Luigi Di Maio in marcia per le strade di Roma (foto LaPresse)

Così il sogno macroniano del M5s diventa uno stress test sul governo italiano

Salvatore Merlo

L’associazione En Marche smentisce l’asse con i grillini ma poi cancella la smentita. L’Europa entra nelle consultazioni

Roma. Una parte del Movimento cinque stelle ci crede, pensa di poter accompagnare il processo di normalizzazione a tappe forzate impresso da Luigi Di Maio con un avvicinamento europeo a En Marche, all’embrione di quel nuovo grande partito europeo ed europeista il cui profilo è stato disegnato nell’aria dal presidente francese Emmanuel Macron a settembre, in un discorso alla Sorbona. E da almeno una parte del mondo di Macron, l’interesse, ancora certo vagolante e sottoposto a mille variabili, potrebbe essere corrisposto. Almeno come ipotesi da non escludere. Così, ieri sera, l’associazione macroniana Europe En Marche ha bocciato seccamente l’interesse del M5s nei confronti del partito macronista. Ma poche ore dopo la smentita è scomparsa misteriosamente dagli account ufficiali dell’associazione collegata al partito di Macron.

  

  

Nel M5s i conciliaboli sulle mosse di avvicinamento a En Marche, movimento europeista alternativo ai partiti classici (Ppe, Pse e liberali), avanzano da diverse settimane tra mille incertezze e cautele. Le indiscrezioni del Foglio, riprese poi ieri dalle agenzie internazionali e dal Corriere della Sera, che raccontavano dell’interesse del M5s nei confronti di Macron (non dell’inverso), sono precipitate su un quadro ancora fluido e denso di ambiguità, perché le elezioni europee sono a maggio del 2019, e prima, come spiegano esponenti del M5s “noi dobbiamo capire che tipo di governo faremo in Italia”: Lega o Pd? Infatti, come nel cosmo che circonda Macron, anche nel Movimento esistono diverse correnti di pensiero. Ma, come spiega al Foglio Ignazio Corrao, il più rappresentativo degli europarlamentari del Movimento, l’obiettivo del M5s in Europa, ancor di più dopo l’elezione di Fabio Massimo Castaldo alla vicepresidenza del Parlamento europeo con un voto trasversale, è quello “di accreditarsi come forza responsabile e affidabile”.

   

E d’altra parte, da quando è stato elevato sul trono dai padroni del Movimento, cioè Beppe Grillo e Davide Casaleggio, il capo politico del M5s Luigi Di Maio ha provato – finora senza troppi successi – ad accreditarsi come forza credibile, affidabile, insomma “normale”, nelle ambasciate, tra gli uomini della finanza internazionale, alla segreteria di stato americana. Ed è allora del tutto consequenziale che Di Maio abbia anche autorizzato i cinque stelle di Bruxelles a guardarsi intorno perché, come spiegano loro stessi, “la cosa certa è che per noi è diventato indispensabile cambiare gruppo”, lasciare cioè l’Efdd di Nigel Farage, uno dei gruppi parlamentari euroscettici di Bruxelles. Ma per fare cosa? “Non certo per aderire a uno dei gruppi esistenti. Uno dei vecchi partiti di cui siamo avversari”, cioè i popolari, i socialisti, i liberali, “e nemmeno quelli della destra estrema” a cui è iscritta per esempio la Lega di Matteo Salvini. Ed ecco allora come si è aperto il timido canale che collega al mondo di Macron, il presidente francese che a febbraio aveva detto: “Non lascerò ai vecchi partiti il monopolio del dibattito sull’Europa e sulle elezioni europee”, lui che in Francia ha disarticolato il sistema politico, asciugato il Partito socialista, e che in Europa probabilmente pensa di fare la stessa cosa, ma ha bisogno del sostegno di partiti nazionali che siano numericamente significativi.

     
Nel Movimento uno vale uno, ma le teste e le idee sono tante, spesso in contrasto tra loro se non addirittura in contraddizione logica. Così, nei giorni in cui Di Maio e Salvini si corteggiano e litigano sulla formazione di una maggioranza di governo, la vicenda del posizionamento europeo precipita a complicare la faccenda: come si concilia con la svolta europeista una possibile alleanza di governo con la Lega? “Se il rapporto fosse con il Pd sarebbe tutto più facile”, spiegano quelli che nel gruppo parlamentare del M5s alla Camera tirano senza successo verso il centrosinistra. E infatti: “Macron e Salvini si conciliano male”, dice uno degli uomini più vicini al segretario federale della Lega Matteo Salvini. Che spiega: “Di Maio e Salvini si capiscono bene, parlano la stessa lingua perché sono anagraficamente vicini. Ma è chiaro che se il M5s si trasforma in un alleato di Macron, che è un figlio della finanza internazionale e un globalista, a quel punto un governo Lega-M5s diventa difficile. A fine maggio dell’anno prossimo si votano le europee? E poi che succede?”. Chissà. Intanto sembra abbastanza incredibile, che nel Movimento etichettato come populista pensino di potersi legare all’europeismo di Macron. “In Francia si parla di tecnopopulismo”, rispondo loro. Populisti competenti, affidabili. Ma è possibile?

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.