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Vacanze e dignità. L'ultimo giorno d'estate in Parlamento è una festa mesta

Salvatore Merlo

Di Maio festeggia il decreto e confonde l’uscita del Senato con il bagno. L’attesa delle imprese e quell’autunno difficile

Roma. “Il Senato approva”, dice la presidente Elisabetta Casellati, e il decreto dignità, in un lampo è legge. Brindisi di governo, in una stanzetta al piano terra di Palazzo Madama: Giuseppe Conte, Danilo Toninelli, e ovviamente Luigi Di Maio che preso dall’emozione – “è una giornata storica”, sarà la quindicesima da inizio legislatura – confonde la porta dell’uscita del Palazzo e si ritrova in bagno. “Ho sbagliato tutto”, dice con filosofico relativismo il senatore Luigi Zanda, l’ex capogruppo del Pd, “contavo sullo spirito stakanovista anticasta e ho prenotato le ferie a partire dall’11 agosto. Ci sono rimasto fregato”. Perché Cinque stelle e Lega hanno approvato in poche ore la nuova legge sul mercato del lavoro, in un solo giorno, tempi compressi, e camicie slacciate. E adesso: dove vai al mare? “La Raggi va in Corsica. Luigi pare vada in Sicilia. Ecco, teniamoci lontani dalla Corsica”. Baci, abbracci, saluti. “Ma non è che convocano la Vigilanza per la storia del presidente, e dobbiamo restare qua?”, chiede Sabrina Ricciardi, senatrice del M5s, comprensibilmente preoccupata. A Roma faranno quaranta gradi. “Ma no. Non credo”. E allora tutti con il biglietto per la spiaggia in tasca, e il trolley al seguito. Anche Pietro Dettori, l’uomo della Casaleggio Associati, quello della comunicazione web, non sempre pacifica, per così dire. Quando lo indicano a Matteo Renzi, quando gli spiegano chi è Dettori e cosa fa per vivere, all’ex presidente del Consiglio la battuta viene spontanea: “Ma allora quello non è un trolley… è un troll”. In un corridoio, tra il busto di Minghetti e quello di De Pretis, Gianluigi Paragone è stanco ma soddisfatto, “con questo decreto abbiamo ridato rappresentanza ai lavoratori”, dice il senatore grillino. Eppure le imprese si lamentano, contestano. “Seguono un paradigma sbagliato, neoliberista. Abbattono i costi facendo lievitare quelli sociali sulle spalle di chi lavora”. Ma gli imprenditori sono quelli che producono ricchezza. “In autunno ci sarà una seconda fase. Risponderemo alle imprese”, dice. “Quello di oggi era il primo tassello”.

 

Una seconda fase , dice Paragone, in autunno. “Contiamo di presentare una legge che mi piacerebbe fosse chiamata Bramini”, dal nome di Sergio Bramini, l’imprenditore fallito nonostante un credito di 4 milioni di euro mai pagato dallo stato, “presenteremo una legge per aiutare gli imprenditori in difficoltà”. E le tasse? “Abbiamo un programma, un contratto di governo. E queste cose ci sono”. Ma ci sono anche i vincoli di bilancio, pochi soldi, poco spazio di manovra, e finora le imprese sono state scontentate. “Il ministro Tria dovrà essere bravo. C’è il bilancio, è vero. Ma ci sono anche le esigenze della politica”.
E insomma governo e maggioranza si consegnano alle ferie estive festeggiando, con ottimismo, non soltanto i sondaggi di opinione, in gran parte favorevoli, con la voglia di lasciarsi per un attimo alle spalle ogni cosa, le polemiche e le votazioni, assaporando il gusto delle prime leggi approvate. Ma la Lega tace, non interviene nemmeno in Aula durante la discussione del “decreto dignità”, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, l’uomo della regia leghista, attraversa i corridoi del Senato a grandi passi impigliati nei pantaloni un po’ larghi, svasati, “va tutto bene”, sorride. Ma poco più in là c’è Giorgia Meloni, combattiva, con l’aria di chi vede il fondo fangoso al di sotto del pelo dell’acqua cristallina: “Di Maio appoggia incondizionatamente le buone politiche di Salvini sull’immigrazione, e allora Salvini è inevitabile che sia solidale con lui sull’economia e sul lavoro. E lo fa anche se non gli piace. Questo cosiddetto decreto dignità infatti è profondamente sbagliato. Il lavoro non si crea per decreto. E non si crea con la contrapposizione tra lavoratori e imprese. Devi rendere più semplice la creazione di ricchezza, ovvero combattere la tassazione bulimica, la giustizia lumaca, la burocrazia elefantiaca”. E tutto questo la Lega lo sa, dice Meloni, che ha depositato una proposta di flat tax proprio per incalzare i leghisti. Quei parlamentari veneti e lombardi che sono costretti a brontolare la verità, ma come i camerieri, cioè in cucina. Tra loro. Dove nessuno li sente. Perché “bisogna durare”. E perché, come dice Daniela Santanchè, lei che i proconsoli del governo li ha misurati con lo sguardo, “Salvini e Di Maio si amano”, pacifici e potenti. Per adesso.

 

Così, sprofondato su una poltroncina della Sala Garibaldi, dove i senatori chiacchierano e passeggiano nelle pause, il vecchio Pier Ferdinando Casini usa una parabola calcistica: “Sai perché Ronaldo viene a giocare in Italia? E perché forse viene anche Modric? Vengono perché da noi pagano poche tasse. La scorsa legislatura è stato fatto un intervento legislativo che ha reso appetibile il campionato italiano, che tutti davano per finito. E’ il segno che delle cose concrete fatte con immediatezza danno risultati. Quello che invece non ci serve è l’incertezza, sono le bandierine ideologiche. E il decreto dignità contribuisce a questo clima d’incertezza. Il mondo produttivo si aspettava l’opposto. C’è un gigantesco scontro tra fantasia e realtà. Per adesso il governo è in luna di miele con gli elettori. Capita sempre, all’inizio”.

 

Il Senato si svuota, lentamente. E arriva l’eco della dichiarazione di un Cinque stelle, Davide Barillari, che ce l’ha con l’obbligo vaccinale: “Quando si è deciso che la scienza fosse più importante della politica? Chi l’ha deciso e perché?”. I Cinque stelle sbuffano, avvertendo il ridicolo. E Davide Casaleggio prende le distanze da una perla che getta un’ombra grottesca sull’ultimo giorno di scuola del Parlamento, e sul successo del “decreto dignità”. Fantasia e realtà. Incertezza. Approssimazione. E allora Giorgio Mulè, il deputato portavoce di Forza Italia, si abbandona a un’ultima battuta, prima di prendere pure lui l’aereo per le vacanze: “Da quando non c’è più il primato della politica, ci sono ‘i primati’ della politica. Ogni tanto scendono dall’albero, e annunciano al mondo la loro novella”. Ci si rivede a settembre.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.