Chi si trova con l'anello al naso a un anno dal 4 dicembre
Un paese migliore? Perché, se si fa eccezione per Berlusconi, l’accozzaglia del No si trova disorientata in misura persino superiore agli sconfitti del referendum
Potremmo chiamarla così: la generazione anelli al naso. Pensateci un attimo e mettete insieme i tasselli. Il prossimo 4 dicembre, tra meno di un mese, il No al referendum costituzionale festeggerà il suo primo anno di vita e molti giornali ricorderanno quei giorni in cui 19 milioni di elettori hanno spinto Matteo Renzi lontano da Palazzo Chigi con un pathos probabilmente non inferiore a quello dedicato in questi giorni ai cento anni della rivoluzione russa. Eppure, dodici mesi dopo la sconfitta di quel Sì che forse avrebbe potuto davvero cambiare l’Italia e che avrebbe potuto far correre il nostro paese con una marcia persino superiore rispetto a quella già veloce ingranata negli ultimi mesi, l’impressione è che i più spaesati e più disorientati di tutti siano le stesse persone che il 4 dicembre hanno azionato un pulsante che sul momento non si erano resi conto di essere sul punto di spingere. La generazione politica sconfitta al referendum del 4 dicembre non se la passa bene e spesso offre segnali di sincero sconforto e di significativo disorientamento. Ma se si fa eccezione per Silvio Berlusconi che è riuscito a capitalizzare come meglio non avrebbe potuto la vittoria del No (con il 15 per cento dei voti il Cav. sembra essere tornato il nuovo capo del paese) il resto dell’accozzaglia del 4 dicembre si trova disorientato in misura persino superiore agli sconfitti del referendum.
Eil ragionamento vale sia per i politici che hanno issato le vele del No alla riforma costituzionale sia per la classe dirigente e giornalistica che su quelle vele ha soffiato più o meno con discrezione. Caso numero uno: gli elettori del Movimento 5 stelle. Il 4 dicembre Beppe Grillo, che in modo onesto aveva effettivamente invitato gli elettori grillini a votare di pancia senza stare a perdere troppo tempo a leggere quella stupida riforma, aveva mobilitato il suo popolo a votare contro il referendum costituzionale promettendo ai suoi elettori un nuovo mondo più stabile pieno di vergini pronte ad accompagnare i vertici del Movimento 5 stelle verso il paradiso del governo. Come era facile immaginare, il No al referendum costituzionale ha aperto le porte a un inferno in cui un possibile scenario di competizione ha lasciato il posto a un più concreto scenario di concertazione e in questo scenario, in cui per governare servono le alleanze dei partiti e non degli elettori, il Movimento 5 stelle ha speranza di prendere molti voti ma non ha speranza di governare (ma con il rischio che alla lunga un sistema frammentato faccia in prospettiva sempre più crescere il consenso populista, oggi no ma domani chissà). Capolavoro, no? In una condizione non meno paradossale si trova anche quella sinistra che nel corso del referendum costituzionale aveva già anticipato la scissione scegliendo di schierarsi contro il suo segretario di partito per votare No.
Pochi giorni prima del voto, con un senso del gol sempre innato, Massimo D’Alema spiegò al paese che il No al referendum costituzionale non sarebbe stato grave per il nostro sistema istituzionale perché sei mesi dopo il 4 dicembre sarebbe stato possibile senza troppi problemi approvare una nuova riforma che avrebbe in un lampo semplificato il paese (“La mia proposta di riforma ha ottenuto l’apprezzamento di molti costituzionalisti e anche del coordinamento dei senatori del centrodestra per il No: come si vede, è una proposta di riforma che allarga il consenso anziché restringerlo, ci vogliono sei mesi per approvarla”). Ma stranamente (D’Alema di solito è un asso nelle previsioni, chiedere a Eusebio Di Francesco, allenatore della Roma, che dopo la bocciatura di D’Alema non ha più perso una partita) la profezia non si è avverata e oggi l’ex presidente del Consiglio si trova, diciamo, con il suo partito in una situazione mica male. Da un lato denuncia il ritorno al fascismo per via di una legge elettorale non gradita approvata dall’ottanta per cento del Parlamento (ma come, il No al referendum era un no al fascismo e ora Max ci dice che è arrivato il fascismo?). E dall’altro lato si rende invece conto che a forza di giocare con lo scorpione contro un leader della sinistra (Renzi) temuto in quanto erede di Berlusconi, oggi la sinistra a sinistra del Pd potrebbe riuscire nel miracolo, oplà, di riportare il partito di Berlusconi a governare l’Italia.
