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Altre lezioni dal suicidio del 4 dicembre

La paralisi decisionale (più dell’in-credibile Di Maio) allontana il capitale

Nel 2017 gli stranieri hanno investito in Italia 44,86 miliardi di euro. Un calo del 32,6 per cento sui 59,5 del 2016. Molto meno dei 52,6 miliardi nel 2015 e dei 51,3 del 2014. E’ il consuntivo della banca dati Bureau van Dijk, branca di Moody’s che analizza fusioni e acquisizioni. In un panorama mondiale che ha visto le operazioni di M&A (pari a 3.964 miliardi) in lieve flessione (3,2 per cento), l’Italia accusa la seconda perdita europea dietro al Regno Unito (meno 60,0, causa Brexit), ed è distanziata da Germania e Francia, entrambe con afflusso di capitali esteri oltre i 60 miliardi, tallonata dalla Spagna, che vanta 40,4 miliardi e un aumento del 32 per cento. L’attrattività del paese si è bruscamente ridotta. E non appare una coincidenza che questo sia accaduto dal 4 dicembre 2016, data del referendum anti Matteo Renzi, caduta del governo, ridimensionamento delle ambizioni riformiste e avvio dell’incertezza che culminerà con le prossime elezioni. Viceversa sarebbe ora realistico uno scenario opposto e più positivo. Nonostante sui mercati stia prendendo piede l’augurio di un “hung parliament”, cioè Camere senza maggioranza che lascerebbero in carica il governo Gentiloni con l’appoggio delle forze non populiste, dai dati emerge l’indicazione della stabilità come requisito per attrarre capitali.

 

A testimoniarlo sono anche il calo degli Stati Uniti nel primo anno di presidenza Trump e del Regno Unito sotto il governo May. Al contrario la vittoria di Emmanuel Macron ha portato la Francia a un soffio dalla Germania (61,5 miliardi di capitali entrati contro 61,8), e con un abbrivio, più 13,3 per cento, quasi doppio; anche se la conferma di Angela Merkel, con qualunque coalizione, mantenga appetibile il paese leader europeo. Così come la continuità politica della Spagna ha prodotto il boom di investimenti simmetrico allo sboom italiano. Benché Matteo Salvini predichi la sovranità economica (“meglio libero che servo” ha detto ieri), tutto ciò ha riflessi sull’occupazione: Ernst & Young calcola una media di 25 posti di lavoro aggiuntivi per ogni singolo investimento straniero. E questo può spiegare perché, secondo il superindice Ocse, l’Italia ha un trend di crescita superiore a Francia, Canada, Giappone e Regno Unito, e negli ultimi mesi alla Germania, ma sia distante per tasso di disoccupazione. Un report di Citi dell’11 gennaio, pur dichiarandosi “fan di un Parlamento senza maggioranza” sottolinea i rischi di ingovernabilità e marcia indietro sulle riforme. Per Citi “il peggio per gli investimenti” sono i 5 stelle, la Lega e l’estrema sinistra – e figuriamoci un’alleanza tra loro. Opinione condivisa dal Financial Times che illumina l’inferma figura di Luigi Di Maio: “In Parlamento grazie a 189 voti nelle primarie online, studente di Legge a Napoli senza laurea, esperienze in una piccola azienda internet e da steward allo stadio San Paolo, scelto da Beppe Grillo per l’aria rassicurante e il guardaroba. La sua credibilità è ciò che spaventa di più”.

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