Antonio Tajani (foto LaPresse)

La candidatura di Tajani ci spiega perché il berlusconismo non fa più paura

Claudio Cerasa

Se c’è un volto che oggi riesce a fotografare in modo perfetto lo spirito del tempo, quel volto somiglia sempre di più a quello del presidente del Parlamento europeo

Se Gentiloni sta a Renzi come una tranquilla camomilla sta a una sovreccitata Red Bull, Tajani sta a Berlusconi come un mojito analcolico sta a un doppio Negroni. Lo Zeitgeist, come forse sapete, è una fantastica espressione ottocentesca utilizzata per fotografare la tendenza culturale predominante in una determinata epoca. Nella politica contemporanea, se c’è un volto che oggi riesce a fotografare in modo perfetto lo spirito del tempo; se c’è un volto che oggi riesce a mettere insieme alcuni fondamentali tratti mediani del nostro periodo storico; se c’è un volto che oggi riesce a tenere insieme il ritorno degli istinti proporzionali, il trionfo del dialogo trasversale, la fine delle leadership a colori, la ricerca di alternative ai rutti populisti; se c’è un volto che oggi riesce a incarnare meglio di chiunque altro lo Zeitgeist della contemporaneità italiana; quel volto, giorno dopo giorno, somiglia sempre di più, e in modo inequivocabile, a quello del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani.

 

Negli ultimi ventiquattro anni – dai tempi cioè in cui Tajani assisteva Berlusconi a Palazzo Chigi come suo portavoce, qualche mese nel 1994 – il presidente del Parlamento europeo, sul quale il capo di Forza Italia ha intenzione di scommettere per provare a costruire un governo nella prossima legislatura, ha visto passare in rassegna molti leader intenzionati a ereditare dal Cav. quello che nessuno ancora oggi può realisticamente ereditare: la leadership del centrodestra. Tajani – che dal 1994 si trova in Europa dove ha fatto tutta la trafila, europarlamentare, commissario per i Trasporti, commissario per l’Industria, vicepresidente del Parlamento, presidente del Parlamento – li ha visti passare tutti. Ha visto Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, Angelino Alfano, Giulio Tremonti, Maurizio Scelli, Guido Bertolaso, Michela Vittoria Brambilla, Gianpiero Samorì, Guido Martinetti, Paolo Del Debbio, Gianni Alemanno, Stefano Parisi. Ha visto molti quid spariti nel nulla, neanche fossero bonifici grillini. E ha visto molti quid rottamati anzitempo spesso per una ragione semplice: tutti, in qualche modo, avevano immaginato di costruire un’alternativa al berlusconismo pensando al dopo Berlusconi, nessuno aveva immaginato di costruire un’alternativa al berlusconismo senza pensare al dopo Berlusconi. Naturalmente, ci sono molte ragioni per cui Tajani oggi è una luce negli occhi di Berlusconi. Ma tra le tante ragioni ce n’è una che forse vale più delle altre e che vale almeno quanto la credibilità internazionale del presidente del Parlamento europeo. In un certo senso, Tajani è un algoritmo che mette insieme alcuni dati negati da molti, ma da sempre presenti nel corpo del berlusconismo. L’essere un argine al populismo becero. L’essere un argine all’anti europeismo cafone. L’essere un argine al sovranismo citrullo. L’essere non una pericolosa minaccia ma una preziosa risorsa della democrazia. Anche per questo, Berlusconi – che ieri in un incontro a Roma con il presidente del Parlamento europeo e il capogruppo del Ppe al Parlamento europeo ha detto di fronte ad alcune persone che “può essere che il prossimo premier sia in questa stanza” – non può che essere pazzo di uno come Tajani.

  

Anche grazie a Tajani, il berlusconismo ha dimostrato di avere una sua chiara vocazione europea, ha dimostrato di avere una sua buona capacità a coltivare una classe dirigente e ha dimostrato di avere una sua predisposizione naturale a essere apprezzato anche lontano dal perimetro del proprio partito. E anche per questo, Tajani è la perfetta riserva della Repubblica del Cav. Oggi è un perfetto candidato presidente del Consiglio di centrodestra – ed essendo Forza Italia l’unico partito a essere pronto ad allearsi sia con la Lega sia con il Pd dopo il 4 marzo non è escluso che il presidente della Repubblica dia proprio a un uomo di Forza Italia l’incarico di provare a formare un governo. Domani potrebbe essere un buon candidato al Quirinale – e se la prossima legislatura durerà almeno quattro anni il prossimo Parlamento sarà quello che sceglierà il successore di Mattarella. Se Gentiloni sta a Renzi come una tranquilla camomilla sta a una sovreccitata Red Bull, Tajani sta a Berlusconi come un mojito analcolico sta a un doppio Negroni. Funzionano insieme. Da soli chissà. E’ lo spirito del tempo. Con poco quid, molto gradimento, pochi voti e molta competenza. E’ lo Zeitgeist, bellezza, e per il momento né le Red Bull né i Negroni ci possono fare niente.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.