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Il vero processo che manca sulle banche

Claudio Cerasa

Il capitalismo salva il mondo ma cosa fa il capitalismo per salvare se stesso? Il dibattito su Bankitalia ha aperto un processo surreale in cui si parla di tutto ma non dei veri deficit in banca. La terza via per la successione a Visco

Il dibattito generato dal processo istruito da Matteo Renzi contro il governatore Ignazio Visco ha avuto l’effetto evidente di riaprire una discussione non solo sul futuro di Bankitalia ma anche sullo stato di salute del sistema bancario italiano. Da un certo punto di vista, riaprire un tale dibattito proprio nel momento in cui il sistema bancario italiano non è più percepito come un elemento di fragilità è un atto spericolato e persino pericoloso, che rischia di dare un pretesto agli osservatori stranieri per mettere sotto una generica cattiva luce le banche del nostro paese.

 

Il 2017 poteva essere ricordato come l’anno dell’aumento di capitale record di Unicredit (13 miliardi), come l’anno dell’intervento forse risolutivo sulle banche venete (salvataggio), come l’anno della fine dei drammi su Mps (nazionalizzazione), come l’anno in cui alcune riforme portate avanti dagli ultimi governi cominciavano a dare i loro frutti (riforma delle banche popolari, riforma delle banche di credito cooperativo, riforma del limite agli investimenti delle fondazioni in una singola banca). Ma con ogni probabilità finirà invece con l’idea che a causa della mancata vigilanza di Bankitalia ci siano ancora molti scheletri negli armadi dei banchieri del nostro paese.

 

A questo punto della storia – il governo deciderà venerdì cosa fare di Ignazio Visco e, data l’indisponibilità del governatore a fare un passo indietro, data l’indisponibilità del presidente del Consiglio a fare un passo indietro, data l’indisponibilità del segretario del Pd a fare un passo indietro è possibile che la soluzione per mettere d’accordo tutti sia quella di rinnovare al governatore un mandato formalmente pieno ma sostanzialmente a tempo, con l’idea cioè di dare a Visco il compito di rinnovare con elementi esterni il direttorio di Bankitalia dando la possibilità al prossimo governo di scegliere un nuovo governatore, quando Visco considererà concluso il suo mandato di rinnovamento. Ed è alla luce di tutto questo che discutere del sistema bancario è diventata una necessità. Ma l’elemento che spesso sfugge alle analisi di molti politici e osservatori è che per mettere a fuoco i punti di debolezza del sistema bancario italiano occorre fare uno sforzo e concentrarsi più sui fattori interni che sui fattori esterni. Nonostante la buona volontà di molti, ogni dibattito sulle banche tende a sovrastimare le responsabilità esterne e tende a sottostimare le responsabilità interne alle banche. Con il risultato che mentre sui giornali e in Parlamento si processano ora la Vigilanza, ora la Bce, ora la politica, nessuno o quasi si occupa di mettere a fuoco il vero problema: la capacità del management di prendere i giusti rischi per riformare i propri istituti e prevenire i problemi futuri. I rischi che si corrono nel mettere sotto processo il sistema delle banche prescindendo da chi guida le banche sono sintetizzati in un working paper di prossima uscita firmato da due professori dell’Università di Siena: Elisabetta Montanaro e Mario Tonveronachi.

 

A forza di parlare di bail-in, di vigilanza e di riforme mancate della politica, scrivono i due professori nel loro studio focalizzato su un campione di 410 gruppi bancari europei, ci siamo dimenticati di concentrarci sul fatto che i guai delle nostre banche hanno radici endogene e non esogene. I due professori non si riferiscono solo al carico dei crediti deteriorati ma anche agli elevati costi operativi delle banche, alla loro redditività, al loro deficit di efficienza. “Per generare una redditività sufficiente a coprire i maggiori costi del rischio degli anni più recenti, in assenza di un significativo incremento del flusso di ricavi, le banche italiane avrebbero dovuto ridurre in misura consistente i costi medi unitari, migliorando la produttività del personale e la rete degli sportelli. Tutto questo non si è verificato e il divario di efficienza rispetto all’Europa e agli altri principali paesi dal 2008 al 2016 si è ulteriormente accresciuto”. La conclusione del ragionamento ci porta a riflettere su un tema che andrebbe affrontato una volta chiarito il destino di Visco. In estrema sintesi: e se la vera mancanza di indipendenza della Vigilanza di Bankitalia non fosse nei confronti della politica ma fosse nei confronti di un sistema bancario sul quale Bankitalia avrebbe forse avuto il dovere di intervenire con più forza per renderlo meno schiavo del suo status quo? La conclusione del working paper dell’Università di Siena sembra andare in questa direzione: “Se il deficit di efficienza strutturale dovesse permanere, le banche italiane avrebbero maggiori difficoltà ad adattare i propri modelli di business, divenendo quindi più vulnerabili rispetto ai rischi e alle sfide competitive promananti dal nuovo contesto di mercato”. Se proprio è necessario aprire un processo sulle banche – e se mai dovessero farlo in prima serata Luigi Di Maio e Maria Elena Boschi – forse converrebbe partire da qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.