Alessandro Di Battista (foto LaPresse)

I diari (intimi) di Dibba

Salvatore Merlo

I pannolini e le mensole, l’ananas di Casaleggio, Beppe patriota tra cinquant’anni. Un libro Rizzoli

Roma. “Negli ultimi mesi, durante i miei comizi in piazza, scherzavo dicendo che le tangenti in pannolini e corredini le avrei accettate volentieri. Sono stato preso alla lettera. Ho calcolato che mio figlio potrà farsi la pipì addosso fino a quattordici anni”. Eccolo finalmente! Il 23 novembre esce il suo nuovo libro, i diari (intimi) di Dibba: “Meglio liberi. Lettera a mio figlio sul coraggio di cambiare”. 

 

Il primo libro era il suo viaggio esteriore, diciamo così. Era il diario della motocicletta di un Dibba “alter ego” di Ernesto Che Guevara, come direbbe l’amico (anzi lui lo chiama fratello) Giggino Di Maio: il Sudamerica come metafora dell’Italia, i “piedi che scottano”, le “spremute di umanità”, gli italiani brava gente oppressa che lo accoglie amichevole e sorridente a pranzo, e lui che li incontra, sogna e racconta, offre perle di sapienza narrativa, un po’ Chatwin e un po’ Manuel Fantoni, il personaggio simpaticamente mitomane di Carlo Verdone: “Un bel giorno mi imbarcai su un cargo battente bandiera liberiana…”. Ma gli anni sono passati, non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume (nota per Di Maio: Eraclito, non Massimo Di Cataldo). E così questo suo nuovo libro in vendita dal 23 novembre, verrebbe da dire, è invece il viaggio interiore di un Dibba che è diventato papà, “ieri ho finito di montare la culla, il bagnetto e la mensola per i pannolini”. E infatti in questo secondo diario lui scopre che l’impegno e l’indignazione sono sempre il lievito dell’esistenza, per carità, ma che forse si può anche rallentare un po’ per occuparsi di passeggini, pannolini, ante scorrevoli e soprattutto dell’educazione del pargolo. “Beh, com’è andato il tour in Sicilia?”, gli chiedono allora gli amici. E lui – che ci vuole dire quanto la politica politicante non sia la sua vita – racconta di aver cambiato “immediatamente discorso iniziando a tessere le lodi del passeggino che avevamo scelto e che abbiamo alla fine acquistato proprio ieri”. Ma non si preoccupino i fan, i nostri piccoli lettori grillini: è solo un espediente narrativo per distribuire comunque grani d’imperdibile sapienza dibattistica (o dibattistiana?), come quando Ale cita gli insegnamenti ricevuti da Casaleggio mentre “mangiava l’ananas a tocchetti e io ascoltavo pieno di curiosità”, o quando, con ammirevole sforzo di proiezione storica, lui ci spiega che Beppe “non è solo un amico ma anche un patriota, malgrado questo gli verrà riconosciuto forse soltanto tra cinquant’anni” (perché poi proprio cinquanta non lo sappiamo, però è un bel numero tondo).

 

E insomma l’intento didascalico, anzi pedagogico, è chiaro, evidente sin dal titolo, che è: “Meglio liberi”. E sin dal sottotitolo – Dio li perdoni – che gli ha rifilato la solita Rizzoli o Mondazzòli, la crasi editoriale che Sergio Saviane, veggente, già chiamava Moncàzzoli: “Lettera a mio figlio sul coraggio di cambiare”. E dunque Dibba è cresciuto, dicevamo. E per questo cambia un po’ registro, sin dalla copertina. Prima c’era il suo faccione simpatico, una specie di figurina Panini da farsi autografare all’Autogrill.

 

Adesso c’è sempre lui, ma in posa più adulta, appunto, cioè concentrata, da scrittore fatto, narratore finito. Quasi Montanelli. E infatti è seduto per terra come Indro in Via Solferino al ritorno dalla guerra di Finlandia, con la schiena poggiata al muro, sghimbescio, camicia bianca e cravatta slacciata, mentre batte i tasti, non su una Olivetti Lettera 22 ma su un computer portatile. E cosa scrive mai Dibba? Ma scrive proprio questo suo diario intimo! Questa reliquia da far acquistare a un popolo di fan, il solido feticcio su cui imporre una dedica che vale più di un like su Facebook. Venderà tanto, come il precedente. Ne siamo sicuri. D’altra parte non lo si compra certo, non solo, per le considerazione politiche di evidente rilievo, per le illuminanti rivelazioni sui meccanismi interni al Movimento, per le pagine di storia del M5s. Come questa: “Stamattina ci siamo alzati verso le 8.00. Mentre Sahra finiva le valigie, io limavo gli ultimi dettagli del discorso che avrei dovuto tenere il pomeriggio a Rimini sul palco di Italia 5 Stelle. Sono due settimane che ci lavoro. All’inizio volevo dare la notizia della nascita da quel palco. Poi ho cambiato idea, non sarebbe stato il momento giusto, avrei potuto recare un danno al Movimento e a Luigi, un fratello, proprio in un giorno di festa”. L’avrebbe oscurato.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.