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La fase due del Pd secondo Piero Fassino

David Allegranti

“Scenari nuovi, senza accordo Lega-M5s vogliamo essere protagonisti del governo”. Parla il deputato democratico, già sindaco di Torino 

Roma. Dice il deputato Piero Fassino, tra i fondatori del Pd e già sindaco di Torino, che a quaranta giorni dal voto lo scenario è cambiato. O, meglio, “deve cambiare: le due formazioni che hanno ottenuto più voti, Cinque stelle e centrodestra, hanno tentato di trovare un accordo. Accordo che fin qui non c’è. Dunque è necessario arrivare a una conclusione. O superano le difficoltà e sono in grado di fare un governo – e noi saremo all’opposizione – oppure non sono grado di farlo, e allora, invece di trascinare questa situazione, logorando la credibilità del sistema politico istituzionale più di quanto non si sia già logorato, si apra uno scenario nuovo”. In questo scenario il Pd, dice Fassino, non potrà che avere un ruolo “da protagonista. Non staremo a guardare. Quale sarà il nostro contributo dipenderà da quale scenario si aprirà e da chi avrà l’incarico da Sergio Mattarella. Chi lo riceverà dirà come la pensa e come vorrà muoversi. Noi a quel punto avanzeremo le nostre proposte. L’importante è uscire dalla paralisi”.

   

Insomma, il tempo stringe. “Giro molto, non sono abituato a fare politica dietro le scrivanie, mi piace stare tra i cittadini. Ogni giorno incontro persone – e non solo elettori nostri – che mi chiedono come se ne esce e quando si fa il governo. Insomma, comincia a esserci ansia nel paese, al quale con responsabilità dobbiamo dare una risposta”. E quale potrebbe essere la risposta? “Dipende dallo scenario. Sono molte le variabili che si potrebbero presentare, grazie alle quali il Pd potrebbe tornare in gioco: il governo del presidente, il governo tecnico, un governo di programma. Certo, chi sarà incaricato si consulterà e si farà un’idea”.

  

“Quel che è certo – riprende Fassino – è che l’Italia ha bisogno di un governo e noi avanzeremo le nostre proposte. In primo luogo in uno scenario internazionale così delicato non può essere messo in discussione il ruolo dell’Italia nell’Unione europea, nel rapporto transatlantico e nel Mediterraneo. E’ dunque fondamentale un governo che non solo confermi, ma consolidi il profilo internazionale ricoperto fin qui. Poi è decisivo che non si comprometta la ripresa economica avviata nell’ultimo anno e mezzo: l’Italia ha ricominciato a crescere ed è necessario che le politiche economiche e di finanza pubblica che si mettono in campo siano coerenti con il doppio obiettivo di favorire la crescita da un lato e di ridurre il debito dall’altro”. Un altro tema “decisivo” per il Pd “è l’immigrazione. Non dobbiamo rinunciare alle politiche di integrazione e di accoglienza che l’Italia ha perseguito ma al contempo dobbiamo insistere sulla condivisione europea e introdurre fattori correttivi per liberare l’immigrazione dalle paure e dalle inquietudini che porta con sé”. Soprattutto dietro al voto del 4 marzo c’è una “domanda inevasa di protezione. Dal Mezzogiorno che si è sentito abbandonato e per questo si è rivolto in massa al M5s, agli strati popolari del nord che non si sono sentiti tutelati di fronte alle tante insicurezze provocate dalla crisi, ai giovani che chiedono alla politica non assistenzialismo ma la possibilità di poter costruire un percorso di vita non precario”. Insomma, dice Fassino, “al confronto con l’incaricato di Mattarella ci andremo con delle proposte. Non ci interessa solo la discussione sulle formule e sulle alleanze. Anche perché quando devi governare un paese devi fare delle scelte. Quindi vedremo se con queste nostre idee possiamo concorrere a dare all’Italia un governo”.

    

Si leggono sui giornali nomi di possibili incaricati o pre-incaricati. Da Giancarlo Giorgetti a Elisabetta Casellati. Fassino che ne pensa? “Noi non facciamo come gli altri. Una delle ragioni per cui si sono incartati è la divisione in buoni e cattivi. In politica invece conta il confronto sui programmi e sulle idee. Non si costruisce nulla con diktat e veti. Veto chiama veto. Il presidente della Repubblica nella sua saggezza conferirà un mandato e noi dialogheremo con quella persona”. Quindi la linea dell’opposizione a ogni costo è stata un errore? “No. Ogni fase ha il suo tempo. All’indomani del 4 marzo abbiamo detto che chi ha avuto più voti ha il diritto e il dovere di proporre un governo. Ma se non ci riesce, cambia lo scenario, tutto cambia. La politica non è fatta di inamovibilità di posizioni. D’altronde, in Germania Spd e Merkel non si sono messi al tavolo subito dopo il voto, ma dopo che si è consumato il primo tentativo, quando è fallito il dialogo fra Cdu-Csu e i giallo-verdi”.

   

Un referendum come quello fatto dalla Spd potrebbe essere utile? “Dipende da qual è la soluzione che si prospetta. E’ evidente che ogni decisione dovrà essere condivisa largamente dai nostri dirigenti e da tutta la nostra gente. Vedremo in che forme. Dopo quaranta giorni non è che si può pretendere in due ore di dare una risposta a tutto”. E’ stato giusto rinviare l’assemblea del Pd? “Sono stato tra i pochi all’inizio a dire che sarebbe stato utile farla alla fine della crisi di governo. Per fare una discussione profonda serve un contesto stabile e definito. Anche perché la discussione che si aprirà non sarà né breve né semplice. La sconfitta del 4 marzo non è stata solo elettorale. Per le dimensioni e per il profilo sociale, la sconfitta è stata politica. Quindi serve una discussione approfondita per mettere in campo una rigenerazione del Pd: dobbiamo aprire una ‘seconda fase costituente’ del partito”. Non basterà qualche riunione. “Da nessuna sconfitta elettorale si esce in qualche settimana. Emotivamente, tutti noi vorremmo essere da domani mattina l’alternativa a chi ha vinto le elezioni. Non è così. Serve tempo, per questo la prospettiva del ritorno alle urne non è consigliabile. L’esperienza ci dice che un secondo voto a breve distanza dal primo non rovescerebbe il risultato ma lo consoliderebbe e rafforzerebbe. Togliamoci l’ansia e non pensiamo di tornare a essere subito l’alternativa. Non significa stare a guardare: vogliamo giocare un ruolo nella formazione del governo. Lo faremo con la responsabilità che sentiamo verso gli italiani”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.