arrivi proseguito con il governo Conte è un trend iniziato nella seconda metà del 2017 (oggi siamo a meno 80 per cento rispetto al 2017, a marzo eravamo a meno 77 per cento). Se il parametro per misurare il successo di Salvini è quello del “cambio di paradigma” sulla redistribuzione dei migranti in Europa, anche qui trattasi di fake news: gli stati membri dell’Unione europea che dal 2015 accolgono migranti e profughi sbarcati in Italia sono Germania, Francia, Portogallo e Spagna, e sono gli stessi che in questi mesi hanno continuato ad accogliere alcuni dei migranti e dei profughi arrivati in Italia (lo facevano da anni anche prima che venissero chiusi i porti e prima ancora che venissero bloccati i migranti in mare). 

  

Se il parametro per misurare il successo di Salvini sono invece i risultati in Europa, possiamo dire che nell’èra del cambiamento la semina dei populisti ha aggravato alcuni dei problemi del paese. Esempi. Dal Consiglio europeo di fine giugno, come molti di voi ricorderanno, il governo Conte si vanta periodicamente di aver riportato una grande vittoria in Europa e la vittoria sarebbe legata a una serie di risultati ottenuti dalla diplomazia italiana. Il presidente del Consiglio e i suoi vicepremier sostengono che grazie al governo del cambiamento finalmente l’Europa ha aperto davvero gli occhi sui migranti ma a voler essere pignoli in realtà possiamo dire che i primi passi mossi in Europa da Salvini e Di Maio e da Conte vanno in una direzione esattamente opposta rispetto all’obiettivo prioritario del governo. Il “cambio radicale” della politica europea sulle migrazione dovrebbe coincidere con il superamento del trattato di Dublino, con l’abolizione del principio di responsabilità del paese di primo ingresso, con la redistribuzione equa dei migranti e dei profughi arrivati in Italia nel resto dell’Europa e con la costruzione di centri di sbarco nel Nord Africa per impedire alle imbarcazioni cariche di disperati di attraccare sulle coste italiane. Il Consiglio europeo di fine giugno, in realtà, ha messo l’Europa su una carreggiata diversa e allo stato attuale possiamo dire che le cose stanno più o meno così. L’alleanza voluta da Salvini con Orbán ha contribuito ad affossare definitivamente il negoziato sulla riforma di Dublino e i principali alleati scelti dal governo italiano in Europa (Austria, Ungheria, Polonia) sono gli stessi che hanno imposto al Consiglio europeo prima di non fissare una scadenza per trovare un accordo sulla riforma di Dublino e poi di far passare il principio in base al quale ogni decisione del Consiglio europeo debba avvenire non con il voto a maggioranza ma con il voto all’unanimità (traduzione: per non modificare il trattato di Dublino sarà sufficiente il veto di un solo paese). Il governo Conte si era posto poi come obiettivo prioritario quello di cambiare per sempre il principio di solidarietà che governa l’Europa ma dopo novanta giorni possiamo dire che ciò che hanno ottenuto Salvini e Di Maio in termini di redistribuzione dei migranti e dei profughi in Europa può essere definito tutto tranne che un successo. Sull’accoglienza, in Europa, si decide e si deciderà ancora sulla base di meccanismi volontari (mentre il programma di ricollocamenti che è stato in vigore tra il settembre 2015 e il settembre 2017 per quanto deficitario era comunque obbligatorio). Il trasferimento e il reinsediamento dei migranti irregolari e regolari avviene ancora e continua ad avvenire sulla base di meccanismi volontari. E non è un caso che il comunicato del famoso Consiglio europeo di fine giugno è incentrato tutto sulla base della volontarietà. Come ha scritto più volte sul Foglio David Carretta, creando una crisi politica dal nulla Salvini ha di fatto sprecato la possibilità di trovare un accordo a livello Ue per gestire la prossima crisi dei migranti in modo più ordinato e solidale rispetto al 2015/2016.

  

La storia della presunta strategia truce ma vincente di Salvini sulla politica migratoria ci permette infine di riflettere sulle ragioni che portano il ministro dell’Interno a trasformare ogni sbarco in una battaglia della vita. Creare emergenze laddove non ci sono emergenze, e concentrare la propria attenzione su allarmi che diventano tali solo per volontà del ministro dell’Interno, non è solo un modo comodo per dare l’impressione di essere in grado di risolvere i problemi di un paese ma è anche un modo perfetto per distogliere l’attenzione da due guai che prima o poi diverranno come nodi al pettine per il governo Conte. Il primo guaio coincide con l’incapacità del governo del cambiamento di intervenire con forza e credibilità e competenza sui veri problemi con i quali dovrebbe fare i conti il nostro paese quando parla di immigrazione ed è evidente che la scelta di trasformare in alleati i nemici dell’Italia e in nemici gli alleati del nostro paese non permetterà di migliorare le politiche europee in termini di rimpatri e di ricollocamenti. Il secondo guaio coincide invece con la vera ragione che si trova dietro alla trasformazione di una non emergenza come gli sbarchi in un’emergenza nazionale: concentrarsi sull’immigrazione, trasformando i problemi risolvibili in problemi irrisolvibili, aiuta a distogliere l’attenzione dai problemi veri, e in fondo tenere una nave della Guardia costiera in ostaggio può essere un buon modo per evitare di parlare troppo della fuga dei capitali dell’Italia, dello spread in risalita, della lenta perdita di credibilità del nostro paese. La politica muscolare, allarmistica, crudele e a tratti xenofoba di Salvini avrà probabilmente un effetto positivo sul consenso del leader della Lega anche in mancanza di risultati concreti generati dalla strategia del governo. Ma il vero elemento di fragilità dell’approccio scelto dai populisti in materia di immigrazione riguarda un problema di fondo che prima o poi andrà affrontato: questo momento di non crisi dei migranti costituiva la migliore occasione per cercare di trovare in Europa un meccanismo strutturale per riformare i meccanismi di ripartizione dei migranti in caso di crisi vera. Ma l’approccio muscolare, e ricattatorio, sommato con le alleanze sbagliate in Europa potrebbe portare a peggiorare invece che migliorare i problemi del paese. Fino a quando i guai che conteranno saranno quelli percepiti, e non quelli reali, Salvini avrà un buon gioco a nascondere i suoi flop. Quando però i guai che conteranno non saranno più quelli percepiti, ma saranno quelli reali, anche gli elettori di Salvini forse capiranno che il populismo è destinato non a migliorare ma ad aggravare ulteriormente i problemi di un paese.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.