Lo stesso discorso si potrebbe fare per la Lega Nord che a livello nazionale sarebbe stata competitiva e autonoma solo facendo leva su un sistema elettorale e costituzionale capace di alimentare più la competizione che la concertazione (chiedere a Marine Le Pen). E lo stesso discorso si potrebbe fare per tutti coloro che il 4 dicembre hanno sostenuto il No al referendum costituzionale salvo poi scoprire pochi mesi dopo: che no, un sistema bloccato non aiuta a far abbassare il consenso delle forze anti sistema; che no, un sistema ingolfato non aiuta a trovare una chiave politica per avere una maggiore stabilità; che no, un sistema che boccia a colpi di no un modello maggioritario non può essere il miglior contesto per far nascere un nuovo modello maggioritario; che no, un sistema che non trasferisce ai leader di partito le chiavi per governare senza mediazioni eccessive l’Italia non è un sistema che può essere competitivo a livello europeo; che no, un sistema che alimenta la frammentazione non può in nessun modo alimentare una rivoluzione alla Macron; che no, un sistema che dice no alla fine del bicameralismo non può essere un sistema che velocizza i processi legislativi; che no, un sistema in cui il proporzionale vince sul maggioritario sarà sempre un sistema che permetterà di andare al governo solo a “presidenti non eletti dal popolo”; e che no, un sistema in cui il potere di veto vince sempre sul potere di voto non potrà in nessun modo essere un sistema in cui agli elettori sarà data l’ultima parola (col piffero). Avvicinarci al quattro dicembre ci permette di capire che in fondo chi in questi giorni affronta con più serenità il nuovo mondo nato dopo la bocciatura della riforma Boschi è chi (tranne naturalmente i politici che non si sono ancora ripresi dai 19 milioni di schiaffi) aveva previsto con anticipo quali sarebbero state le conseguenze del votare contro una riforma che avrebbe potuto cambiare l’Italia. E specularmente chi affronta questi giorni con più difficoltà è proprio chi non aveva previsto quali sarebbero state le conseguenze del soffiare forte sulle vele dell’Italia che dice no.
Se si usa la chiave del realismo moderato, i prossimi anni in fondo potrebbero non essere così male, considerando le possibilità ridotte che il nostro paese avrà di ritrovarsi con un Di Maio a Palazzo Chigi e un Carlo Sibilia al ministero della Cultura. Ma se si usa la chiave del realismo sognante non si può non ragionare sul fatto che il populismo ha più possibilità di ramificarsi in un paese quando quel paese sceglie di non combattere la frammentazione. Per definizione da queste parti siamo ottimisti ma essere ottimisti non vuol dire solo osservare il paese più per quello che è, che per quello che è percepito: vuol dire rendersi conto prima di tutto che il paese che pensavano di generare coloro che hanno votato No al referendum costituzionale è un paese destinato a non essere migliore rispetto a quello che sarebbe potuto nascere con la vittoria del Sì. Ci sarebbe da essere quasi di cattivo umore (ma noi ottimisti siamo sempre di buon umore) se non fosse che la sinistra che pensava di togliersi di mezzo il berlusconismo rottamando Renzi si ritroverà probabilmente un paese governato nuovamente da Berlusconi. Poi uno dice l’anello al naso.
Equilibri istituzionali