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Gentiloni è sceso in campo

La strategia del presidente del Consiglio: sostenere Renzi ma ricordandosi di Palazzo Chigi

Paolo Gentiloni è dunque sceso in campo. Esattamente come gli aveva chiesto Matteo Renzi. Al segretario stava molto a cuore che il presidente del Consiglio, che, stando ai sondaggi, ha una grande popolarità, si lasciasse coinvolgere in campagna elettorale. Inizialmente Gentiloni era titubante, soprattutto per le perplessità del capo dello Stato e di quanti tra i suoi avevano paura che si potesse bruciare nello scontro elettorale. Ma poi ha rotto gli indugi e a quelli che ancora lo sconsigliavano dal compiere quel passo ha spiegato: “Io sono legato a Matteo e non intendo rompere questo legame”. Ma quello che Gentiloni non ha detto è che una volta, in tempi recenti, un “no” alla presenza del segretario del Partito democratico lo ha dovuto pronunciare. E’ stato quando – non troppo tempo fa – Renzi gli ha chiesto (non si capisce se per sondare i suoi intendimenti oppure se perché meditava di fargli una proposta in tal senso) che cosa pensasse dell’idea di farsi indicare candidato premier della coalizione. E’ stato a quel punto che il presidente del Consiglio ha detto “no”. Era addirittura circolata l’ipotesi di fare anche una quarta lista, oltre alle tre già esistenti, con il suo nome. A Renzi l’idea non dispiaceva. Ma poi non se ne è fatto più niente.

 

 

Il “no” di Gentiloni non è certo legato al fatto che il premier non pensi alla possibilità di tornare in qualche modo a Palazzo Chigi. I motivi sono altri e, fondamentalmente, sono due. Il primo riguarda il fatto che Gentiloni, come ha ripetuto più volte, non si sente un leader politico. La seconda riguarda invece proprio la prospettiva di poter tornare a Palazzo Chigi. Una prospettiva che potrebbe aprirsi nel caso della nascita di un governo di grande coalizione. Ma Gentiloni potrebbe guidare un esecutivo siffatto soltanto se si verificassero determinate condizioni: il Pd dovrebbe ottenere più consensi di Forza Italia e in quel caso potrebbe esprimere il premier (come avviene in Germania, per esempio). Ma, visto che la situazione italiana è comunque diversa da quella tedesca, difficilmente Berlusconi accetterebbe un presidente del Consiglio che è stato il premier indicato dalla coalizione di centrosinistra. Ecco perché Gentiloni ha resistito a questa tentazione.

 

Matteo Renzi ha vinto il braccio di ferro con tutti i suoi ministri che non volevano candidarsi nei collegi. Alla fine qualche giorno fa ha ceduto anche Marco Minniti, che era il più restio a compiere questo passo. Anche Maria Elena Boschi, pure se si rincorrono voci contrastanti a tal riguardo, si cimenterà in un collegio. Solo che probabilmente non sarà quello di Firenze 1, come inizialmente Renzi aveva pensato. Più di uno dei suoi fedelissimi glielo ha sconsigliato perché in quello stesso collegio, ma al Senato, si presenta lui. Ed è meglio – è il ragionamento che è stato fatto – se il segretario non intrecci la sua campagna con le polemiche sulle banche.

 

A quanto pare la ricerca di candidature della società civile per il Pd procede a rilento. Finora infatti sono stati molti i “no grazie”. E questo ha creato un certo sconforto nel quartier generale del Partito democratico.

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