Chiara Appendino col suo portavoce Luca Pasquaretta e il consulente Alberto Sasso a Palazzo Chigi (Foto LaPresse)

L'eterna crisi olimpica di Appendino, che sa farsi male da sola

Valerio Valentini

La sindaca ignora i grillini torinesi e si affida a consulenti esterni e ministri. E così anche chi vuole i Giochi invernali del 2026 ora la contesta. Maggioranza a rischio

Roma. A un certo punto, più o meno verso le sette del pomeriggio di lunedì, la maggioranza di Chiara Appendino, a Torino, semplicemente non esisteva più. Giunti al momento della votazione, la sindaca – che aveva già disertato la seduta del consiglio comunale, tribolata pure quella – si è ritrovata sostenuta da appena sette o otto dei suoi, non di più. Tutti gli altri – quattordici o quindici, a seconda dei vari resoconti – le imponevano di non andarci neppure, a Roma, l’indomani, a consegnare il dossier olimpico nelle mani di Giancarlo Giorgetti. La riunione del gruppo, al piano nobile di Palazzo civico, era cominciata da un’ora. E ce ne sono volute altre sei, poi, per fare sì che non saltasse tutto in aria. Minaccia, peraltro, più volte rivolta dalla prima cittadina ai suoi consiglieri ribelli: “Se continuate così, ce ne andiamo tutti a casa”.

 

Alla fine, invece, il rischio è stato scongiurato, anche se, come spiega uno dei grillini della Sala Rossa, “con la più banale delle soluzioni”, e cioè “rimandando la conta di due giorni”. Nel frattempo, però, la Appendino è potuta scendere a Roma. “Un incontro cordiale a Palazzo Chigi”, così lo descrivono ora i suoi collaboratori: un’ora e mezza, a tu per tu col sottosegretario leghista, che astutamente (“Astuto lui? Diciamo che sono stati polli i nostri”, sbottano i grillini torinesi) si è tenuto le deleghe allo Sport, e che pertanto avrà un ruolo determinante per stabilire se la candidatura italiana ai Giochi invernali del 2026 spetterà al capoluogo sabaudo, a Cortina che proprio martedì ha presentato il suo dossier, o a Milano, dove perfino i grillini si affrettano a mostrarsi di tutt’altra pasta, rispetto ai riottosi colleghi torinesi, cosicché – con perfido tempismo – mentre la Appendino era a Palazzo Chigi, Dario Violi, leader del M5s al Pirellone, ha detto che da parte sua “non esiste alcun pregiudizio”, contro la manifestazione a cinque cerchi. "E insomma paradossalmente proprio Giorgetti potrebbe ora toglierci le castagne dal fuoco, affossandola nostra candidatura", commentano con amara ironia i consiglieri grillini di Palazzo civico. Sempre che, paradosso per paradosso, non succeda invece quello che qualche leghista piemontese, pure lui tra il serio e lo scanzonato, prospetta: e cioè che, al dunque, lo stratega del Carroccio promuova il dossier torinese proprio per il gusto di assistere al crollo della giunta a cinque stelle.

  

E dire che a Torino il problema non sta neanche più nell’ideologia decrescitista dei portavoce più intransigenti: e infatti il vertice di lunedì è finito in pianti isterici e grida, consumato nel fumo delle sigarette divorate dagli assessori più nervosi sul balcone della Sala dei Marmi, nonostante Damiano Carretto e Daniela Albano, due tra i cinque dei fanatici del No, fossero assenti. Se a essere infuriati ora sono perfino quei cinque o sei che sin dall’inizio si sono mostrati entusiasti all’idea del bis olimpico sotto la Mole è perché la Appendino – che pure al momento sarebbe “quella brava”, nella bipolare retorica dimaiesca, adusa a esaltare o oscurare l’una o l’altra delle due sindache grilline, l’altra essendo Virginia Raggi, a seconda della momentanea gravità delle alterne sventure – ha gestito come peggio non avrebbe potuto il dissenso interno: prima sottovalutando quello sparuto manipolo di oltranzisti; poi mostrandosi favorevole malgré soi alla candidatura, pressata com’era dai supposti poteri fori della città, e cercando bislacche soluzioni di compromesso; e infine cercando di fare da sola, scavalcando a pie’ pari la sua maggioranza in Sala Rossa. E così da un lato si mostrava baldanzosa, nella sua costante, sottaciuta minaccia di cercare il sostegno degli altri gruppi – dal Pd a Forza Italia, passando per la Lega – sul dossier olimpico, dall’altro risultava succube dei vari notabili del M5s – i ministri Fraccaro e Toninelli, solo per stare all’ultima settimana – cui di volta in volta demandava il compito di dare come cosa fatta la candidatura per i Giochi. E intanto, in un clima umanamente sempre più deturpato (l’ultima novità, lunedì, è stata un “gentlemen agreement tra noi consiglieri che consiste nel non fare dichiarazioni ai giornali, per un paio di giorni”), il malumore è cresciuta anche nella sua giunta, se è vero che anche il fedelissimo assessore allo sporto, Roberto Finardi, s’è sentito esautorato. A gestire tutto, infatti, ci sta pensando Alberto Sasso, architetto ecologista amico di Beppe Grillo, candidato alle scorse politiche con pessimi esiti, già coinvolto nel progetto dello stadio di Tor di Valle come consulente esterno e poi arruolato dalla Appendino per realizzare “le prime olimpiadi a impatto zero, o quasi”. Nella resa dei conti di mercoledì pomeriggio, nel nuovo vertice di maggioranza convocato dalla sindaca, sul banco degli imputati finirà pure lui. Sempre che, stavolta, non si decida di andarci davvero, tutti a casa.

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